Quest’anno la siccità si sta facendo sentire in modo particolare; la scarsità di neve, in inverno, e di pioggia in primavera, ha ridotto la portata delle sorgenti e dei corsi d’acqua. La preoccupazione divampa anche a causa di annunci catastrofici che diffondono alcuni mezzi di informazione.
Voglio far notare che, spulciando gli annali storici di Pistoia e del suo contado, tra il 1705 e il 1774 ci sono stati 12 anni di carestia e siccità e 12 anni di gelate e inondazioni: conti alla mano, dunque, in quella porzione di secolo 1 anno su 3 ci sono state condizioni meteo ostili all’uomo e all’economia.
Ma torniamo alla siccità. Per definirla quassù in montagna i nostri nonni hanno usato alcuni termini oggi quasi scomparsi , cioè “alido”, “alidezza”, “alidore”, “secco”,”secca”, “seccume” ecc.,molto meno “afa”. La forma “alido” deriva dal latino aridus (arido) ed è incrociata con gelidus , da cui ha preso la lettera “l”; i sostantivi “alidore” e “alidezza” sono derivati da “alido”.
L’aggettivo sostantivato “secco”, nel senso di “asciutto”, viene da siticus (asciutto) e a sua volta da sitis (sete): da “secco” sono poi derivate “seccura” e “seccume”, anche se qui da noi “seccume” significa piuttosto “persona molto magra”.
“Secca” è usato invece a proposito dei corsi d’acqua. Se un torrente o un fosso hanno poca portata d’acqua si dice che sono” in secca”.
Ma “ afa” , che oggi tanto usiamo? Pure essendo questo un termine già noto nel 1500, in montagna è arrivato relativamente tardi. Esso ha un’origine incerta: chi lo vede derivato dalla forma greca aptein , cioè l’azione di accendere, chi invece propende per una origine onomatopeica romanesca: “afa” riprodurrebbe il suono naturale di chi apre bocca, boccheggia. Etimologicamente, quindi, siamo nel campo delle ipotesi, ma l’afa, quella vera, si fa sentire, eccome!