Uno dei segnali dell’imminenza della primavera è il canto del cucùlo, che d’improvviso si sente qua e là nei boschi fra la fine di marzo e l’inizio di aprile. E’ un canto inconfondibile e per questi motivi ha particolarmente stimolato l’immaginario collettivo, tanto che sono nate intorno a questo uccello dal comportamento strano (depone le proprie uova nel nido degli altri uccelli affinché le covino per lui) credenze e fantasie. Qui in montagna i vecchi si frugavano in tasca appena udivano il canto del cucùlo: se ci avessero trovato qualche soldo sarebbe stato auspicio di prosperità economica. Insomma, il cuculo ne avrebbe portati molti altri!
Curiosi sono anche i proverbi e i modi di dire locali legati a questo volatile. A Sambuca ce n’è uno davvero inusuale. Dice così, in dialetto sambucano: “Se l’8 a n’è arivado/ quei de Baggio i’ l’han mandhjado”, cioè: ”Se l’8 (di aprile) il cucùlo non è arrivato, (vuol dire che) quelli di Baggio l’hanno mangiato”. Questo adagio ci riporta ai contrasti tra paesi, che a volte si traducevano in simpatiche prese in giro ed altre volte diventavano ben più aspri.
La parola “cucùlo” è di origine onomatopeica perché riproduce un suono naturale, in questo caso il verso dell’animale, che suona come un “cucù” ripetuto. Per questo si dice “cucùlo” e non “cùculo”, come qualcuno a torto afferma.