Abbiamo parlato in questi ultimi mesi, non solo noi, di alcuni segnali di risveglio sulla Montagna Pistoiese (e ci auguriamo non solo su quella). Tentativi di invertire una tendenza, idee lanciate in ordine sparso, la cui pratica realizzazione magari può apparire anche assai complessa. Poi, come sempre, i modi con i quali agire sono sempre opinabili e le idee diverse. Resta un dato, però. C’è del fermento. L’iniziativa estemporanea messa in piedi da Federico Pagliai e un gruppo di persone “di buona volontà” di concreto aiuto alle popolazioni colpite da nevicate straordinarie e terremoto, in altri luoghi di Montagna, sembra aver fatto il resto. Vediamo cosa accadrà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi per capire meglio cosa potrà accadere nei prossimi anni.
Intanto pubblichiamo questo nuovo intervento di Sante Ballerini, originario di Campeda, nel comune di Sambuca, che da Mantova (dove vive) sta mandando segnali ripetuti. A conferma dell’attaccamento alla propria terra di tanti montanini. Purtroppo, in sostanziale solitudine. Dal versante sambucano non giungono a noi molti altri segnali: stimoli, idee, richieste, anche critiche e dissensi per carità (meglio quelli del nulla). Per non dire (meglio non dire) dell’altro versante, quello di Marliana. Noi abbiamo ideato la Voce della Montagna per essere la voce di tutta la montagna. Non riteniamo che vi siano località e zone marginali, casomai solo territorialmente ai margini o “confini”. Ribadiamo la nostra massima disponibilità e interesse nei confronti di tutti, singoli cittadini, enti, associazioni, realtà le più varie. Poi non si dica “di noi non parlano”. Il fatto è che non siamo indovini né capaci di leggere nel pensiero altrui.
P.V.
“Gli scrittori non bisognerebbe solo leggerli ma soprattutto ascoltarli. In particolare quando questi sono uomini che vivono il loro tempo tra la gente e sanno farsi interpreti di sentimenti veri e largamente condivisi. Di quanto scrive Federico Pagliai su questa testata il 15 gennaio scorso io sottoscrivo ogni parola. Riporto a seguire alcuni passi che potrebbero ben figurare alla base dello Statuto di quel Consorzio-Cooperativa del Fare di uomini liberi e di buona volontà capaci di cambiare la sorte segnata dei nostri monti.
Non è la sola politica la responsabile del decadimento, ancor prima ideologico e mentale e poi fisico e strutturale, della montagna. Parlando di responsabilità, forse in una forma inconsapevole, anche ognuno di noi ha la sua parte. Il problema deriva in parte pure da noi, dalla mancanza di percezione di un bene comune, dall’egoismo che ha cambiato l’uomo e da quell’aspettativa di dovuto assistenzialismo statale…
Più volte, in questi mesi, ho accennato a un Consorzio di persone del luogo, una Cooperativa del Fare. (…) Serve un’associazione di uomini e donne di montagna, assolutamente fuori dagli schemi politici. Personaggi che si muovono in prima persona per la Comunità e a servizio di quella Comunità al fine di mantenerle un supporto vitale, che potrà anche essere quantitativamente minimo ma assai elevato per appropriatezza di risposta e di alto valore simbolico per i motivi di coesione sociale e di esempi di cavarsela da soli che esso può indicare, come uno specchio, alla stessa Comunità e verso l’esterno.
Serve un Consorzio di gente di qui, la cui adesione è volontaria, le attività dirette per il bene comune dove per “comune” intendo tutta la montagna e non una singola frazione o addirittura una via di paese, serve una proprietà condivisa curata e tenuta assieme da gente di qui…
Cominciamo a conoscerci e contarci quanti potremmo essere in partenza. Sono fiducioso che di uomini liberi e di buona volontà ne troveremo sùbito molti, e via via ancor più, sui monti o chissà dove. Non sottovaluterei infatti il richiamo forte dei luoghi d’origine dei tantissimi che come me sono andati per il mondo, e qui possiedono ancora casa e terreni, anche se di questi ultimi non conoscono neppure i confini.
A convincermi che una simile iniziativa sarebbe destinata al successo – anche in tempi brevi – basterebbe l’adesione corale che ha riscosso l’iniziativa “detta e fatta” dallo stesso Federico Pagliai a favore delle popolazioni del Centro Italia colpite in questi giorni da nevicate mai viste, non bastasse il terremoto.
Anche qui le parole di Federico espresse a nome dell’Associazione LetterAppenninica rappresentano la miglior sintesi di quanto è accaduto non appena lanciata l’idea:
E’ bastato l’innesco targato Letterappenninica, che evidentemente riscuote più fiducia di altre strutture e persone, a far deflagrare il fiato flebile della montagna appisolata in un boato di voglia di fare, a trasformare il sentimento di impotenza in possibilità di fare e di muoversi con cose concrete come legna e sale e in modo assolutamente diretto, senza intermediari se non quelli che fisicamente porteranno ad Accumoli (o quanto più vicino possibile) 110 quintali di sale da disgelo strade e 50 quintali di legna da ardere.
Tutto nasce e diventa realtà in quattro, dico quattro ore! Tempi e modi di fare che la politica o altre strutture se li sognano e che mi inducono ancora più a pensare che servono movimenti popolari distanti dal modus operandi della politica o altre strutture, spesso impastate da lungaggini burocratiche.A seguire, durante la notte si parte per il Centro Italia con due camion carichi di sale e legna di crinale appenninico settentrionale. Arriveremo a Posta, provincia alta di Rieti, ovvero al luogo di stoccaggio materiale allestito dal COI (Centro Operativo Intercomunale) all’alba di domani, sabato 21 gennaio. Portiamo quintali di sale (in un primo tempo si pensava anche alla legna poi le indicazioni sono cambiate). Cose concrete, mirate al momento, uso e destinazione di utilizzo finale e consegnate direttamente a chi di dovere.In realtà, ed è un gran bel peso, portiamo la solidarietà di tante persone di montagna e non che questa tragedia degli Appennini se la sentono dentro e vicina. Una montagna viva, un po’ appisolata ma se toccata con gli stimoli giusti diventa l’ombelico della solidarietà!
Sabato mattina il camion col sale è arrivato a destinazione.
Mi chiedo, e domando a tutti i lettori, quante cose potremmo realizzare sui nostri monti se usassimo nel quotidiano lo stesso spirito di partecipazione e di solidarietà.
Riprendo ancora le parole di Federico Pagliai (più chiare di così!) dal suo pezzo del 15 u.s.:
Non è eresia cominciare a pensare a forme di autogoverno con dei proventi che la montagna produce e che, stante il continuo dissanguamento dei servizi, a questo punto sarebbe giusto restassero qui. Abbiamo bisogno di sanità, trasporti, istruzione, di botteghe e bar, di scuolabus, di assistenza domiciliare h24, di mezzi spargisale, di gente che sa fare il pane da sé, di chi scrive libri, di chi ha un sito web sul vivere in montagna, di chi apre un’ impresa quassù, di che vende formaggi, funghi, ceste di vimini e piccole sculture di legno, di una mensa ospedaliera a centimetri zero, di maestranze come falegnami, idraulici, elettricisti, caldaisti che, alla bisogna, dedicano un’ ora del proprio tempo per il vecchietto accanto casa.
Formulo anch’io una proposta: potrebbe sorgere a fianco di LetterAppenninica una OPERAPPENNINICA che diventi il braccio operativo di chi vorrebbe riportare la vita ed un nuovo futuro sui nostri monti? La scrivo così, sperando di poter eliminare al più presto quel punto interrogativo e sedermi ad un tavolo con gente pronta a rimboccarsi le maniche”.
Sante Ballerini