Quando si pensa a servizi di pubblica utilità vengono subito in mente settori precisi: il sanitario, il bancario, l’amministrativo, il postale, il settore dei trasporti e delle telecomunicazioni. E questo è pacifico. Anche da noi, in montagna, sono nate manifestazioni contro il depotenziamento di strutture sanitarie, come l’Ospedale “Pacini” di San Marcello Pistoiese, oppure contro le paventate chiusure di sportelli postali, come è successo a Cireglio, Pracchia, Calamecca, le Grazie, San Mommè, Villa di Baggio.
L’importanza dei servizi in montagna
Ma in zone disagiate, come sono molti centri della nostra montagna, siamo sicuri che i servizi di pubblica utilità siano solo quelli suddetti? E che non ve ne siano altri di pari importanza?
E’ di questi giorni la notizia che a Cutigliano due esercizi commerciali hanno chiuso i battenti e con essi una parte della storia di quel paese. Checché se ne dica. La domanda che allora dovremmo porci è la seguente: un negozio di generi alimentari, che so, a Treppio, all’Orsigna o a Calamecca, pur gestito da privati, non è anch’esso un servizio di pubblica utilità quotidiana per i pochi, purtroppo, che continuano coraggiosamente ad abitare quei paesi?
Il peso fiscale da ricalibrare
Eppure il peso fiscale per tali esercizi non differisce rispetto ad analoghe attività cittadine. I giureconsulti e gli amministratori sostengono che, in base all’art. 3 della Costituzione, un cittadino non può essere trattato diversamente da un altro, ma omettono di dire che la nostra Carta Costituzionale, nell’art. 44 comma b, prevede che la legge disponga provvedimenti a favore delle zone montane. E quali sarebbero i provvedimenti più adeguati se non una potente defiscalizzazione ed una minore pressione della burocrazia per gli esercizi situati in zone depresse?
La tutela dei piccoli borghi
La chiusura di una sola bottega di generi alimentari, di un’osteria, di una edicola in montagna è un segnale evidente del progressivo spopolamento e nel contempo della scarsissima attenzione che il nostro territorio riscuote nelle sfere dell’alta e della “media” politica. Eppure, almeno in teoria, esistono leggi (come la n° 97 del 31 Gennaio 1994) e proposte di legge (l’ultima si sta discutendo proprio in questi giorni alla Camera dei Deputati) che intenderebbero tutelare i piccoli comuni periferici e montani dallo spopolamento e dall’impoverimento progressivo dei servizi; ma “ sul campo” non se ne continuano a vedere gli effetti! Dov’è, allora, l’intoppo, la strozzatura del sistema?
E’ nella tanto menzionata “penuria di risorse”, nella miopia e nell’inerzia dei politici, nello scarso serbatoio elettorale che i piccoli comuni rappresentano, o in che altro?
Un modello economico che cambia
Inoltre, anche dal punto di vista strettamente economico, un numero sempre maggiore di esperti ritiene ormai superato il sistema dell‘”homo economicus”, cioè del singolo imprenditore sorretto da un’idea vincente e da capacità non comuni, e ritiene, invece, che il futuro dell’economia sia fatto di sinergie tra enti pubblici, organismi no profit , imprese e cittadini, per conseguire obiettivi che perseguano il bene comune, anche di piccole comunità, come è emerso in un Convegno di economia tenutosi il 27 Maggio 2016 a Torino.
L’importante è far capire a tutti, privati cittadini, aziende e interlocutori politici ad ogni livello che alla lunga non paga la filosofia delle aree protette, cioè di pochissime eccellenze collocate in zone depresse perché, per definizione, tutt’intorno alle oasi c’è solo il deserto e il benessere non è quasi mai condiviso.