Fra qualche giorno, giovedì 27, a Cireglio la nuova gestione di un bar farà rima con il none “Le fancille” e qualcuno, di passaggio, penserà ad un refuso, un errore. Invece non è affatto così. Fancilla, fancille al plurale, è un termine ancora usato, un tempo lo era molto di più, sulla Montagna Pistoiese, e in alcune zone in particolare. Un modo antico di rivolgersi ad una bambina o a una ragazza, che soprattutto le persone di una certa età usano ancora frequentemente. Nelle righe che seguono le origini di questo simpatico appellativo e il suo evolversi nel tempo.
La parola “fancilla” svela una particolarità lessicale della montagna pistoiese. Essa è la versione femminile contratta di “fan(ti)cello”; infatti il “fancello” nel 1300 era il “garzone”, il “ragazzo di umili origini”, il “servente”. Alcuni secoli più tardi, nel 1700, si è affermata qui da noi la forma “fancilla” ed ha acquisito il significato di “bambina”di estrazione sociale non elevata, che aiutava la famiglia nei lavori quotidiani, per lo più con una connotazione vezzeggiativa: insomma, era quasi un complimento.
In origine, però, “fanticello “ e “fanticella” sono collegati a “fante” ed al suo contrario, “infante”. Tutt’e due le forme derivano dal verbo latino fari, che significava “parlare”. L’infante era, dunque, colui che non sapeva ancora parlare; il fante, invece, cominciava ad esprimersi in modo articolato. In entrambi i casi si trattava di giovanissimi.
Poi “fante” è entrato a far parte del lessico militare col significato di “soldato a piedi” ed in questo caso ha ripescato uno dei valori originari, quello di “servo”, perché probabilmente il fante era il servo del ben più titolato cavaliere. Oggi “fancilla” è sopravvissuto qui in montagna nel parlare quotidiano di qualche padre o di qualche nonno che ricordano “i bei tempi andati”. E allora “viva le fancille”.