Ero un bimbetto, venivo in villeggiatura per intere estati sulla Montagna pistoiese e sentivo parlare di “varianti” ai paesi, di nuova strada per raggiungere le terre più alte in tempi ridotti, favorire il turismo, rendere la vita quassù più appetibile o quantomeno con disagi minori. Sono un uomo attempato e sulla parte bassa di questa montagna ci vivo ormai da un quarto di secolo e questa strada, la Via Modenese, il tratto montano della statale (poi regionale) 66, la conosco come le mie tasche. So che quel numero 66 potrebbe evocare magici scenari, quelli della “ruoute 66”, la strada-simbolo che per migliaia di chilometri taglia trasversalmente quasi tutti gli Stati Uniti. Ma non è così. O almeno non più. Il fascino della sua storia antica – il tratto toscano del collegamento fra Pistoia e Modena fu realizzato nella seconda metà del ‘700 dall’ingegnere civile Leonardo Ximenes – è via via svanito con il passare degli anni.
In quarant’anni abbondanti ho visto cambiare la vita anche dai segni di questa spina dorsale della montagna, strada lungo la quale si affacciano minuscoli borghi, paesini e paesoni, e deviando dalla quale, in genere di pochi chilometri, si trovano tutte le località più note e frequentate (soprattutto un tempo). Non me ne vogliano altre località che si trovano su altre direttrici, il versante della Collina fino a Sambuca, buona parte del Comune di Piteglio, quello di Marliana, che guarda sul versante opposto, ma il vero asse portante era e resta la 66. E’ su di essa che transitava, e ancora transita, la grande mole di traffico per e dalla montagna. Arteria fondamentale quanto detestabile. In particolare per chi ha una casa che vi si affaccia. Un tempo, molto tempo fa, era una ricchezza; da molto tempo un handicap se non un supplizio. Caos, code, smog, ingorghi, pericoli. Per quanta gente ci passa tutto sommato pochi incidenti, se la memoria non mi inganna. Quelli mortali in anni recenti sono stati alcuni fuori strada finiti contro i muri delle case (l’ultimo pochi giorni fa a Piazza): il classico schianto dopo una manovra errata. E poi mi ricordo, fra gli altri, quello dell’ormai lontano 1991, al Laghetto delle trote: una moto con a bordo due ragazzi contro un’auto in manovra. I due giovani morirono. Fu una tragedia collettiva.
L’ingombrante presenza dei tir
I miglioramenti effettuati negli anni per la sua “messa in sicurezza” – che ci sono stati, non si può certo negare – hanno finito per invogliare ancor di più i “piloti” (di gente che pigia sull’acceleratore come fosse una pista ce n’è abbastanza) nelle loro gare personali. E hanno invogliato anche il traffico pesante, il vero grande peso, in tutti i sensi, della Modenese. Furgoni e camion ma anche molti tir, bolidi che sbuffano, inquinano, a volte fanno tremare i vetri, coprono le voci e gli altri rumori, creano code infinite. Diciamolo, sono una presenza insopportabile. Si dirà che non possono che passare da qui. E’ così ma solo in parte. Il grosso di questo traffico è rappresentato dagli snodati dell’Acqua Silva, uno stabilimento che sorge accanto ad ua sorgente ma anche ad una stazione ferroviaria (!!). I tir delle cave di pietra nella zona di Lucchio prima si infilano nelle strettoie di Popiglio poi invadono la 66: non c’è proprio alternativa? Certo anche togliere questo mezzi non cambierebbe il volto di una strada di grande comunicazione, con tutta la sua mole inevitabile di traffico, ma aiuterebbe parecchio.
Limiti di velocità e strisce pedonali
Non ci sono alternative? Bene, anzi male, ma allora cerchiamo di convivere meglio con quel che c’è. Da un lato le norme del codice della strada (come tutte le norme spesso distanti dai reali bisogni) prevedono che da Ponte Calcaiola si possa effettuare il primo sorpasso nel lungo tratto fra Cireglio e Le Piastre (neppure dopo il curvone prima di Cireglio). Così, dovendo rispettare i segni sulla strada si creerebbero serpentoni (che già si creano ma ridimensionati) di chilometri e chilometri: magari con in testa un mezzo dell’Acqua Silva, un autobus del Copit o un tir diretto alle cave. Di contro, per frenare gli istinti degli autisti impazienti e spericolati, non c’è traccia di apparecchi di controllo elettronico della velocità; i dossi non possono essere installati perché creerebbero problemi nei periodi di neve, non esiste neppure un banale rilevatore della velocità. Carabinieri e Polizia effettuano un controllo assiduo ma non possono essere sulla strada 24 ore al giorno.
E’ un piccolo esempio dell’italica ipocrisia: ti dico che non puoi far nulla – limiti di velocità, strisce continue ecc. – ma chiudo un occhio, anzi tutti e due (nessun controllo e dissuasione vera) e lascio solo alle forze dell’ordine l’ingrato compito di fermare, controllare, sanzionare. E all’abitudine dei residenti evitare di essere travolti. Ma vi siete mai chiesti le difficoltà delle persone anziane ad attraversare questa strada, anche grazie alla scarsità di segnaletica? Un po’ più di banali strisce pedonali, magari con colori visibili come usa oggi e con un cartello che le segnala, è chiedere la luna?
Il problema dei parcheggi
Insomma se non si può avere il meglio allora cerchiamo il meglio possibile. Perché laddove si è intervenuti i risultati si vedono. La strada è stata migliorata in più punti, sono state ridisegnate curve e traiettorie, ci sono stati ampliamenti. Il problema del parcheggio, per esempio, più presente nella parte bassa, è stato risolto a Piazza e al Borghetto. Resta una tragedia a Cireglio. Poi proseguendo la salita vi sono criticità, come lo snodo di Pontepetri, ma bisogna giungere nell’abitato di San Marcello per ritrovare altre difficoltà vere. La più grande località della montagna ha i suoi spazi di sosta anche lungo la strada ma va in sofferenza nei momenti di maggior transito. Superato San Marcello e poi La Lima, la Modenese cambia numero (statale 12) e pelle e diventa un’altra cosa, su su fino all’Abetone. Con meno problemi o almeno diversi.
La manutenzione da migliorare
Se le competenze cambiano, gli enti pure – ma la Provincia c’è o non c’è, e chi fa quello che le competeva una volta?, continua a chiedersi la gente – qualcuno dovrà pur manutenerla questa strada. Gli alberi che incombono minacciosi qua e là, gli scarichi pieni di foglie, i cigli pieni i erbacce, l’asfalto che ogni volta viene rifatto sopra al manto precedente creando situazioni grottesche di case finite abbondantemente sotto il livello della strada. Servirebbe maggior cura e maggiore attenzione. Gli enti e le competenze sono diversi, lo sappiamo, ma serve coordinamento. Fanno piacere a vedersi i muri di sostegno in pietra realizzati negli ultimi tempi. Davvero belli, fatti bene e velocemente. Non chiederemo perché spendere tanti soldi in quegli interventi e non in altri più urgenti: sicuramente i finanziamenti avevano quella destinazione e quello si doveva fare. Bene, ma ci sono altre e più incombenti priorità.
Un nuova strada: realtà o fantascienza?
Non so, non sappiamo, se esistano davvero risorse, volontà politica e condizioni tecniche e ambientali per poter ipotizzare la creazione di un nuovo collegamento dalla pianura alla parte più alta della montagna, che liberi i paesi dalla morsa del traffico e aiuti la montagna ad attrarre nuovi visitatori. Ridurre i tempi sarebbe importante. Non decisivo, ovvio. La montagna deve saper pensare a molto altro. La sua appetibilità dipende non solo da quello che offre la natura ma anche da chi la vive e chi la governa. Non c’è un solo elemento sul quale puntare. Non parole magiche, se prese a sé stanti: non solo neve, turismo verde, enogastronomia, patrimonio storico e artistico, tradizioni, eventi. E certo non solo la strada. Ma leggetele tutte assieme, una di fila all’altra. Usando bene queste carte siamo proprio sicuri che dalla nostra Montagna si debba scappare? Che non possa tornare ad essere appetibile per residenti e visitatori? Certo, non cerchiamo quello che non si deve cercare. Le passeggiate su un terreno pianeggiante sono un’eccezione, non la regola, ovviamente. La neve è una risorsa ma anche un problema, l’inverno è freddo e lungo, quando piove non è difficile intristirsi più che altrove. Ma tutto ciò fa parte della natura, è inevitabile.
Il problema è complesso, ma si è incancrenito perché per decenni nessuno ha pensato la montagna pistoiese del futuro, perché nessuno ha visto oltre il proprio naso, chi per motivi elettoralistici, chi trucemente egoistici, chi per necessità di cordata associativa, chi per durezza di comprendonio, chi per pigrizia intellettuale. Una nuova strada potrebbe davvero liberare i paesi lungo la 66 dalla morsa del traffico e condurre alle mete turistiche di alta quota in tempi ridotti? Se lo si pensa davvero che si persegua, per l’appunto, questa strada. E che sia una priorità assoluta. Ricordandosi che c ‘è un articolo della Costituzione che non si presta ad equivoci: “La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”. Vogliamo partire da qui? Chi ha il potere di farlo ci provi.