![](https://lavocedellamontagna.it/wp-content/uploads/2016/05/8_1-Una-montagna-di-parole-002.png)
In un passato nemmeno tanto lontano era costume diffuso in collina e montagna allevare animali, da cortile e non, per integrare l’alimentazione e l’economia familiare, semplicemente, senza tutti i controlli e i balzelli che oggi scoraggiano chiunque. Così accadeva che molte famiglie avessero i pollai, le gabbie dei conigli, gli stallucci per i maiali ecc. Perciò, appesi ai muri delle stalle, fra i vari utensili indispensabili, non mancava mai il “gavagno”, o “cavagno”, un grande canestro di salci che serviva a portar a casa l’erba fresca o il fieno per gli erbivori. Allora si vedevano uomini e donne rientrare col gavagno sulle spalle, vuotare l’erba nella stalla, al riparo, eventualmente per farla asciugare, e poi nutrire gli animali.
La parola “gavagno” è tipicamente toscana e, ancor più, pistoiese, perché la forma etimologicamente più pura sarebbe “cavagno”, che deriva indirettamente dal latino cavum , cioè “cavo, capiente”, e direttamente da una forma forse perduta cavaneum.
Insomma, sempre questo latino di mezzo, anche nei nomi degli strumenti agricoli della nostra montagna; tuttavia non poteva non essere che così, perché il latino, originariamente, era una lingua “agricola”.