Ambiente, L'intervista  |  luglio 2, 2016

Rischi idrogeologici: “Non servono interventi episodici ma un piano ordinario di monitoraggio”

La parola al geologo Nicola Casagli, uno dei massimi esperti della materia. "L'Italia è un Paese a fortissimo rischio e con i migliori monitoraggi: il problema è che i dati non vengono aggiornati continuamente". La messa a punto del MIG, un algoritmo che fornisce previsioni sui movimenti della terra. "Ma prevedere le frane è molto difficile, se non impossibile, soprattutto in montagna su piccoli bacini"

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Nicola Casagli, uno dei massimi esperti della materia, intervistato sul rischio idrogeologico

FIRENZE – Nicola Casagli è professore ordinario di Geologia applicata presso il Dipartimento di scienze della terra dell’Università di Firenze, del quale è stato anche direttore, è responsabile di uno dei Centri competenza rischio idrogeologico della Protezione civile nazionale e della Commissione nazionale grandi rischi, oltre ad essere stato membro del Senato accademico dell’Università di Firenze. Al suo nome è legata la messa a punto di uno strumento che incamera informazioni sulle aree a rischio frana e fornisce previsioni sui movimenti della terra ribattezzato Mig, ovvero “Multi Hazard Information Gateway”. Insomma è la persona più qualificata con la quale affrontare l’argomento dei rischi connessi al territorio, da ogni punto di vista.
Professore partiamo da qui, dalla nostra montagna, quella pistoiese in particolare e quella toscana più in generale. Come possiamo collocarci nella scale dei rischi idrogeologici?
“L’Italia è un Paese ad alto rischio e la Toscana lo è particolarmente, soprattutto laddove vi sono rilievi montani vicini al mare, penso alla Garfagnana e alla Versilia. L’Appennino pistoiese è caratterizzato dalla presenza di rocce che si disgregano in sabbia: fenomeni da tenere costantemente sotto osservazione, anche con lo studio delle caratteristiche del territorio”.
Cutigliano poi presenta una situazione particolare.
“Cutigliano si trova su un’antica frana lenta, da controllare continuamente con apposita strumentazione in sito. Il nostro studio più recente risale al 2005. Una parte del paese subisce spostamenti nell’ordine dei 5-8 millimetri all’anno, quella più alta fino a 18-19. Ma attenzione ci sono centinaia di situazioni simili a questa nel nostro Paese”.
A conferma che la materia va trattata con cura. Ma se l’Italia è un Paese ad alto rischio è vero che è anche all’avanguardia nello studio e nella prevenzione di certi fenomeni.
“Satelliti radar a 800 chilometri di distanza dalla terra che forniscono dati esistono in Europa già dal 1992 e abbiamo iniziato ad utilizzarli in  Italia dal 1996. Il primo studio su grande scala risale al 2003 su tutto il bacino dell’Arno. Nel 2008-2010 siamo arrivati alla copertura dell’intero territorio nazionale con il Piano straordinario di telerilevamento. Siamo stati il primi al mondo a farlo. Siamo un Paese con un territorio a fortissimo rischio e abbiamo i migliori monitoraggi: il problema è che i dati non vengono aggiornati continuamente. Ci vuole un piano ordinario di monitoraggio del territorio, non piani straordinari ed episodici”.
E’ proprio nel suo dipartimento dell’Università di Firenze che è stato sviluppato un sistema innovativo che va sotto la sigla di MIG, un algoritmo che incamera informazioni sulle aree a rischio frana e fornisce previsioni sui movimenti della terra. C’è un episodio in particolare verificatosi all’Elba nel 2014, unico nel suo genere. Ce ne vuol parlare?
“All’isola d’Elba stavamo seguendo una zona a rischio quando i sensori installati fecero scattare l’allarme rosso. Noi avvertimmo le autorità che chiusero un tratto di strada. Qualche giorno più tardi quel tratto di strada subì un profondo avvallamento”.
E non era mai accaduto prima?
“Era la prima volta ​ per quella tipologia di fenomeni, ovvero le voragini di sprofondamento. Nel 2002 abbiamo previsto esattamente il collasso di una frana da mezzo milione di metri cubi sulla strada statale della Futa. Ne abbiamo previste altre. La previsione delle frane è talvolta possibile quando esistono sistemi di monitoraggio affidabili. II monitoraggio delle frane ​cosiddette lente può​ avvenire tramite satelliti ma è molto difficile prevedere questi fenomeni, se non impossibile, soprattutto in montagna su piccoli bacini. L’unico modo per ​prevederle in montagna è lo studio di cosa può causare una frana, penso soprattutto alle piogge. Certi fenomeni come le precipitazioni si possono prevedere. Per le frane profonde in montagna servono invece​ sistemi di monitoraggio locali”.
Se prevedere una frana è molto difficile, quali altri metodi si possono attuare per difendersi da questi fenomeni?
“Delle buone leggi urbanistiche che tutelino il territorio e impediscano di costruire dove non si deve farlo. In Toscana abbiamo una buona legge urbanistica ma anche da noi si continua a costruire in aree a rischio pur avendo norme che lo impedirebbero. La pianificazione urbanistica è essenziale: fino ad alcuni anni fa la situazione era molto peggiore, poi dopo l’alluvione a Sarno nel 1998 le cose sono migliorate. E poi conta il buon senso. Bisogna mettere il cittadino nelle condizioni di poter decidere, per esempio, se intervenire su un edificio oppure no, rendendolo consapevole delle conseguenze sulla propria sicurezza”.
Chiudiamo con la resilienza, termine sempre più usato in relazione a catastrofi naturali, (terremoti, alluvioni, frane e così via), per intendere la capacità di affrontare in maniera positiva certi eventi, riorganizzarsi di fronte alle difficoltà. Cosa può dirci al riguardo?
“La resilienza è un concetto antico tornato di moda in tempi recenti, soprattutto con la conferenza mondiale sulla riduzione dei disastri di Sendai​ del 2013​, in Giappone. Quasi tutti i Paesi del mondo hanno firmato un documento sulla resilienza, un testo utile soprattutto a quelli meno sviluppati. Ci sono esempi che ci spiegano la resilienza a certi episodi. L’alluvione nel Polesine del 1952 con lo spopolamento e l’evacuazione, una vera e propria diaspora, non fu un comportamento resiliente come lo fu, al contrario, quello di Firenze e dei fiorentini nel 1966 in occasione dell’alluvione. Una comunità resiliente moderna si dota di strumenti di conoscenza e monitoraggio. Chi non conosce si espone a rischi enormi. Conoscere è il miglior modo per fare prevenzione”.


Paolo Vannini

Laurea in scienze politiche, giornalista professionista dal 1998, ha lavorato nei quotidiani La Nazione e Il Giornale della Toscana (edizione toscana de Il Giornale), è stato responsabile dell'Ufficio comunicazione del Comune di Firenze, caporedattore dell'agenzia di stampa Toscana daily news, cofondatore e vice direttore del settimanale di informazione locale Metropoli. Ha lavorato presso l'Ufficio stampa di Confindustria Toscana, ha collaborato e collabora per diverse testate giornalistiche cartacee e on line - fra queste il Sole 24 ore centronord, Il Corriere Fiorentino (edizione toscana del Corriere della Sera), Radio Radicale - si occupa di uffici stampa e ghost writing.