Abetone, L'intervista  |  giugno 22, 2016

“Sulle tracce dell’Angelo Bianco”, il Colò meno famoso ma dalle grandi gesta

Era cugino di Zeno, fu il primo atleta di sci di fondo e sci alpinismo dell'Appennino Tosco-Emiliano ad emergere a livello nazionale. Morì durante il confitto mondiale. Riccardo Crovetti spiega come nasce l'idea di scrivere un libro su di lui. Le difficoltà a reperire il materiale. Il forte legame del protagonista con la famiglia e la terra di origine

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ABETONE – Si intitola “Sulle tracce dell’Angelo Bianco” l’opera prima di Riccardo Crovetti, 50 anni, di Pievepelago. Protagonista del libro Paolo Colò (zio della madre di Crovetti), cugino del più famoso Zeno, giovane abetonese, che con il suo talento agonistico puro diventò il primo atleta di sci di fondo e di sci alpinismo proveniente dall’Appennino tosco-emiliano ad emergere in ambito nazionale. Dopo un’accurata ricerca di documenti, fotografie (il libro ne contiene 95), articoli di giornale e testimonianze dirette, l’autore ha ricostruito la sua vicenda umana, sportiva e militare, fra gli anni Venti e Trenta, ovvero la storia affascinante ed inedita degli albori di quella generazione di fenomeni che hanno scritto una delle pagine più belle del nostro sci, da Rolando Zanni a Vittorio Chierroni a Celina Seghi fino al futuro campione olimpico, Zeno Colò. Il libro, edito da Mursia e alla sua terza edizione, ha suscitato molta attenzione – diverse le recisioni sulla stampa e anche un’intervista al Tg5 – e parteciperà alla XIV Edizione del Premio Letterario Nazionale “Alpini Sempre”. In Toscana è stato presentato in diverse località, fra queste Abetone, Cutigliano e Pistoia. Ecco l’intervista che abbiamo realizzato con l’autore.

Cosa l’ha spinta a scrivere un libro su Paolo Colò?
«Tutto nacque, mentre ero a pranzo dai miei genitori, un giorno di aprile del 2011. Mi trovai a fissare un quadretto che era attaccato al perlinato del salotto. Era un primo piano di Paolo Colò, lo zio di mia madre, in cui veniva ripreso sui campi di sci. A quel tempo sapevo poco o nulla di lui e il vedere la sua immagine mi fece nascere l’idea di fare un link su facebook in suo ricordo. Poi, quando Vera Colò, la nipote di Paolo, mi diede il diario che lo stesso aveva scritto durante il periodo trascorso nel Corpo degli Alpini, tutto cambiò. Lessi quella quindicina di pagine tutto d’un fiato e oltre alla grande emozione che provai, decisi che ciò che aveva scritto non poteva finire nel dimenticatoio».

Come nasce l’idea del titolo “Sulle tracce dell’Angelo Bianco”?
«Tenendo conto di un personaggio vissuto quasi ottant’anni fa e di fatti avvenuti durante un conflitto mondiale si può parlare di “tracce” non proprio facili da seguire. Sicuramente il lavoro più complicato e importante è stato impiegato per la ricostruzione del periodo abetonese che si è basato su interviste a persone che hanno vissuto quell’epoca e ad articoli di giornale di quel tempo. “Angelo” perché dal diario, dalle sue lettere che scrisse alla madre e dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto si evince la sua bontà d’animo e il suo grande aspetto umano. “Bianco” perché lo sci era la sua grande passione e la decisione di emergere in quello sport condizionerà e segnerà per sempre la sua vita».

Cosa l’ha colpito di più della vita di Paolo?
«Sicuramente il forte legame che aveva con la terra di origine e la sua famiglia, soprattutto la venerazione per la madre che cercò di confortare fino agli ultimi istanti della sua esistenza. Una vita, la sua, che colpisce per quanti eventi sfortunati la costellarono. Mi ha colpito anche la sua grande determinazione nel volere emergere nella disciplina del fondo, da lui amata più della sua vita. Infatti, quando gli fu data la possibilità di misurarsi con i forti specialisti delle valli alpine, nonostante la giovane età, dimostrò di essere loro pari».

Quale fu il momento in cui la vita di Paolo cambiò direzione?
“Alla fine degli anni Trenta, decise di entrare a far parte di un reparto sportivo d’elite, il Nucleo Pattuglie Sci Veloci della Scuola Militare di Aosta che raccolse tra le sue file tutti i nostri atleti azzurri delle discipline alpine e nordiche di quel tempo. L’approdo al reparto sportivo non fu semplice per l’abetonese che dovette affrontare una dura gavetta, partendo dal Corpo sciatori del 6° Reggimento Alpini, nel quale si mise subito in evidenza. Una volta giunto al Nucleo di stanza al Sestriere e poi a Cervinia si mise subito in luce, dimostrando di essere uno dei migliori atleti della Scuola di Aosta. L’abetonese divenne uno dei primi maestri di sci della Fisi e la sua polivalenza lo fece primeggiare anche nelle gare di sci alpinismo a squadre”.

Con questa opera lei ha acceso i riflettori su un cognome conosciuto solo grazie alle gesta del cugino Zeno. Che rapporto c’era fra i due?
“I due erano legati dalle stesse origini, condividevano aspirazioni e sogni. Un tragico scherzo del destino li farà ritrovare insieme nei giorni al fronte. Paolo morì all’ospedale militare di Torino per le ferite riportate nel conflitto. L’ironia della sorte porterà successivamente Zeno a far parte del reparto sportivo di Paolo, lì l’abetonese si consacrerà campione raccogliendo così l’ideale passaggio del testimone del cugino.

Quale difficoltà hai incontrato nel reperire un materiale iconografico così importante e imponente?
“Buona parte delle foto facevano parte di un prezioso album di fotografie che Paolo con cura aveva datato e commentato. Ma la mia ricerca di immagini non si è fermata lì e grazie ai discendenti dei personaggi vissuti vicino al mio avo, ho potuto arricchire ulteriormente gli inserti fotografici del libro” .

 

Prima di leggere il libro di Riccardo Crovetti ho sempre legato il nome di Colò a quello del leggendario Zeno, figura mitica dello sci in bianco e nero, entrato a buon diritto nella leggenda dello sport. Molte volte nel raccontare lo sci ho avuto il privilegio di parlare di Zeno Colò e della sua incredibile figura di sciatore e di uomo senza mai neppure immaginare che sulla neve un altro Colò avesse potuto recitare un ruolo agonistico di assoluto pregio come invece Paolo seppe fare. Questo libro mi ha dato la possibilità di aprire una stupenda finestra sul passato e su quello sci di fondo che sempre mi ha affascinato e che, grazie alle vicende di Paolo, ci restituisce un agonismo del quale ci sono giunti piccoli frammenti ed altrettante emozioni, consegnate a foto sbiadite di piste approssimative. Ma ci sono tanti altri elementi che concorrono a rendere la lettura appassionante, quasi frenetica: stati d’animo e situazioni, descrizioni e riferimenti,cura dei dettagli e dei sentimenti e poi l’Amore.. tanto Amore per la storia di un ragazzo al quale la guerra rubò i sogni e la vita!! Ho scoperto tante cose che non conoscevo e, vivendo in Valle d’Aosta, ho potuto verificare di persona quanto fedele fosse stata la precisione del racconto e dei riferimenti. Un libro prezioso perché raccoglie infinite testimonianze consegnate soprattutto a chi vive di montagna ed ama la montagna! Un libro da custodire con rispetto e cura.
Carlo Gobbo, giornalista Rai, prima voce ufficiale dello sci alpino dal 1996 al 2008


La Redazione

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