Personaggi e Interpreti  |  maggio 26, 2016

Gli scatti di Andrea, in giro per il mondo, alla ricerca di un’emozione

Una vita a fotografare, correggere, stampare. Per lavoro e per passione. Negli ultimi anni un vero e proprio tour mondiale ha prodotto migliaia e migliaia di foto. Custodite nella sua mansarda . Esposte in mostre e in alcuni libri. I soggetti? All'inizio il predominio delle architetture, poi le persone. "Ma non sai mai quello che ti può capitare"

di

Tempo di lettura: circa 5 minuti

[pjc_slideshow slide_type=”andrea-alfieri”]

LE PIASTRE – La vita di Andrea Alfieri, 62 anni, perugino di nascita ma pistoiese di adozione – per tanti anni residente a Cireglio, poi alle Piastre -, si è incrociata molto presto con la fotografia. I primi scatti da giovanissimo per passione, poi tanti anni di lavoro in un laboratorio, a Pistoia, dal 1981 al 2006, a lungo come dipendente, poi in proprio, fino a che il il passaggio dall’analogico al digitale lo convinse a lasciare il campo e dedicarsi ad altro (da allora lavora alla Dynamo Camp di Limestre). “Ero stampatore e correttore”, spiega lui a sottolineare fin da subito quanto il lavoro compiuto sullo scatto e la stampa successiva siano sempre stati, e siano anche oggi, due aspetti fondamentali delle immagini finali. Da alcuni anni poi la fotografia è diventate una passione ancor più straordinaria per l’Alfieri, tanto da fargli girare mezzo mondo, scattare migliaia e migliaia di fotogrammi e ottenere riconoscimenti e apprezzamenti che nella sua prima vita magari non si sarebbe atteso. Da un po’ di tempo le sue foto sono state protagoniste di mostre importanti, in Italia e all’estero (l’ultima in ordine di tempo a Reutlingen, in Germania), ha pubblicato due libri, “La città inattesa” nel 2012 e il secondo “Sequenza di tre”, nel 2016, che documenta la recente mostra a Pontassieve – entrambi con la prestigiosa presentazione dell’ex direttore degli Uffizi, Andrea Natali – oltre a due testi dedicati alla Dynamo.

Non la cronaca ma foto che diano un’emozione

Tutto iniziò quando, a 14 anni, con i soldi di una vacanza saltata acquistò un ingranditore. “Creavo qualcosa di mio, con le mie mani e la cosa mi intrigava tantissimo. Lo sviluppo nella camera oscura aveva un fascino irresistibile”. Il suo interesse non è mai stato per la foto di cronaca, non lo interessa l’evento né il reportage fotogiornalistico. “Io faccio in modo che le foto diano un’emozione”. Un incontro abbastanza recente con un mostro sacro del genere come Folco Quilici lo conferma. Racconta ancora Alfieri: “Lui mi disse perché mai io andassi a fotografare in India delle navi che stavano smontando pezzo dopo pezzo, vicino a Mumbai, quando ormai l’avevano già fatto tanti prima di me. Quilici è stato un grande documentarista, è stato i nostri occhi. Ma io gli dissi: Folco, a me interessa quello che trovo”.

In giro per il mondo

E di soggetti ne ha trovati molti nei suoi viaggi a Londra, Parigi, Barcellona, Valencia, Dublino, Berlino, Istambul e poi in altri continenti, negli Stati Uniti, in Marocco, Uzbekistan, Emirati Arabi, Cina, Iran, Cambogia, Thailandia e, soprattutto, India. “Adesso sono diventato ‘dipendente’ da quei luoghi, non riesco quasi più a fotografare in Italia, nonostante le tantissime cose belle che abbiamo”. Un aspetto che sottolinea anche Umberto Semplici nel presentare il suo ultimo libro, ovvero “quell’insaziabile fame di immagini, che lo rende irrequieto, mai fermo, sempre in fibrillazione, intento com’è a progettare nuovi viaggi, in preda a una sorta di frenesia conoscitiva”.

“Sarei dovuto nascere pittore”

Ma non è sempre stato così: “Ho avuto anche una lunga pausa senza fare più fotografie. Ho ripreso a scattare una quindicina di anni fa”. Grazie a Dio, verrebbe da dire, visti i risultati. Le foto che riempiono la mansarda della casa alle Piastre, che ha esposto nelle mostre o che si possono ammirare in alcune pubblicazioni, sono molto più che semplici immagini. “Sarei dovuto nascere pittore, avrei voluto esserlo”, conferma lui. Lo intriga la pittura, e molte sue foto paiono veri e propri quadri, ma anche il fumetto. Ci mostra alcuni libri di Breccia, Magnus (disegnatore di Kriminal e Satanik), Foster. “Non sono fumetti – precisa – sono opere d’arte. Per una collezione di Foster pagai una somma ingente tanti anni fa”.

Soggetti diversi in luoghi diversi

E lo stile? “Dipende molto da dove vado, cosa mi offrono le situazioni. Nei primi viaggi a Parigi, Berlino, Londra predominava il soggetto architettonico, in altri luoghi il soggetto principale sono le persone. Nei tempi più recenti la scenografia è rimasta più sullo sfondo, sono gli uomini e le donne, i loro sguardi, le loro espressioni. E i bambini. E’ grazie a loro, ai tanti bambini che ho seguito e fotografato per lavoro alla Dynamo, che mi è tornata la grande voglia di fotografare e di iniziare a girare il mondo”. Più o meno dal 2010. Da allora, da solo o in compagnia di amici appassionati, macchine fotografiche al collo, si è messo in viaggio. “Non so parlare lingue straniere, anche dell’inglese conosco l’essenziale, quello che mi serve per mangiare e dormire. Ma il mio rapporto con la gente nei vari luoghi è con gli sguardi, le sensazioni. Quando si va alla ricerca di un soggetto non si sa mai quello che può capitare. E’ come una caccia. La foto è frutto di tanti particolari che nessuno è in grado di stabilire. Anche con i miei amici è capitato di fare foto molto diverse fra loro pur essendo nello stesso luogo, nello stesso momento”.

La scelta finale: un lavoro rigorosissimo

Questi viaggi non superano mai i 15-20 giorni “perché se stai tanto tempo nello stesso posto tutto diventa normalità”, spiega ancora Alfieri. In genere fotografa le persone nella loro solitudine, spesso in situazioni difficili, quasi mai con troppo sole: “La luce la fa da padrona ma il sole rovina le foto – taglia corto -. Ho buttato via migliaia di stampe: il sole violenta le mie fotografie”. Ma non è soltanto il sole il motivo di scelte così drastiche. “Sì, io stampo tutto e guardo e riguardo, ombre, inquadrature, colori: e butto via quello che non mi piace fino a che non arriva il risultato che aspetto. Ma so di correre il rischio di non capire più cos’è il bello e il brutto. Sulla stessa foto cambio anche opinione nel tempo”. Dal suo lavoro pretende tanto: “La scelta è sempre più rigorosa, si è molto accentuato la mia iper criticità”.

Gli aneddoti? In un’altra intervista

Gli aneddoti di questi viaggi? I sei confetti che gli regalò una ragazza iraniana completamente coperta da un velo, “con occhi così verdi che non ho mai visto”. Un accenno a quella volta in una moschea in Iran, alla cena con i Sik in India, alla più bella foto che non ha mai scattata, a Qom : “Quello scatto mancato mi è rimasto di traverso”. Ma poi si ferma. “Ne parliamo la prossima volta. Per raccontare anche solo gli episodi più significativi ci vorrebbe un’altra intervista”.


Paolo Vannini

Laurea in scienze politiche, giornalista professionista dal 1998, ha lavorato nei quotidiani La Nazione e Il Giornale della Toscana (edizione toscana de Il Giornale), è stato responsabile dell'Ufficio comunicazione del Comune di Firenze, caporedattore dell'agenzia di stampa Toscana daily news, cofondatore e vice direttore del settimanale di informazione locale Metropoli. Ha lavorato presso l'Ufficio stampa di Confindustria Toscana, ha collaborato e collabora per diverse testate giornalistiche cartacee e on line - fra queste il Sole 24 ore centronord, Il Corriere Fiorentino (edizione toscana del Corriere della Sera), Radio Radicale - si occupa di uffici stampa e ghost writing.