Il mondo del lavoro è in grande e inaspettata trasformazione se pensiamo che nel 2022, secondo una nota del Ministero competente, circa 2.200.000 lavoratori hanno dato le dimissioni volontarie dal proprio posto e i numeri sono leggermente aumentati anche nel 2023.
E’ la Great Resignation, un fenomeno che negli Stati Uniti si è già manifestato da qualche anno. Varie le cause, non ultima l’insoddisfazione nei confronti di attività ripetitive, usuranti e prive di gratificazioni personali, il tutto aggravato dalla pandemia del 2019.
In questa moltitudine ci sono tanti giovani di età compresa tra 20 e 35 anni che sognano lavori nuovi, o anche tradizionali, ma più umani e creativi. Una percentuale non piccola di essi vuole ritornare alla vita agro-silvo-pastorale.
Gli aspiranti agricoltori in Italia
Il nostro Bel Paese, famoso nel mondo per l’arte, per la pizza e per il bel canto (e per altre cose meno nobili) ha anche un primato difficilmente uguagliabile, la burocrazia, un’Idra di Lerna dalle nove teste che, se tagliate, ricrescono immediatamente e che tutti dicono di voler ridimensionare; tuttavia è viva più che mai, anzi si rigenera, anche dopo i roghi in piazza delle leggi inutili da parte di qualche zelante ministro di qualche anno fa.
Se un giovane vuole diventare imprenditore agricolo e rimettere a coltura terreni ereditati dai nonni deve aspettarsi un percorso a ostacoli, fatto di normative spesso assurde, di calcoli orari, di percentuali, di esami attitudinali, di balzelli e di un’infinità di fogli da riempire.
Ma soprattutto deve augurarsi di avere una situazione economica familiare di una certa agiatezza perché il sistema dei bandi e dei contributi su cui potrebbe contare prevede pressoché sempre il cofinanziamento.
Chi viene da famiglie a basso reddito deve scordarsi gli incentivi comunitari, statali e regionali.
In altre parole, l’Italia nei fatti rinnega il principio sancito dall’articolo 3 della Costituzione, perché non rimuove gli ostacoli ad una piena affermazione degli individui in ambito lavorativo, anzi li crea.
Eppure di giovani impegnati in agricoltura ce ne sarebbe un gran bisogno, soprattutto per ridurre l’incuria ambientale che si sta verificando da almeno 70 anni e che produce disastri a ripetizione.
E in Francia?
Un nostro prezioso collaboratore di origine italiana, Henri Barbi, ma che vive in Francia da sempre, ci fa un quadro un po’ diverso del fenomeno, presente anche Oltralpe, del ritorno dei giovani alla vita dei campi.
Intanto ci informa che, secondo un’inchiesta dell’INSEE (Istituto Nazionale della Statistica e degli Studi Economici), nel Dipartimento delle Alpi Marittime, dove Henri vive, dal 2013 al 2019 i Comuni situati nel medio e vicino entroterra sono quelli che hanno visto la popolazione aumentare di più, contrariamente a certe città del litorale.
Nizza, ad esempio, in quello stesso periodo, ha visto prima congelarsi poi diminuire lentamente il numero degli abitanti e Antibes, una perla della Costa Azzurra, ha perso 3278 abitanti.
I paesi di collina e di montagna, dunque, ricominciano a vivere, specialmente dopo il Covid e molte famiglie giovani vi si stabiliscono, favorite dal telelavoro (il 47% delle imprese vi ricorrono almeno due volte alla settimana) e dalla migliore qualità della vita.
I vantaggi per i giovani agricoltori
Il Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare francese (così si chiama) stabilisce un aiuto a fondo perduto ai giovani che vogliano e abbiano le competenze di base per dedicarsi alla coltivazione dei campi; si tratta della Dotazione del Giovane Agricoltore (DJA) che mediamente è di 32.000 euro e sale fino a 52.000 per le zone disagiate. Più in particolare ammonta all’80% del totale, al momento della creazione dell’azienda, e al 20% alla fine del primo anno di attività, naturalmente dopo che il Prefetto ha verificato l’effettiva istallazione dell’azienda agricola stessa. Poi il giovane agricoltore ha diritto per 5 anni ad accedere ai prestiti agevolati.
“Qui da noi qualcosa sta davvero cambiando – ci dice Henri -. Ad esempio ci sono aziende olearie che prendono in affitto oliveti abbandonati e li rimettono a coltura, concedendo ai proprietari una percentuale dell’olio prodotto. Lo stesso avviene per i castagneti, perché si è riscoperto il valore anche economico delle castagne e della farina dolce. Si pensi che nella regione delle Alpi Marittime le feste delle castagne iniziano il 15 Ottobre e finiscono il 15 Novembre in varie località e a Nizza l’ultima Castagnade si celebra addirittura il 18 novembre. E’ una vera e propria festa delle famiglie, che si riuniscono intorno ad un rito antico e contemporaneamente la valorizzazione anche economica dei prodotti di un tempo”.