Uno dei tanti problemi italici sistematicamente irrisolti è quello della gestione dei boschi abbandonati, o perché gli antichi proprietari sono definitivamente emigrati o perché alle nuove generazioni non interessano le loro proprietà boschive, ritenute beni superflui.
Il risultato è una grande decadenza del patrimonio forestale dei nostri monti.
Due anni fa è nata una Start Up di giovani, legati all’Università di Firenze, che si chiama Forest Sharing e che ha per obiettivo la gestione dei boschi abbandonati: una risposta davvero interessante ad un problema serissimo che sicuramente si acuirà nei prossimi decenni.
Ad uno dei fondatori, il dottore forestale Yamuna Giambastiani, abbiamo posto alcune domande.
Dottor Giambastiani, dopo due compleanni di Forest Sharing, qual è il bilancio delle vostre attività e quali gli ostacoli?
“Il bilancio è complessivamente positivo: tra utenti iscritti e aree in fase di valutazione nella comunità di Forest Sharing ci sono 650 proprietari e 15.000 ettari di boschi italiani. Questo ha permesso l’avvio di molti progetti con caratteristiche diverse (prevenzione incendi, gestione aggregata e condivisa, pianificazione e certificazione forestale, selvicoltura a scopo sociale ed educativo, mappatura di sentieri) in varie regioni d’Italia, come Toscana, Sardegna, Friuli, Puglia ed Emilia Romagna. Col tempo la nostra idea è diventata un metodo per la valorizzazione del territorio e per far dialogare tra loro imprese, enti e istituzioni e privati cittadini
C’è ancora da fare tantissima strada se consideriamo che in Italia abbiamo quasi undici milioni di ettari di boschi, ed è qui che si intravedono gli ostacoli. Forest Sharing è uno strumento che in altri paesi europei (Francia, Spagna, Slovenia) esiste con nomi, modalità e caratteristiche diverse: si tratta però di strumenti sviluppati e gestiti da istituzioni pubbliche o partenariati pubblico/privati e non (come nel nostro caso) da piccole aziende. Ecco l’ostacolo: questo nostro strumento andrebbe adottato regione per regione da gestori del territorio che siano in grado di raggiungere capillarmente il territorio e dispiegare completamente il potenziale di questo metodo”.
So che siete ormai attivi in buona parte delle regioni italiane, quale di queste ha aderito con maggiore prontezza e perché. La Toscana come si colloca?
“Non abbiamo fatto una classifica, possiamo dire che la Toscana per numero di utenti è sicuramente ai primi posti”.
L’estrema parcellizzazione delle nostre aree rurali, oltre alla vostra proposta, non avrebbe bisogno anche di una nuova sistemazione catastale?
“Una migliore forma di condivisione dei dati catastali, e mi riferisco ai dati geografici del catasto e non quelli fiscali, aiuterebbe molto la gestione del nostro territorio. Purtroppo in Italia abbiamo diverse impostazioni e disponibilità nelle varie regioni. Ad esempio Piemonte, Trentino e Bolzano mettono a disposizione in modo semplice e gratuito, i dati geografici relativi al catasto. La Toscana permette una semplice visualizzazione. Altre regioni hanno solamente un Sistema Informativo Geografico WEB che permette solo di visualizzare queste informazioni. In molti casi sono disponibili solo i dati emanati da Agenzia delle Entrate, che però presentano dei notevoli limiti in termini di usabilità e risoluzione. Oltre al catasto, altre banche dati di uso quotidiano possono permettere una prima lettura del territorio, e organizzare e pianificare le attività in un modo più efficiente. Questo chiaramente va a discapito dei proprietari del bosco, che si trovano di fronte a alti costi di gestione”.
Quanti sono attualmente gli operatori in forest sharing e quali mansioni hanno?
“Dietro le quinte ci sono a tempo pieno 2 sviluppatori informativi (Cristiano, Francesco e Giacomo) che si occupano di gestire la piattaforma e di portare avanti le attività di sviluppo (nuove funzioni, rilasci, gestione database). Da un punto di vista di tecnico forestale, le prime valutazioni vengono fatte dai dottori forestali di Bluebiloba (Francesca, Yamuna, Alessandro, Enrico, Cristiano, Andrea), che grazie agli strumenti di ‘remote sensing’ e fotointerpretazione possono farsi un’idea di cosa si trova nella particella inserita, l’accessibilità con la viabilità, l’appartenenza a nuclei di bosco già in gestione attiva. Questo per quanto riguarda il primo approccio rispetto all’iscrizione e la registrazione di un nuovo utente. Oltre a questo, le fasi successive coinvolgono processi molto diversi, il proprietario viene messo in contatto con i componenti della rete di Forest Sharing, per attivare progetti, sviluppare nuove attività, proporre interventi. Nella rete sono presenti altri dottori agronomi e forestali, studi di progettazioni, enti di ricerca, ditte, imprese, cooperative, e molti altri attori della filiera che lavora in bosco
Per iscriversi alla vostra piattaforma cosa bisogna fare?
“Bisogna andare su www.forestsharing.it e creare un profilo utente: una volta fatto questo è possibile inserire i dati del proprio bosco (ubicazione, estensione, riferimenti catastali) e scegliere tra le attitudini gestionali possibili. L’iscrizione e l’inserimento dei dati sono un atto gratuito e non vincolanti”.
Quanto sono coinvolti i proprietari di un bosco nello sviluppo di Forest Sharing?
“L’idea di Forest Sharing è proprio quella di coinvolgere il proprietario nella valorizzazione del bosco, farlo sentire parte di una comunità. Il proprietario è il custode del bosco, che lo voglia o no, che ne sia in grado o no. Forest Sharing mette a disposizione gli aspetti tecnici e organizzativi per lo svolgimento delle attività, ma la decisione su cosa fare spetta al proprietario, come del resto i benefici dell’attività stessa, sia da un punto di vista ambientale che economico. Mediante questo approccio si crede che riportare la gestione forestale all’interno della famiglie, delle comunità, in generale delle persone, sia la chiave per riprendere in mano il nostro territorio, il luogo che ci ospita e che di dà risorse (tanto vale anche per la risorsa agricola), di cui non possiamo fare a meno, anche se viviamo in città e facciamo tutt’altro mestiere. È un passaggio culturale che deve avvenire con il tempo. Noi principalmente stiamo investendo in questo, ci interessa che i boschi riprendano la loro importanza nella vita quotidiana, e questo passa da portare avanti più o meno piccoli progetti dimostrativi e che fungano da modello di sviluppo”.