TREPPIO (SAMBUCA) – Ogni domenica si ubriacava, fino a diventare una specie di zombie: lo trovavi per le stradine del paese, o in piazza, che parlava da solo, imprecava contro quelli che gli dicevano che “il vino di Torri lo beve tutto Donato”; camminava barcollando, appoggiandosi ai muri, si fermava e riprendeva a parlare, un fazzoletto sempre in mano per asciugarsi la saliva che usciva abbondante dalla bocca. Ma sapeva anche ridere, la ciucca non lo faceva mai diventare cattivo, come fa a tanti briachi, scherzava con le persone: se le trovava per strada, le chiamava per nome, gli si piazzava davanti a gambe larghe, le stuzzicava per avere risposte altrettanto scherzose, per esempio : “Bimbo te tu vedi me ma anch’io vedo te”. Era un uomo malato di solitudine. Ricordo l’effetto strano che mi faceva, il giorno dopo la festa, vedere Donato sobrio; quando tornava dal lavoro veniva a fare la spesa in bottega, era una persona irriconoscibile, normale, come tutte le altre. Incredibile come l’alcolismo trasformi, deturpandola, la personalità: l’alcolizzato non è più un individuo, sono due esseri del tutto diversi e nemici tra loro, uno, piano piano, uccide l’altro.
LA SUA SOLITUDINE
Era rimasto solo, dopo che fratello e sorelle avevano lasciato il paese per andare, il primo in Francia, le sorelle a Firenze a servizio; non si era sposato, il vino era la sua compagnia domenicale e la sua consolazione. Durante la settimana, però, lavorava alla Forestale ed era un buon boscaiolo, lavoratore ed onesto. Era un’indole buona e pacifica e, quindi, vittima designata di persone prepotenti, (e vigliacche), ignoranti e cattive che, immancabilmente, ad ogni festa, bastava che Donato avesse la sbornia, lo prendevano di mira con scherzi, anche molto pesanti, prese in giro, dispetti, a volte crudeli. Una sera, dopo che era rincasato, gli legarono le maniglie della porta di casa con una corda e dei bastoni di traverso: la mattina dopo, avrebbe dovuto andare alla Forestale a l’Acquerino, dodici chilometri a piedi, ma non poté uscire e perse una giornata di lavoro, e la paga. Quando questi ragazzacci, (ma alcuni erano anche belli cresciuti e con famiglia), lo mettevano in mezzo, lo canzonavano e gli davano degli spintoni per farlo cascare lungo disteso, lui reagiva: “Vi sbuzzo come un vitello”, ma non ha mai fatto male a nessuno. Una sera il Circolo era pieno di gente, immancabilmente Donato fu messo al centro della stanza cominciò la sarabanda di offese, lazzi, spintoni, poi uno girò l’interruttore e spense la luce per potergli dare qualche lecca più soda; per fortuna il mio babbo era lì vicino, se ne accorse, riaccese la luce e li strigliò a dovere quei deficienti: “ Ma non vi vergognate a prendervela con Donato che non si può difendere, fatela finita, ora basta!” Allora i bulli, si direbbe oggi, smisero, ripresero le partite a carte, l’andirivieni al bar, i capannelli.
LE VISITE DOMENICALI A CASA NOSTRA
Donato veniva spesso in casa nostra, era sempre bene accolto, anche la domenica sera, con la solita scimmia sulle spalle, la sua sbornia da vino rosso: bussava alla porta a vetri della bottega,(per arrivare alla cucina si doveva attraversarla), e gridava “ gente ma ce l’avete un piatto di minestra? – pausa- “col pagare”. La mamma: “Rieccolo, anche stasera; Donato siamo a tavola”; il babbo: “Via Dina, fallo venire, dagli una sedia” e si metteva a mangiare con noi. Una sera era presente anche la zia Santina, sorella del babbo, vedova di due mariti e a cui era morto l’unico figlio, per cui era tornata ad abitare con noi. Lei Donato non l’aveva per niente in simpatia e non perdeva occasione per rimproverarlo perché beveva troppo: “Donato hai bevuto anche stasera” e lui “zitta Santina, tu sei stupita”.
l’EPISODIO DELLA CINGOMMA SOTTO IL TAVOLO
Un’altra sera eravamo tutti a tavola, solita scena: Donato si siede, a capotavola, di fronte al babbo, che muovendosi sulla sedia per alzarsi, batte con una coscia sulla parte inferiore del tavolino e sente che il gambule dei pantaloni è rimasto attaccato al tavolino, si tira indietro allontanandosi dal tavolo e vede che sul tessuto dei pantaloni c’è una specie di cialda collegata al tavolino da dei filamenti appiccicosi di colore rosina: “Che è? Una cingomma!”. “ Icche c’è?”, dice la mamma, rimembrando le sue origini pratesi; “Mi s’è attaccata una cingomma ai pantaloni” e poi: “Olga!”, dice il babbo, che aveva subito trovato chi aveva combinato il pasticcio. L’Olga, golosa di cingomme, le mangiava di nascosto e, quando erano ancora dolci non le buttava via ma le appiccicava sotto al tavolino, per riprenderle più tardi, e per non farsi vedere dal babbo che non voleva che i suoi figli mangiassero quelle schifezze americane. Quella volta, forse nella fretta, l’Olga sbagliò il lato del tavolino e appiccicò la cingomma proprio dov’era il posto del babbo. E Donato, presente alla scena, ubriaco si, ma attento, cominciò a sbellicarsi dalle risate “ Chise,(Anchise), la cencingomma!, Chise la cencingomma!” e giù risate, piegato in due sulla sedia che, a momenti, ribalta. Le risate di Donato sdrammatizzarono l’atmosfera, tutti si sono messi a ridere, un po’ meno l’Olga, rimasta un po’ interdetta ma sollevata dallo scampato pericolo di essere rimbrottata dal babbo e dalla mamma, (picchiata no, mai successo). Una scena da commedia napoletana con Donato protagonista.
A TU PER TU COL PARROCO DI TORRI
Un’altra sera, sempre di festa, riecco Donato, bussa: “Gente ce l’avreste un piatto di minestra?, col pagare…”. Entra in cucina, dov’era presente anche il nuovo giovane parroco di Torri, don Fernando, e anche lui, come la Santina, anzi di più, visto il ruolo che ricopriva, si sente in dovere di rimproverare Donato per il vizio del bere: “Mi pare Donato o ti piace un po’ troppo il vino?” e Donato di botto: “E a lei, don Fernando, gli garbano le belle donne?”. Don Fernando s’è incavolato e gli voleva mettere le mani addosso, è intervenuto il babbo, c’è stato un po’ di parapiglia, poi è tornata la calma.
Quel colpo di pennato che per poco non lo dissanguò
Una volta Donato ha rischiato di morire: era alla macchia, da solo, verso Monte Femmina, mentre stava ramicciando, un colpo di pennato lo ha preso nell’avambraccio che teneva il ramo, facendogli un taglio profondo: il sangue è uscito a fiotti, lui era solo in mezzo al bosco e lontano qualche chilometro dal paese, ma non si è perso d’animo, ha legato la giubba stretta intorno al braccio ed è corso verso il paese. E’ arrivato quasi dissanguato, la giubba inzuppa di sangue, è stato soccorso e portato all’ospedale: si è salvato.
La visita alla sorella a Firenze con una balla di patate
Era anche un tipo originale e fuori dagli schemi. Un giorno decise di andare a Firenze a trovare sua sorella Celestina e, non volendo arrivare da lei a mani vuote, decise di portarle delle patate che aveva appena raccolto. La mattina presto riempì una balla, se la caricò sulle spalle e chiese alla Silvana, che stava per andare a Treppio per rifornire la sua bottega e prendere la posta, se poteva caricare la balla di patate sul suo mulo per portarla fino alla fermata dell’autobus. Così partì con lei e il mulo. Arrivati nella piazza della chiesa di Treppio, scaricò la balla dal mulo e la mise sulla corriera e partì per Pistoia. Sceso alla fermata della Saca in piazza Mazzini, si caricò di nuovo la balla sulle spalle e andò alla stazione dove prese il treno per Firenze. Era estate, a Firenze faceva caldo, Donato era tutto sudato sotto la balla e ebbe non pochi problemi a trovare la casa di sua sorella, soprattutto ad attraversare le strade congestionate dal traffico; raccontò che si trovò al perso quando dovette attraversare un grande viale, era stanco, non vedeva bene con il sudore che gli colava sugli occhi; per fortuna c’era vicino un vigile al quale, dopo una lunga attesa, si rivolse: “Capo, senti un po’, ma a me non mi tocca mai? Sono stracco, un ce la fò più”.
A Milano a fare il fuochista
Era anche stato a Milano, a fare il fuochista, come tanti Torrigiani che, negli anni cinquanta e sessanta, andavano d’inverno ad alimentare le caldaie a carbone dei condomini. In quella metropoli era facile perdersi, allora lui trovò la soluzione: si portava sempre in tasca un pezzo di carbone e sulle cantonate degli edifici faceva una croce per ritrovare la strada.
In Maremma a tagliare macchie e fare il carbone
Come quasi tutti gli uomini di Torri, anche Donato è stato in Maremma per tagliare la macchia e fare il carbone. Partivano da Torri decine di uomini, alcuni anche con mogli e figli al seguito. Così capitò che una volta Donato si trovò a fare il viaggio con la Fosca, che avrebbe raggiunto il marito già in Maremma. La Fosca era incinta di alcuni mesi, Donato non lo sapeva. Da Torri raggiunsero Treppio a piedi, per la mulattiera, un percorso facile, per le gambe allenate di allora, quasi tutto in discesa, di circa quaranta minuti. A Treppio presero la corriera della Saca e raggiunsero, in circa due ore, (la corriera faceva numerose fermate intermedie passando da Badi, Taviano, Bellavalle, San Pellegrino, Spedaletto, passo della Collina, ecc). Alla stazione di Pistoia presero il treno per Lucca e poi la coincidenza per Pisa. Alla stazione di Pisa si fermarono per aspettare il treno per Follonica. Il treno era in ritardo, quindi si sedettero su una panchina, ai piedi i loro modesti bagagli: un sacco a spalla Donato, una piccola valigia la Fosca. L’attesa si protrasse assai e la Fosca sentiva la stanchezza del viaggio, era sudata, le facevano male le gambe, la pancia le dava fastidio, se la lisciava con tutte e due le mani, parendole di stare meglio, muoveva il sedere avanti e indietro sulla panchina, si girava e guardava Donato, che la osservava in silenzio. Questo treno quando arriva? Non ne posso più, disse la Fosca. Donato, si guardò intorno, nel frattempo era arrivata altra gente, e poi le disse: “Senti bimba se ti scappa una cureggia, falla! La piglio io la colpa!”.
Gli ultimi anni alle Ville Sbertoli
La sua esistenza si è conclusa alle Ville Sbertoli: non poteva più stare da solo, ormai avanti con gli anni, devastato nel fisico e nel morale dalla sua dipendenza dall’alcool, senza parenti vicini.
La mia memoria di bambino lo ricorda come un uomo bravo e sfortunato.