E’ quasi passata una settimana dalla fine del Porretta Soul Festival edizione n° 34. Ho atteso fino ad oggi prima di tracciare il mio bilancio personale. Nei giorni scorsi non ci sarei riuscito: ero ancora in preda agli attacchi di narcolessia per le pochissime ore di sonno nei giorni del Festival.
Volendo fare un riassunto devo a partire, ancora una volta, dalle parole di Otis Clay. “Porretta sembra avere il potere di convertire le persone” raccontava il cantante. Ma io credo che questa piccola cittadina abbia, più in generale, il potere di cambiare il mondo, di modificare lo spazio-tempo e creare una dimensione che è impossibile trovare altrove. Si! Porretta rovescia le cose e, quando arrivi qui nei giorni del Soul, vieni catapultato in un posto dove tutto gira al contrario. Ed è “Fantastic!” come direbbe lo storico conduttore
Rick Hutton.
IL SOGNO AMERICANO
Per noi l’America è da sempre il sinonimo di un sogno.
America fu un sogno per i nostri nonni emigrati negli USA per fuggire la povertà.
America fu un sogno per i nostri genitori che riscoprirono la Libertà, dopo 20 anni di incubo fascista, anche grazie ai ragazzi della V Armata.
America è un sogno anche per noi “giovani” che, in modo più tranquillo rispetto ai nostri antenati, l’abbiamo conosciuta solo nei film di Hollywood e nella musica.
Chissà se oggi, negli USA, il “sogno americano” è ancora vivo. Certamente noi lo facciamo rivivere, ogni estate, qui a Porretta. Nei giorni scorsi ho osservato bene i cantanti e i musicisti. Li ho visti divertirsi, rilassarsi, mescolarsi a questa “grande famiglia appenninica” che è il Porretta Soul. Ad un certo punto mi sono detto: “Questi artisti hanno trovato qui in Emilia la loro America”. E forse è proprio così. Quando abbiamo intervistato Selassiè Burke, il figlio del mitico Re Solomon, lui ci ha confidato:”Porretta è molto meglio di Memphis”.
GOD BLESS ITALIA
La mescolanza tra artisti e i fan è uno dei tratti principali di questo “rovesciamento onirico” che si realizza al Porretta Soul. Il ristorante La Pace è uno degli epicentri di questo ribaltamento. Qui ti può capitare di sedere a tavola con il mitico John Ellison e ovviamente, citando la sua canzone più famosa, la battuta viene spontanea: Ehi John! Having lunch with you is “Some kind of wonderful”. Poi inizia la discussione e i ruoli si rovesciano. Dovrebbe essere il fan che interroga l’artista, che ascolta estasiato il racconto della sua America. Invece è lui, il famoso cantante, che è incuriosito e ti chiede come vanno le cose in Italia… come funziona la Sanità. Vuole sapere, ad esempio, se è vero che qui in Italia, per sistemarti una gamba fracassata, non devi sborsare 190 mila dollari come in Florida.
God bless Italia e il suo malconcio Servizio Sanitario.
LA LINGUA UNIVERSALE DELLA MUSICA
Solitamente siamo noi fan che ci lasciamo coinvolgere dall’esibizione degli artisti. Al ristorante La Pace succede l’esatto contrario: gli appassionati dello Zoccolo Duro cantano e suonano melodie tradizionali italiane. E gli artisti americani, rilassati, divertiti e forse anche un po’ avvinazzati, si lasciano travolgere da questo show raffazzonato. “Oh! mammà mi vogghiù marità” canta il chitarrista improvvisato mentre Anthony Paule, chitarrista di ben altro livello, batte il ritmo e accompagna il ritornello.
Può succedere solo al ristorante La Pace di Porretta. Dove potrebbe capitare infatti di sentire Scott Billington, produttore musicale vincitore di ben 3 Grammy Award, che con la sua armonica accompagna le note di “O sarracino”. In quel momento capisci che la musica è una lingua universale che oggi ci unisce tutti. Ma proprio tutti,perchè in quel ristorante, io ne sono sicuro, c’era anche lo spirito di Alan Lomax che si divertiva insieme a noi.
SAL IN DE MAC
A proposito di lingua… a Porretta vengono rovesciate anche le comuni basi della comunicazione tra idiomi diversi. Per farla breve: qui ognuno parla come cazzo gli pare. Eppure tutti si capiscono, in qualche modo. Il campione mondiale di “comunicazione interculturale” è Mauro Palmieri meglio conosciuto come “Mr. 5 minutes”. Gli amici dello staff lo chiamano Squaletto. Da parecchi anni lui ricopre il ruolo di “stage manager” (direttore di palco). Gli artisti lo ascoltano e obbediscono ai suoi ordini. Oddio! che capiscano quello che lui dice è tutta un’altra storia. Però fanno quello che vuole lui. Ed è quello che basta.
Puoi sentirlo che si rivolge a Nona Brown dicendo: “No soundcheck! Già fàt ier”. Oppure mentre li invita a salire in auto: “Sal in de mac!”. Lì capisci che a Porretta, sopra le nostre teste, deve aleggiare uno spirito che dona a tutti la favella. Non credo però che sia lo Spirito Santo. Forse è piuttosto il fantasma di Otis Redding.
Ma qui c’è qualcosa di invisibile che consente a tutti di capirsi, senza bisogno della traduzione.
CI SONO SOGNI CHE NON HANNO PREZZO… A PORRETTA
Ci sono sogni che non hanno prezzo… e molti li trovi a Porretta. E’ domenica sera. Siamo tutti in attesa dell’ultimo concerto. Io passo tranquillo sotto al palco. Indosso la maglietta, autoprodotta e autofinanziata, di “Back To The Soul” (il mio podcast su Radio Frequenza Appennino). Curtis Salgado mi vede e mi fa i complimenti per la t-shirt. Io gli spiego che è una mia idea per una trasmissione radiofonica dedicata al Porretta Soul. Curtis mi dice che lui colleziona magliette e chiede se posso spedire una XL al suo indirizzo di Portland. Dice che me la paga quando torna il prossimo anno. Ma chissenefrega dei soldi: ci sono cose che non hanno prezzo, e questa che è appena accaduta è una di quelle.
Prima di salutarmi Salgado, che fu mentore di John Belushi, mi dice “Your t-shirt is a wonderful idea! You’ll gonna be rich!” (“La tua maglietta è meravogliosa! Ti farà diventare ricco”). E io penso tra me: “Curtis, va bene il sogno americano, ma restiamo anche coi piedi per terra!”.
PORRETTA THE REAL AMERICA ON THE EARTH
Quanti personaggi eccezionali ho incontrato nei giorni del Porretta Soul 2022. Tra questi c’è pure Veronica Benini. Giovane studentessa di Castel di Casio. Ha vissuto per 2 anni negli States e parla alla perfezione quello slang che loro, gli americani, si ostinano a definire “inglese”. Parla così perfettamente che tutti gli artisti le chiedono: “Where are you from Veronica?”. Perchè, a sentirla dialogare con gli americani, lei sembra proprio una di loro.
La sua esperienza personale mi ha fatto riflettere e alla fine le ho fatto una domanda: “Ma perchè diavolo sei tornata in Italia? L’America è il sogno di tutti e potevi avere quel sogno nelle tue mani. I can’t believe it” (OK, le ultime parole non le ho dette perchè, con la mia pronuncia emiliano-padana, mi avrebbe deriso).
Comunque niente! Lei è tornata in Italia perchè, per molti versi, qui si sta meglio. E allora forse è proprio vero: l’America è anche qui a casa nostra, ma non sempre siamo capaci di vederla.
Tutte le fotografie del presente articolo sono state realizzate da Giorgio Barbato