La ricerca  |  giugno 29, 2022

Il gioco “brado” che fu dei bambini di montagna: una buona “ricetta” anche per oggi

Il libro aperto della vita era la natura circostante, il fiume, i campi, i boschi e gli animali a farla da protagonisti. Oggi è tutto cambiato e i giochi dei ragazzi e dei giovani sono ipertecnologici. L'illuminante lettura di "Noi e l'albero" della neuropsichiatra infantile Valentina Ivancich, ricercatrice presso l'Università “La Sapienza” di Roma. Alle patologie psichiatriche infantili non sarebbero estranei i “giochi strutturati”, che si sviluppano all'interno di schemi e leggi definite e precostituite. La conclusione dell'autrice: “Più natura e meno attrezzatura”

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Chi, come me, è nato negli anni ’50 del secolo scorso e per di più in un piccolo paese di montagna, si guarda intorno e rimane frastornato nel considerare quanti e quali cambiamenti si sono verificati in questo settantennio.

Inoltre non può non provare due sentimenti opposti, uno di ammirazione, per le conquiste del progresso tecnologico, scientifico e socio-economico che hanno apportato cambiamenti positivi nella vita quotidiana, l’altro di perplessità per il fatto che la frenesia incalzante di queste conquiste rischia di travolgerci e di farci perdere il contatto con la nostra dimensione umana e con il nostro approccio alla realtà.

Si può infatti diventare prigionieri del progresso, esserne soggiogati psicologicamente e socialmente, farne insomma un totem ai piedi del quale inginocchiarsi, senza alcuna difesa e per di più quasi senza accorgesene.

E le prime “vittime” sono proprio i bambini ; basta vedere i loro giochi, iperstrutturati e ipertecnologici, che di fatto orientano le giovani menti verso una dimensione pericolosamente virtuale e alienante.

I “nostri” giochi antichi

Ogni tanto frugo nella soffitta della mia casa di Taviano, dove sono nato, e tutte le volte vado a cercare la valigetta, dentro la quale sono contenuti tutti i miei giochi: il meccano,una piccola fisarmonica, le bilie di vetro e poco altro.

Ma c’era un libro aperto, vivo e estremamente vario, da cui si apprendeva la vita e lì si inventavano giochi sempre nuovi; quel libro era la natura circostante, il fiume, i campi , i boschi dove si poteva scorrazzare indisturbati e se si tornava a casa con qualche graffio o con qualche bernoccolo si cercava di nasconderli per evitare le “ripassate” di genitori poco indulgenti e poco compassionevoli.

Gli animali, poi, erano spesso i nostri obiettivi: si allevava i girini e si controllava giorno per giorno la loro stupenda trasformazione in rane, si catturava le bisce, si cercava i nidi dei merli, si scavava per terra alla ricerca dei lombrichi che ci servivano per pescare le trote.

I cicli stagionali, la riproduzione di animali e piante, la varietà dei fiori ed il loro profumo, tutto aveva il fascino della scoperta.

Insomma ci si misurava con l’ambiente naturale e con le sue regole immutabili, formandoci un carattere nel superare le piccole prove quotidiane a cui ci sottoponevamo ed eravamo attori, intraprendenti e vitali, che esercitavano la fantasia creatrice sulla realtà circostante, quella vera.

L’importanza del “gioco brado”

Sento già le obiezioni dei “progressisti” che mi accusano di nostalgismo dei tempi che furono e quasi quasi traballo nelle mie convinzioni di anziano.

Poi, pochi giorni fa, mi capita per le mani un libro interessantissimo che si intitola Noi e l’albero, la cui autrice è una neuropsichiatra infantile,la dottoressa Valentina Ivancich, una ricercatrice presso l’Università “La Sapienza” di Roma con la passione per l’orticoltura.

Partendo dall’assunto che i bambini di oggi manifestano un deficit preoccupante di natura e che non ne sanno distiguere le leggi ed i ritmi ,considerandola quasi un bene di consumo come tutti gli altri, la Ivancich sostiene che “avulsa dalla realtà concreta, l’idea che con scienza e tecnologia si possa tutto ,diventa allora una specie di credenza magica che facilmente cade nell’ illusione di onnipotenza”e continua affermando che c’è un bisogno impellente di “una terapia degli spazi selvaggi” che curino il disagio psicologico dell’uomo metropolitano.

Ma ancora più interessanti sono le considerazioni sulle patologie psichiatriche infantili, a cui non sarebbero estranei i “giochi strutturati”, cioè giochi che si sviluppano all’interno di schemi e leggi definite, precostituite,in luoghi ”spesso attrezzati ad hoc, spesso con una mediazione o guida adulta, con uso abbondante o esclusivo di attrezzature specifiche”.

E allora il rimedio più potente e più intrinsecamente utile sarebbe “il gioco brado”, cioè libero, svolto in un luogo naturale, in cui si affermino “l’esperienza diretta e non mediata, la scoperta spontanea, una dimensione di creazione”, tanto che l’autrice arriva a coniare lo slogan “Più natura e meno attrezzatura”.

Insomma, giocare in un parco, in un bosco o lungo gli argini di un corso d’acqua svilupperebbe nei bambini la capacità di inventarsi e di risolvere problemi inattesi con uno sforzo di volontà e di attenzione tutto individuale, ma farebbe anche capire che la natura e le sue regole non sono qualcosa di alieno o teorico, ma fanno parte del contesto in cui ognuno costruisce la propria identità

Ho letto, dunque, con grande attenzione tutto il libro della Ivancich, che contiene tanti altri spunti interessanti e con soddisfazione e un po’ di ironia sono arrivato a questa conclusione:

Ma tutto quello che la scienza neuropsichiatrica infantile teorizza oggi, non era forse applicato alla lettera da noi, bambini degli anni ’50, che giocavamo liberi in mezzo alla natura, e dai nostri genitori che ci spingevano a prendere fin dalla più tenera età le misure con il mondo reale ?

Gianbattista Vico direbbe che questa è la prova dell’esistenza dei corsi e ricorsi storici, io più semplicemente riferisco quello che mi diceva la mia bisnonna sambucana ,quando facevo cose di cui presto avrei dovuto pentirmi : “I’ t’l’avevo ditto!!!”


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)