L’aria è tersa. Squarci di blu nel cielo di gennaio s’alternano a schegge di nuvole lucenti. Infiniti i giochi di luce: nelle vallate infiniti cristalli di brina sull’erba ingiallita e sulle rinsecchite carline ne decretano la padronanza, all’interno di questa giornata che solo l’inverno in montagna sa regalare. Sulle vette il bianco della neve padroneggia.
L’eterno volteggiare dei pochi insetti presenti, crea un sottile e ritmato respiro: rumori di vita nell’apparente silenzio della montagna.
Il bosco, un mondo da inventare
Salgo lentamente sul sentiero che rimonta dal fondovalle fino alla vetta: confine tra realtà e sogno.
Ripenso a quando ero bambino e il bosco era la mia avventura, il palcoscenico della mia vita. Rivivendo quei momenti oggi riscopro emozioni gelosamente nascoste nella memoria. E nel mio inconscio.
Il bosco era il sipario verso un mondo da inventare, in netto contrasto con le realtà degli uomini: nel mondo degli umani parlavo, studiavo, dormivo; nel bosco e nella montagna vivevo, sognavo, osservavo e apprendevo di equilibri seducenti e precari; incontrato uomini poi diventati leggendari che tanto m’hanno insegnato, raccontato, sempre con umiltà profonda.
La scoperta del bosco di notte
Crescendo in quegli stessi luoghi sono diventati familiari, sicuro rifugio, nascondiglio per nuove fantasie: l’eccitazione della scoperta, l’orgasmo di superare un limite.
Confine che successivamente ho poi spostato anche nella notte, apprendendo e distinguendo linguaggi diversi, voci differenti: gli animali, il vento, gli alberi.
Tutte le creature della montagna mi parlavano in una lingua sconosciuta ma non incomprensibile, sicuramente cordiale e accettabile. Sforzandomi di dare identità a quei rumori che dapprima mi spaventavano, le paure lentamente si disperdevano nel buio: ho così scoperto un mondo che amavo e desideravo conoscere. Mi sono abbandonato ad osservare le stelle, imparando alcune costellazioni: le Pleiadi, il Carro, la Via Lattea…
L’attenzione ai particolari
Con gli anni ho traslocato le mie attenzioni su piccoli particolari: l’alacre lavoro degli insetti, lacrime d’acqua che logorano la pietra, gocce di rugiada che penetrano nei muschi abitati da invertebrati.
Non ho mai posto domande. Viceversa, ho respirato il profumo intenso e dolcissimo dei funghi, dialogato con i fiori, sfiorato le foglie bagnate che l’inverno trasforma in terra nera e concime per il bosco.
Mi sono sempre sentito umile al cospetto di queste realtà e tuttora lo ribadisco.
Ho imparato l’arte del silenzio. Convissuto con l’esasperazione delle lunghe attese per carpire i selvatici nel loro ambiente, nella loro intimità, nelle abitudini, nelle strategie della sopravvivenza.
La montagna mi ha insegnato il ritmo delle stagioni, che rispecchiano la nostra stessa labile esistenza: la nascita l’identifico con la primavera; l’adolescenza con l’estate, la maturità l’autunno; l’inverno l’ultimo sorriso, il tramonto.
In cima al sentiero
Continuo a salire sul sentiero.
In prossimità d’un altopiano lo sguardo è padrone di volare, i polmoni di stivare aria: un giovane cavallo, uno stallone solitario, annusa la mia presenza.
Mi avvicino, riconoscendolo padrone di quello spazio. Bestia massiccia, color marrone, incrocio di svariate razze al pari di come oggi si mescolano le razze umane. Avverto il suo odore, incontro i suoi occhi mentre un ciuffo della bionda criniera, mossa dal vento, scivola sul muso regalandogli un’aria più mansueta. Mi annusa. Mostra i denti. Resto immobile. Provo soggezione. Con noncuranza s’allontana, come avesse intuito il mio disagio e l’intimo bisogno di restare solo.
Da bambino arrivavo fin quassù; poi spiavo il sole che annegava in mille riflessi indaco dietro la cima del Monte Giovo: ero certo che quello fosse il luogo più bello della terra. Successivamente, dalla vetta del Monte Giovo ho scoperto che il sole tramontava ancora più in là, dietro le Panie delle Alpi Apuane per tuffarsi nel Mar Tirreno in una tinta rosso arancione che m’avrebbe vinto per sempre. La montagna, nel suo silenzioso parlare, m’aveva impartito l’ennesima lezione di vita: prendere senza illusioni, lasciare senza difficoltà.
Rivivere esperienze del passato
Maturato, infinite volte sono tornato lassù in tutte le stagioni. Ho portato persone che amavo, rendendole partecipi del mio segreto e delle mie lacrime.
Altre persone le ricordo, ascolto le loro parole nel vento, distinguo nitidi i loro volti in quei tramonti. E un bacio a te, papà: non mi è stata data la possibilità di conoscerti ma spesso t’incontro in montagna. Guidami sempre in questo viaggio terreno pieno d’insidie, cattiverie, polvere, sassi e sudore.
Rivedo mia madre nella sua giovinezza. Nei suoi bei capelli neri. Credo che mia madre parlasse con Dio in maniera confidenziale, dopo lo sgarro subito del lutto acerbo del marito. Era riuscita a vincere la paura della solitudine e, in qualche maniera, se n’era fatta una ragione. Vorrei essere così anch’io…
La mia fede discontinua
Sono cattolico atipico, scansafatiche: frequento poco la chiesa, raramente eseguo la comunione… Riesco a pregare meglio in prossimità d’una pianta selvatica, nelle vicinanze d’un corso d’acqua, sulla sommità d’una sporgenza rocciosa, nel volo dell’aquila. Non ho continuità nella fede. Mi risulta difficile essere cristiano tutti i giorni, considerare tutti fratelli in un mondo costellato di violenza inaudita: non odio, ma non giustifico neppure.
La mia montagna più intima
In quest’anno nuovo, ritorniamo al silenzio. All’introspezione.
La montagna come luogo spirituale, scrigno d’emozioni: contrasto di colori che creano armonia. Luogo in cui la quiete è sorprendente, persino irreale.
Il forte linguaggio visivo dei luoghi che ho visitato, ha condizionano il mio animo: cedo volentieri all’energia della montagna, artigiana del mondo.
La montagna come stato d’animo. Nella semplicità della montagna trovo un senso d’appagamento, appartenenza. La montagna è sapiente: con coscienza, lentamente, t’insegna a misurarti con te stesso, senza alcuna possibilità di barare.
Questa è la mia intima montagna. Buon anno. Così sia.