La ricerca  |  dicembre 24, 2020

Festeggiamo un Natale lento e il valore del silenzio

Il virus cambia lo scenario dell'inverno e delle festività natalizie. Senza sci (e senza turismo) si potrà passeggiare nel bosco, con o senza ciaspole, fare sci di fondo, semplicemente raggiungere una vetta e respirare, ammirare i panorami. L'insegnamento del Covid? Il ritorno alla lentezza, al rispetto di se stessi, a ritmi di vita consoni al genere umano. Così si può festeggiare un Natale con pochi intimi, con il proprio partner, con il fidato cane

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Il paese è immobile, al pari dell’inverno quando attende la neve: in silenzio.

Incrocio chi piange la morte del suo cane, chi va a fare la spesa, chi bestemmia, il prete in tunica e cappello tricuspide, chi già ubriaco, chi si tiene la testa tra le mani: ognuno nel proprio religioso silenzio.

Mai stata tanta gente: ora è poca davvero. Capitola qualche muro. Il paese, come l’alcol, cerca i solitari: scenografia di sempre. Non manca lo spazio per le sagre, le favole, le leggende, le Vie Crucis, ad anni alterni il presepe vivente. Il tutto alternato a profondi mutismi.

Alcuni silenzi legittimi: il rintocco della campana mezzana, il paese ovattato sotto la coltre di neve, le giornate interminabili dei vecchi che fissano il nulla spostando, con le dita magrissime, le tendine dalla finestra. Ricordare un amico resta esercizio assordante. La tendina riprende il suo posto originale.

Il paese sa non avere soluzione all’abbandono, né cerca scuse o prospettive: c’è solo da continuare a lavorare. Difficile, invece, andarsene. Restiamo concentrato di dolori, rancori, debolezze: sacrosanti sentimenti universali. Ai nostri giorni parroco, dottore e sindaco hanno il rispetto del Lei; solo le persone anziane usano ancora il Voi. Il Governo si fa vivo con le cartelle esattoriali. Poca televisione. I giornali servono per accendere il fuoco mattutino della stufa economica.

In piena pandemia Covid19, amici e nemici continuano come se niente fosse a lavorare: muratori, artigiani, albergatori, puttane, perditempo… Intuiamo: ciò che siamo non importa a nessuno.

Più i politici parlano, più c’isoliamo. Nella piazza centrale, coscienza d’ogni paese, la chiesa regna sovrana e tutti gli portano rispetto: solo nei bar si maledice! Ora non più: chiusi anche quelli e qui, come tradizione, non si consuma d’asporto. Non crede nessuno, invece, nella religione che s’ostina a parlare di transito verso l’eternità.

Vivere in montagna, per l’uomo, ha sempre rappresentato una sfida. A partire dai reperti neolitici rinvenuti sulla vetta del monte Cimone, l’insediamento dei Liguri Friniati e le battaglie contro l’esercito Romano, gli scontri tra Bizantini e Longobardi, il passaggio di Annibale con il suo ultimo elefante, il transito di Napoleone, i due conflitti mondiali…

L’oro bianco

Dai carbonai l’oro nero, l’oro bianco con la neve: è il boom, nascono le stazioni sciistiche e il turismo esplode. La neve diventa pane per tutti, al pari della scellerata corsa alla seconda casa in montagna e al degrado edilizio generalizzato. Il divertimento invernale imperversa con le sue regole e tutta la montagna ne conviene: circo a cui accondiscendere tutti.

Tempi e stagioni mutano; il buco nell’ozono costringe all’acquisto dei cannoni spara neve e il depauperamento dei bacini idrici per la produzione dell’oro bianco, oggi sintetico e troppo costoso, mette in crisi l’intero settore turistico: siamo ai giorni nostri.

Sarà un Natale con tanta neve? Ai bambini rallegrerà più di tutti. Di certo Santa Messa di mezzanotte in streaming e cenone ristretto di congiunti e pietanze.

Un Natale senza sci alpino

Gli impianti sciistici chiusi? Deciderà Bruxelles. Alternative poche: ristori o tana libera tutti. Difficile, comunque, decidere: non per le restrizioni a rifugi e biglietti venduti esclusivamente on-line (ipotetiche soluzioni?), ma per i comportamenti arbitrari e immorali del popolino italiano di cui non ci si potrà mai fidare, che si deve sempre far riconoscere.

Troppe le regole. Discriminanti, forse…

Troppi emarginati. La montagna non è più dominio dello sci alpino; di tendenza le salubri passeggiate nel bosco, con o senza ciaspole, sci alpinistiche, pattinare, sci di fondo, semplicemente raggiungere una vetta e respirare, sentirsi ancora vivi, vedere il panorama con occhi immensamente gonfi di bellezza.

Tutti al mare, dunque? Ti sei mai soffermato a guardare il bagnasciuga? Nell’attimo dell’incontro, l’acqua marina cerca di separare, distruggere, allontanare la sabbia. Poi riconosce il diverso. Lo accetta. Amalgamandosi, acqua e sabbia diventano tutt’uno. Per il mare ogni giorno è Natale. Per gli uomini un solo giorno all’anno. L’attenzione alle piccole cose è un Natale quotidiano: tutti dobbiamo imparare a concederci.

Il lascito “positivo” del Covid

Non saprei: di certo vasche in centro storico e iper strapieni aiuteranno alla nefasta, speriamo di no, rimonta della terza ondata pandemica? Questo Covid 19 qualcosa di positivo lo ha lasciato; un grande insegnamento, non un inno alla solitudine che ognuno se la sceglie anche in mezzo alla gente, bensì il ritorno alla lentezza, al rispetto di se stessi, a ritmi di vita consoni al genere umano: si può festeggiare pure un Natale in silenzio, con pochi intimi, con il proprio partner, con il fidato cane, soli in una baita distribuendo granaglie sul davanzale agli uccellini.

Ritorniamo al silenzio. All’attenzione. I pastori sono quelli di tutti i giorni, in carne e ossa, non le solitarie statuine del presepe.

Anche il Covid19 finirà. Come un’esistenza che finisce nel paesaggio, nei colori, nelle voci di quelli che sono andati avanti. Abbiamo perso tanto: i nostri vecchi e le loro irripetibili verità. E i loro occhi.

Natale non morirà mai. Nemmeno questo. Neanche la sua attesa, il suo fascino. Sarà un Natale lento, con abbracci onesti, autentici, qualche bacio, molta speranza per un domani desiderato.

Festeggiare il Santo Natale, oggi, significa dare valore al silenzio.

Non mi resta che augurarvi una buona giornata, nel silenzio del Natale.


La Redazione

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