Quello che pubblichiamo di seguito è il diario di cammino inviato a Simone Breschi, uno degli autori e responsabili del Cammino di San Bartolomeo: un racconto che ci fa comprendere quanto il turismo a passo lento scava nella curiosità e nella voglia di conoscere delle persone, ci racconta dell’attaccamento ai luoghi attraversati e alle persone incontrate lungo il loro cammino.
Sembrava un cammino come tanti altri…
Ci ritrovammo una domenica: il Carlone, la Paola, la Barbi ed io; dovevamo scegliere un Cammino, una Via che permettesse a degli amici, che si conoscono da trent’anni e molte “strade delle vita” hanno percorso assieme, di capire se possa esserci la volontà di tracciare anche importanti sentieri futuri.
Cinque giorni: avevamo deciso di dedicarci uno spicchio di settimana agostana. Noi quattro: mariti, figli, genitori a casa.
Dove andiamo? Beh, ci serviva un percorso non eccessivamente lungo, non eccessivamente difficile, non eccessivamente…caldo, magari in luoghi “nuovi”, fuori dalle rotte canoniche delle Francigene, Alte Vie ed altri percorsi che in Italia si associano comunemente al Cammino.
Da Google “esce” San Bartolomeo
“Santo” Google aiutaci tu! Tra i vari Santi a cui sono stati intitolati Cammini e Viandanze esce San Bartolomeo. Sinceramente, prima di conoscere il Santo, studiamo il percorso: parte alto, vicino all’Abetone, continua alto, un centinaio di chilometri in 5 tappe, paesi sconosciuti, tanto bosco, poco asfalto…benone si fa!
“Buongiorno Signor Lattanzi, siamo 4 amici di Verona che vorrebbero fare il Cammino di San Bartolomeo e vorremmo avere qualche informazione”, gli dico al telefono ad inizio luglio. “Certamente!” ribatte gentilissimo e mi spiega come avrò modo di incontrare persone speciali, di percorrere luoghi speciali, di gustare sensazioni speciali. Già si manifesta una organizzazione veramente ben fatta; “potreste sentire Tizio, se non trovate ospitalità da Caio, vi accompagnerebbe Sempronio o…lo stesso San Bartolomeo se non impegnato”.
La partenza da Fiumalbo
Giunge così il giorno della partenza. Raggiungiamo Fiumalbo, parcheggiamo l’auto ed immediatamente cerchiamo il primo timbro. Lo troviamo, assieme alla credenziale ed alla guida. Zaino in spalla, foto di gruppo che farà poi, lo scopriamo passo passo, il Cammino prima di noi, anticipandoci nelle varie tappe.
Prima chiesa dedicata a San Bartolomeo con alcune gocce di pioggia a testare la nostra volontà e muoviamo i primi timidi passi. Sono appunto timidi, indispensabili per avere le prime sensazioni personali, timorosi nella consapevolezza di aver iniziato una “cosa” che deve essere finita perché solo le cose che si portano a buon fine contano nella vita, no? E poi il gusto dell’incognito: non sai dove sia il sentiero, cosa incontrerai, se ce la farai, se ci sarà un buon clima tra noi. Insomma è la metafora della vita, racchiusa in 4 pensieri, uno zaino, un paio di scarpe e tre magliette di ricambio.
Da Abetone a Rivoreta a Cutigliano
Saliamo. Non c’è dubbio. Usciamo dal boschetto misto per addentraci nelle conifere e poi nei verdi prati di tipico ambiente montano. Siamo all’Abetone: seconde case, impianti sciistici a voler scongiurare gli effetti del cambiamento climatico. Troppo casino laggiù al parcheggione, per fortuna giriamo a sinistra, bella strada nel bosco di pini e faggi. Il secondo timbro sulla credenziale ancora “giovane” e ci becchiamo un temporale con quelle piogge che ti bagnano anche l’anima. Ancora tanto, tanto bosco completamente fradici e sbuchiamo in un piccolo agglomerato di case. “Scusate, manca molto a Cutigliano?”.
“Non lo sappiamo, qui siamo all’Abetone”. Ma come? Era Abetone anche un’ora fa. Scopriamo così che Abetone è proprio un accrescitivo azzeccato: non finisce più! Esce un timido sole e siamo a Rivoreta. Terzo timbro, ci cambiamo, facciamo merenda, torniamo umani. Chi ci ferma più? I passi non sono più timidi, a grandi falcate raggiungiamo Cutigliano mentre ammiriamo arnie, fattorie modello, gente che saluta spontaneamente e con sorriso. Don Sergio ed il suo gatto Red ci accolgono in parrocchia ed una cena a base di salumi, gnocchi di castagne, porcini e ricotta fresca con lamponi ci fa ritenere a buon diritto di essere sulla Giusta Via! I primi 23 km sono in saccoccia e l’indomani ci attende il Grande Simone.
Cammino da fare con gambe, cuore e mente
Il Cammino di San Bartolomeo mica è stato segnato sulla roccia come un dogma. Anzi, sì, e non solo sulle rocce ma anche su palizzate, tronchi e muretti a secco. Perdersi è praticamente impossibile e se i segni gialli non fossero sufficienti ti soccorre la tecnologia grazie ai tracciati che ti aiutano anche a giocare con la statistica e le tue performance. Un consiglio però: usatela il meno possibile, gustatevi il Cammino seguendo i segnavia che trasudano passione, cura ed impegno di persone fantastiche: puliscono i sentieri, rinnovano i segnavia, sempre pronti a consigliarti e ad aiutarti, offrono buon vino, ottimo caffè e dei sorrisi fantastici. Questo fa del Cammino di San Bartolomeo una esperienza umana e Simone incarna tutto questo e lo riassume. Senza i Simone, i Celeste, i Piero, le Bice e molti altri il Cammino di San Bartolomeo sarebbe tutt’al più un tracciato da scaricare e coloro che faranno questo Cammino sappiano che non si fa di corsa, di fretta. Sono sì importanti le gambe ma lo sono anche il cuore e la mente.
La calda accoglienza di Mammiano
Ringraziamo Don Sergio e prendiamo nuovamente il sentiero. Superiamo torrenti che un tempo alimentavano i mulini, passiamo di fianco a resti di case che rimangono a raccontare di un Appennino vivo, vissuto, lavorato. Il bosco si sta riprendendo praticamente tutto. E’ un male? Il bosco è differente, mai lo stesso, mai monotono; cambiano i colori, gli odori, le sensazioni. Sbuchiamo su una strada e tiriamo diritti verso un pugno di case. Solo silenzio e pochi ma incantevoli profumi di soffritto, di brasato che escono dalle case abitate. Arriviamo ad un “Angolo di Paradiso”. Siamo a Mammiano e vicino alla Chiesa ci ritroviamo a mangiare i nostri panini con il salame toscano su una meravigliosa tavola in ceramica e ferro, vista magnifica sulla vallata. Una porta si apre ed esce una Signora. Ora dirà “e chi vi ha detto di sedervi al mio tavolo? è proprietà privata”. Ed invece, in barba al pessimismo padano, non solo ci invita a rimanere ma ci chiede se abbiamo bisogno di cibo o bevande. Esce poi il marito, Patrizio e si fa filotto: vino, grappa e caffè! Ci arrendiamo: il luogo è fantastico, il clima perfetto, l’ospitalità lascia senza parole e Patrizio ci guida, abilissimo oratore e conoscitore dei luoghi e della loro storia, tra Santi, Chiese, industrie belliche, e vesti liturgiche. Momenti indimenticabili.
Il Ponte sospeso e ponte di Castruccio
Ci attende il ponte sospeso di Mammiano, fino a qualche anno fa il più lungo del Mondo. Chi lo sapeva? L’Italia è anche questa: abbiamo così tante cose eccezionali che la metà non si conosce nemmeno e l’altra metà è conosciuta sì e no per un quarto. Godetevi la proporzione matematica. Percorriamo il ponte, “giochiamo” con l’abisso e canticchio Jovanotti: la vertigine non è…paura di cadere ma…voglia di volare! Arriviamo a Popiglio e la lettera “P” ora diverrà un must sino a Pistoia. Infatti scendiamo al Ponte di Castruccio e risaliamo l’erta china sino a Piteglio.
Paolo e la Casa della musica di Piteglio
Bambini e ragazzi per strada, a giocare a palla, a correre; cellulari ammucchiati su una panchina come oggetti senza valore; signore che fanno filò e raccontano cose belle e non lamentele. Non può essere vero, siamo in un film, dai! Saliamo alla Chiesa ed attendiamo che ci aprano la canonica seduti sotto un meraviglioso ippocastano. Ci attende la cena alla “Casa della Musica” e la conoscenza di un autentico Personaggio (ancora la “P” per le cose importanti). Ovviamente indovinate come si chiama? Paolo, ovviamente! Chi è Paolo? Difficile definirlo con un sostantivo. Ogni 7-8 anni dice che nella vita occorre cambiare. Tutto: lavoro, luoghi, persone. Basta essere aperti al cambiamento e si aprono le strade. E come dargli torto? Viene dal Polesine e si ritrova a gestire un luogo che è diventato centro culturale, farmacia, ristorante, alimentari, pizzeria, luogo di musica, ritrovo e, secondo me, confessionale, dell’intero paese. Mentre mangiamo l’ottima cena preparata dalla sua compagna e beviamo ottimo vino trascorriamo un altro momento magico in cui ti rendi conto di essere nel posto giusto al momento giusto. Chissenefrega se entrano persone a chiedere notizie dell’oste; lui stasera, il Paolo, è tutto nostro! Buona notte Piteglio!
Da Migliorini a Prataccio
Il terzo giorno classicamente è il momento in cui il tuo corpo ti viene a chiedere il conto: ti fan male le gambe, i piedi, le spalle, persino le dita delle mani sembrano pronte a ribellarsi. Se tieni durò però, beh, dal giorno successivo ti trasformi in una macchina da cammino e le tue membra, la tua mente, si ricordano che in fondo il benessere è movimento. Riprendiamo così il cammino, abbandonando Piteglio e salutando Paolo dopo una abbondantissima colazione a base di schiacciata, cornetto e cappuccino. Ben presto arriviamo a Migliorini, accompagnati da un suo “antico” abitante. Anche qui sembrerebbe la solita storia: una comunità viva nel secolo scorso, lavoro e fatica ma con il sorriso, poi l’abbandono; per Migliorini però non è proprio così: troviamo un borgo meraviglioso con case sparse in mezzo ai castagni, una fontana che zampilla, integrazione perfetta tra natura, architettura e buon gusto. Seconde case per lo più ma l’effetto è comunque quello giusto! Una lunga traversata in mezzo a prati e rado bosco ed arriviamo a Prataccio; ovviamente troviamo anche qui storie e persone fantastiche. Prima una parte “invasa” da seconde case e poi il piccolo borgo originario. Incontriamo una ragazza intenta a risistemare alcune arnie. Chiediamo alcune informazioni e scopriamo che Giulia è parte del gruppo (nessun Jack Frusciante finora da ciò che capiamo). Con il suo compagno ha deciso di riabitare “quel” borgo, nonostante la distanza dal lavoro. “Qui mi sento felice, libera” ci dice; “torniamo a casa dopo il lavoro e dimentichiamo ogni fatica. L’inverno è la stagione che preferisco, facciamo lunghe passeggiate in totale silenzio e ci piace molto la vita di borgo dove ti ritrovi un sacchetto di zucchine, una teglia di caponata o un vasetto di marmellata sull’uscio di casa, quando rientri”. E’ innamorata di ciò che fa e lo si capisce. Ci accompagna a vedere gli antichi mulini e ci instrada sulla via per Prunetta (semper “P”).
L’arrivo alle Piastre
Entriamo in un bosco fantastico in cui castagni e faggi si danno la mano per chilometri, tocchiamo e beviamo dalle sorgenti del Reno (e quando ti capita di bere l’acqua di un fiume!!), pranziamo a Prunetta che non lascia, stranamente, particolari tracce; poi le Piastre, paese famoso per il Festival della Bugia che ci porta alla Ghiacciaia della Madonnina, gestito dall’Ecomuseo della Montagna Pistoiese.
Si pernotta a Pontepetri
Dopo tre giorni si rifà vivo il rumore delle auto e la cosa è assolutamente…sgradita! Già abbiamo nostalgia dei boschi e del silenzio che fortunatamente presto tornano. La tappa si conclude a Pontepetri. Paola si riconcilia con il mondo grazie alla Tachipirina, noi con birra ghiacciata, cena pantagruelica conclusa con un fantastico Tiramisù…sbagliato (sbagliate sempre così ragazzi!) (Osteria De’ Mammalucchi n.d.r.)
Carlo ci viene a prendere per portarci al B&B che gestisce assieme alla moglie. Non faccio ora a toccare il letto che già mi sono addormentato. Che vita!!!
La nostra credenziale ormai straborda di timbri. Il raggiungimento del timbro successivo è uno sprone fantastico ed appena intravvediamo il Totem del Cammino si corre, si apre lo zaino, si afferra la credenziale ormai spiegazzata e vissuta e con estrema cura e precisione applichiamo il timbro. Sembra un dettaglio secondario ma non lo è: il timbro ti fa capire che sei sulla giusta strada, che hai raggiunto un’altra tappa e che il Cammino è “tuo”. I Totem sono anche la dimostrazione di passione fantastica, di persone eccezionali che hanno trasformato una idea, un progetto in qualcosa che fa star bene loro stessi e gli altri.
Carlo il tuttofare
Il mattino scopriamo, mentre ci riempiamo la panza con una colazione colossale, che Carlo è un videomaker, è un sub che ha viaggiato in lungo ed in largo, è un runner, profondo conoscitore delle “sue” montagne, amante del luogo in cui vive. Questo aspetto è fondamentale: abbiamo incontrato persone che amano la loro terra. Nonostante le fatiche credono nel futuro e sorridono. Poveri padani, costantemente insoddisfatti! Carlo ci intrattiene con foto eccezionali, racconti di tramonti appenninici con la sguardo che si perde nel Tirreno e nella sagoma della Gorgona, di faggi e delle loro faggiole che ogni 8 anni decidono che è il momento di produrre uno spettacolo unico, all’unisono, in tutto l’Appennino.
La discesa verso Spedaletto
La quarta tappa è la più breve: solo 9 chilometri e senza molto dislivello. La prendiamo con estrema calma. Dopo aver salutato Carlo e consorte, riprendiamo il Cammino con leggerezza, sicuri anche delle sensazioni positive che il nostro corpo ci trasmette. Saremmo pronti a proseguire ben oltre Pistoia, siamo diventati delle macchine! Durante il percorso, sempre meravigliosamente immerso in boschi di castagni ed altre latifoglie, ci scrive Bice: “Vorrei conoscervi e vi aspetto a Spedaletto” ci dice. I pochi chilometri da percorrere ci fanno gustare ancora di più ogni singolo particolare, ogni dettaglio ed una tappa apparentemente interlocutoria si trasforma in una apoteosi. Prima il fitto bosco, poi il porcino meraviglioso trovato al lato del sentiero, quindi usciamo dalla selva appenninica e troviamo un angolo di Mediterraneo: in poche centinaia di metri passiamo dalla faggeta all’elicriso italico per poi tornare nel bosco e successivamente in un fantastico corridoio di ginestre.
Siamo ormai alle porte di Spedaletto quando un chiaro rumore di acque di torrente ci porta alla ennesima deviazione. Scopriamo un insieme di cascatelle e di pozze di acqua eccezionalmente limpida, tanto profonda da indurre alcuni di noi a…tuffarsi. Stiamo nuotando nelle acque semi gelide di un torrente di montagna. Per noi padani, abituati alle acque grigie e lente, quasi sconsolate, è qualcosa di eccezionale! Rimaniamo nelle pozze, come bambini; il tempo non ha più significato. A fatica riprendiamo il Cammino e rapidamente arriviamo a Spedaletto.
La notte a San Pellegrino
“Sapete dove vive la Bice?” chiedo ad un ragazzo. Gentilissimo ci accompagna nella piazzetta del Paese. Bice non tarda a venirci incontro. È uno spirito libero, leggero e trasuda voglia di vivere. Anche lei ama il luogo dove trascorre serena il suo “tempo bello”. Ovviamente mica si fa trovare impreparata: frittata con zucchine, pomodori, olive, vino, caffè e per l’ennesima volta ci ritroviamo a ritenerci vicini alla “perfezione esistenziale”. Ci accompagna fino a San Pellegrino dove rimarremo per la notte: altri 4 chilometri di contrade, borghi, saluti e sorrisi. Terminiamo con una mezza dozzina di compagni di Napoli, cenando lungo il Limentra, certi di essere lontani dalle cattive compagnie del mondo industriale ed inutilmente arrabbiato, come consci della assurdità di un certo stile di vita. Rimanete così amici!
L’ultima tappa a Pistoia
L’ultima tappa porta a Pistoia. È lunga e plana, con alcuni saliscendi, verso la pianura. I castagni lasciano spazio agli ulivi e ai fichi d’India, la temperatura sale inesorabilmente, l’asfalto prende il posto del sentiero.
Anche il nostro spirito sembra tornare ad essere meno libero e sciolto. Ci attende la Chiesa di San Bartolomeo, in centro storico, dove arriviamo in piena canicola. Abbiamo fatto a piedi dal primo all’ultimo metro! L’ultimo timbro sulla credenziale ed andiamo in stazione dove ci attende il bus che riporterà i nostri corpi (la mente assolutamente no!) all’Abetone e poi di lì alle nostre auto.
“Scusami: dov’è il bagno?” chiedo al ragazzo del bar della Stazione. “Mi spiace, chiude all’una” risponde.
Cerco il Bosco, un Torrente, un Sentiero, un Castagno o un Faggio dove poter liberamente fare…insomma avete capito…
Non trovo nulla di tutto questo e banalmente mi tocca bere un caffè in un bar.
Ce l’abbiamo fatta però! Ci portiamo a casa ricordi indelebili e la certezza che quel Cammino futuro assieme lo si può, anzi lo si dovrebbe proprio fare. Grazie amici! Non perdiamoci di vista!