ORSIGNA (PISTOIA) – Da quando sono nata è capitato molte volte che, nel momento in cui dichiaravo di abitare a Orsigna, la gente strabuzzasse gli occhi e, con aria di profonda commiserazione, mi dicesse:
«Certo, deve essere dura: in montagna non c’è niente!»
In fondo queste persone che mi compativano avevano le loro ragioni. A Orsigna non ci sono cinema, teatri o centri commerciali e mancano tutte quelle comodità che le città scintillanti della nostra epoca possono offrire ai loro abitanti. Poi è arrivato il 2020, il diffondersi di una pericolosa malattia, che da essere soltanto una voce orientale e lontana, è diventata in poco tempo una grande e vicina minaccia che ha imposto al nostro paese un’esperienza nuova e indesiderata: il lockdown. Questo tremendo momento ha imprigionato milioni di persone nella paura, stipata insieme a loro all’interno di minuscole abitazioni; ma mentre il mondo naufragava in un mare desolato e silenzioso a Orsigna succedeva qualcosa di molto diverso.
Per gli orsignani l’isolamento è stato infatti un’esperienza profonda di autosufficienza, in cui si è scoperto il valore incommensurabile del niente di fronte al quale i miei interlocutori di cui parlavo poc’anzi strabuzzavano così spesso gli occhi. È stato proprio questo niente a farci vivere serenamente, senza, al contempo, farci mancare le cose di cui avevamo bisogno.
Durante il lockdown gli orsignani si sono ritrovati costretti nella loro valle che da piccola era diventata enorme. Si poteva soggiornare liberamente nei nostri ampi giardini e respirare un’aria che non era mai stata così pulita. Si poteva osservare un cielo trasparente e profondo e dalle nostre case ci era concesso abbandonare lo sguardo su una natura che, non curante delle sofferenze umane, progrediva tendendo il timido verdeggiare degli alberi verso una nuova primavera.
Graziella, la mia vicina di casa da poco più di un anno, pensava che mai così tanto sarebbe stata ripagata la sua scelta di vita.
«I miei amici che mi prendevano in giro per essere venuta ad abitare “tra i lupi” adesso vorrebbero essere al mio posto!» diceva dal suo modesto e prezioso orto, mentre lanciava uno sguardo epicureo lontano, su un mondo di città deserte.
Anche Erica e Alessandro, i proprietari dell’azienda agricola Il Merizzo, erano lietamente appagati dalla loro vita controtendenza. Mio padre ogni settimana andava a rifornirsi da loro di deliziosi formaggi di capra e la sera, dopo aver rincasato con ricotta, stracchino, caprino e tenero gorgonzola esclamava con una certa soddisfazione:
«Menomale, anche se dovessero chiudere i supermercati i formaggi non ci mancheranno!»
Non ci mancava proprio niente anche grazie al lavoro dei gestori del piccolo alimentari del paese, Uscio e Bottega, i quali provvedevano ogni giorno a portare la spesa a casa di chi, per un motivo o per un altro, non poteva venire di persona in negozio. Una solidarietà ben lontana dalle risse nei supermercati di cui eravamo spettatori attoniti ogni giorno, davanti alla tv.
Poi c’è stato il periodo dei pollai. Visto che questa autosufficienza dava loro un senso di appartenenza e orgoglio, i laboriosi abitanti di Orsigna hanno cominciato a costruire graziosi pollai intorno alle loro case. Persino Folco Terzani, di ritorno dal suo soggiorno esotico a Bali, un giorno ha chiamato mio babbo per farsi costruire quello che successivamente ha denominato lo chalet delle galline.
«È così bello che vorrei dormirci io!»; ci raccontò mio padre che così aveva detto Folco quando aveva visto il lavoro ultimato, poi con una certa soddisfazione aggiunse: «male che vada, dovessero chiudere i supermercati, non ci mancheranno neanche le uova!»
Ci raccontò anche che Mirco, il vicino di casa di Folco, faceva delle meravigliose pentole in terracotta. E io pensai che male che andasse, non ci sarebbero mancate dunque neanche le stoviglie.
Certo, catapultati improvvisamente in questo Medioevo moderno, non ci mancava neanche la paura; ma noi potevamo distenderla sul verde dei prati, nel blu del cielo, oltre le cime rotonde dei nostri appennini che ci rassicuravano nel loro abbraccio ogni mattina.
Adesso che per fortuna tutto sembra finito, che le nostre amate città tornano mitemente a pulsare della loro consueta frenesia anche noi siamo più sereni.
Tuttavia non ci scorderemo di questa esperienza e a chiunque vorrà venire a trovarci offriremo con orgoglio il grande valore del nostro niente.
Tutte le immagini sono di Maurizio Pini