Sanità e sociale, Economia  |  maggio 2, 2020

Primo Maggio ai tempi del Coronavirus: la riflessione del giorno dopo

Una ricorrenza particolare: piazze vuote e grande silenzio, i festeggiamenti solo virtuali. Intanto la fiducia iniziale nella lotta al Covid 19 è diminuita e si guarda con preoccupazione alla ripresa. C’è da sperare che presto si possa ritornare a una quasi normalità, senza ripetere errori già commessi. Imprenditori e lavoratori hanno capito benissimo che vanno prese e osservate tutte le misure contro il pericolo del contagio. Ma bisogna ripartire per affermare il diritto del lavoro e la libertà di lavorare

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La preparazione delle mascherine da distribuire nella "Cattedrale" ex Breda a Pistoia

Per contrastare questo Coronavirus che imperversa è stato coniato subito uno slogan che suona anche bene: “Io resto a casa”, intendendosi con questo semplice concetto ribadire la misura prima per limitare il pericolo di contagio, l’isolamento appunto. Trascorsi due mesi e trovandoci ancora chiusi in casa, questa frase ora comincia a suonare come una condanna e mette in forte discussione tutto l’ottimismo trasferito in un altro slogan che s’è visto ovunque incorniciato dall’arcobaleno: “Andrà tutto bene”.

Impreparati all’emergenza

Succede infatti che la fiducia iniziale nutrita da tutti sia scesa via via all’altezza delle suole delle scarpe: un sistema sanitario sbandierato all’avanguardia si é rivelato impreparato ad affrontare l’epidemia pur annunciata con largo anticipo, il 23 gennaio, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tra l’altro in Italia l’emergenza è esplosa nelle Regioni più evolute e ricche, Lombardia e Veneto, ritenute quindi dotate di tutto quanto può servire in circostanze eccezionali. Invece vengono subito allo scoperto carenze inimmaginabili, mancano attrezzature adeguate, medici, infermieri, perfino i dispositivi di protezione individuale: quelle mascherine e tute indispensabili e introvabili, che proprio per questo sono andate di giorno in giorno aumentando di prezzo fino a raggiungere costi spropositati. A trovarle, poi!

La sanità colpita al cuore

Ci si è chiesti perché nell’Italia del 2020 è potuto succedere un tale disastro, in un settore primario come quello della Sanità pubblica o Salute, come dal 2001 si deve dire correttamente. Le palesi inefficienze sono davanti agli occhi di tutti, in particolare delle migliaia di famiglie che non hanno potuto piangere neppure i loro morti.

Succederà altrettanto nel mondo del lavoro?

Ieri nella giornata del 1° Maggio, la Festa del Lavoro, c’è stato ben poco da festeggiare con le piazze vuote, perché è la piazza il luogo dove i lavoratori onorano questa ricorrenza dal 1890. C’è da sperare che presto le piazze si riempiano di nuovo e pacificamente, a segnare il ritorno alla normalità. Ma c’è da temere fortemente il contrario, se l’inadeguatezza del comparto organizzativo sanitario  (mentre il personale sanitario, medici e infermieri, pagava con la vita)  dovesse trasferirsi nel mondo del lavoro. Questa refrattarietà a riaprire le aziende – di qualunque ordine e grado – sta assumendo da parte dei nostri governanti toni paternalistici che rasentano l’efficacia delle prediche ai bambini di tre anni, e sappiamo bene quanto le prediche spingano – non solo i piccoli – a fare l’esatto contrario. Tanti gli imprenditori che i lavoratori hanno capito benissimo che con questo virus non si scherza e che quindi vanno prese e osservate tutte le misure più adeguate contro il pericolo del contagio. Si è passati dalla minimizzazione iniziale – quando si è paragonata l’insorgenza del Covid 19 né più né meno ad una forma usuale di influenza – al terrorismo perdurante che non ha ragione di esistere visto che fino alla scoperta del vaccino con questo virus dovremo convivere. Certo vanno utilizzate tutte le forme di prevenzione, ormai a tutti ben note, e soprattutto – l’esperienza di questi due mesi insegna – l’insorgenza della malattia va monitorata subito e seguita passo passo dai medici di base.

Riprendere il lavoro

Il lavoro deve riprendere al più presto altrimenti come è stato detto con perfetta sintesi ”non si morirà più per il virus ma di fame”. Non possono aspettare le Aziende che sono costrette ad indebitarsi, non possono aspettare i lavoratori che rischiano di diventare disoccupati a vita: mentre tutti ricordano benissimo le misure annunciate che cadranno a pioggia dal cielo di Roma, come la manna di biblica memoria.

Divieti eccessivi

Si pensi che si è arrivati a vietare il lavoro nei campi, nei vivai e nei boschi, luoghi aperti per eccellenza, dove non si può stare gli uni attaccati agli altri per ovvie ragioni di operatività. Si è vietato il commercio ambulante, che poteva essere presente in forma isolata anziché assembrarsi nelle piazze abituali del mercato. Chiuse anche librerie e le biblioteche, ambienti usualmente semideserti, e vogliamo tener aperti i musei? che se si escludono i turisti nelle città d’arte metterebbero su delle ragnatele grandi come tendaggi.

La forza del volontariato

Si sono inventati nel frattempo strani riti casalinghi, che passeranno alla storia immortalati dalla RAI stessa che invita gli italiani a mandare filmati inerenti a come passano le giornate in casa. A nessuno è venuto in mente di sollecitare pubblicamente i confinati in casa ad affiancarsi ai tanti volontari, uomini e donne, che operano nel soccorso, nell’assistenza ai malati e nell’infinito mondo spesso sommerso dei bisognosi, ai quali si aggiungono di continuo schiere di nuovi poveri. I tanti afflitti da sindrome da divano potrebbero così trovare immediato giovamento e capire finalmente come sarebbe ridotta questa Italia senza la forza formidabile del volontariato.

Non c’è più tempo

C’è bisogno di riprendere il lavoro quanto prima. Prima che la concorrenza delle imprese straniere diventi dominante, prima che le grandi aziende perdano fette di un mercato giù asfittico prima dl virus, prima che le piccole imprese commerciali e artigiani in buona parte non riaprano neppure. È tempo di rimboccarsi le maniche per il lavoro, prima che lo stesso gesto venga compiuto per venire alle mani. La Storia insegna che le rivolte di piazza son sempre andate a finir male. Anche quando la Piazza apparentemente ha vinto.

Speriamo di festeggiare il 1° Maggio del 2021 con l’usuale concerto di canzoni alle quali anni di benessere ci hanno abituato.


La Redazione

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