Antonio Matani, medico filosofo e matematico pistoiese (1730-1799), nella sua opera Relazione istorica e filosofica delle produzioni naturali del territorio pistoiese (1762), descrive l’esistenza di “miniere e di materiali contenuti in esso”. Vi erano dunque miniere e metalli preziosi, a riprova che i medesimi venivano impiegati per adornare le più importanti chiese e per sopperire alle spese non indifferenti delle sanguinose guerre.
Si racconta che nell’anno 1270 (o 1278) furono scoperte presso Ponzano, piccola borgata nella valle della Bure orientale, fra Candeglia e Santomoro, due miniere d’oro e d’argento e che con i materiali ricavati si coniassero monete con l’effigie di San Giacomo, da un lato, e con la scritta Libertas, dall’altro. Non furono soltanto queste le monete che provenivano dalla zecca pistoiese, perché sappiamo che ne furono battute altre negli anni 1048 e nel 1327.
Miniere d’argento, ferro e piombo
La presenza sulla montagna pistoiese di miniere d’argento, ferro e piombo fu menzionata anche dal medico e naturalisra fiorentino Giovanni Targioni Tozzetti (1712-1783), autore, fra l’altro, dell’opera Viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi momumenti di essa.
In luogo detto Giumeglio, sotto la Grotta delle Fate, sul torrente Capriana a circa tre miglia ad est del paese di Popiglio, si intravvedevano vene metalliche di argento nel sasso colombino e nella pietra serena, mischiate con una considerevole quantità di piombo.
Qui lavorarono, nell’anno 1731, alcuni armeni della famiglia Bartam, molto abili nell’arte docimastica, cioè l’arte di saggiare e raffinare i metalli. E in questa stessa miniera fornirono la loro opera anche alcuni ebrei e due lorenesi nell’anno 1757.
Il Matani sostiene che le miniere del territorio pistoiese furono vuotate, come dimostrerebbe il ritrovamento di cunicoli particolarmente presenti a Giumeglio. A Renicci, sempre nella zona di Popiglio, in località detta Lezzamenne, era presente un’ocra rugginosa, bianca e gialla, usata per pittura e oreficeria.
La presenza di rame
In località detta I Lagoni, vicino al Passo della Collina, e presso il paese di Treppio, furono scoperte tracce di rame, ma la scarsezza del minerale non dette luogo ad escavazioni, mentre venne trovata della marcasite, o pirite bianca.
La presenza del rame nel territorio consentì ai pistoiesi, nell’anno 1346, di ottenere dal pontefice Clemente VI, la facoltà di fabbricare monete di rame.
Al Casotto di Piteglio ed al Colle di Serra furono rinvenuti pezzi di marcasite di rame e tracce di questo minerale furono estratte nel cutiglianese, presso il Balzo Nero, in località Tauffi.
Un tipo di marcasite venne rinvenuta anche a Vizzan, in prossiità di Montale, nel podere di proprietà di Atto Desideri e nell’escavazione delle fondamenta per la costruzione della villa dei signori Ippoliti, presso Giaccherino, sopra l’ex Convento dei frati.
La pietra nera
La pietra nera, o marmo nero di Pistoia, di cui è stato fatto uso per l’edificazione di chiese importanti, come San Giovanni Fuorcivitas, San Francesco, la Cattedrale, era presente in un podere della famiglia Puccini, nelle vicinanze del torrente Brana , nonché presso Valdibrana, Burgianico e lungo il corso della Bure di Santomoro.
Il diamante di Pistoia
Il cristallo delle nostre montagne, cioè il quarzo, detto anche diamante di Pistoia, era presente in varie località, particolarmente al Lago Scaffaiolo, Lizzano, Spignana e Gavinana, come pure nelle zone di Sambuca Pistoiese, Badia a Taona, Pracchia, Uzzo e altrove.
Diceva il Matani : “… ed io sono dell’avviso che molto risparmierebbero di denaro i Pistoiesi e gli abitatori dei luoghi circonvicini se invece di provvedere le gioie false di Francia, di Venezia e Genova pensassero a fare uso di quei diamanti che si producono nelle loro montagne”.