Arte di Altura questa volta vi porta fra le nebbie, le rocce e l’erba, intrise di odori ed emozioni, fra il fragore del vento ed un tempo scandito da un concerto di campanellini e campanacci, fra chi ha fatto di una scelta una ragione di vita.
Vite raccolte con estrema cura ed adagiate in un film documentario vivo e intenso.
Vi presento Anna Kauber, architetto, scrittrice, paesaggista e regista.
“In questo mondo”, un viaggio per conoscere e condividere le donne pastore italiane.
Seguivo da un po’ di tempo l’operato di Anna ed aspettavo l’occasione di una proiezione vicina per poter ammirare il film e riuscire a conoscerla di persona, visto che molto spesso è lei stessa che presenta la prima proiezione.
Ci avevo provato il 5 aprile in occasione della proiezione al Cinema Roma a Pistoia
(ne abbiamo parlato in questo articolo)
ma non sono riuscito a vederlo, perché andato super esaurito.
Poi è arrivata l’opportunità il 2 maggio al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci , di vedere il film, di conoscerla e fissare per una chiacchierata che si è trasformata in questa intervista.
Ciao Anna, qual è stata la scintilla iniziale, quella che ti ha fatto “perdere l’equilibrio” e ti ha permesso di fare il primo passo nelle terre alte di “questo mondo” ?
Parte tutto dalla mia abitudine di video-intervistare chi si occupa delle trasformazioni, del ripristino e della cura del paesaggio naturale, e quindi principalmente contadini, agricoltori, allevatori. Ho puntato a coloro che ne rappresentano un baluardo ancora più determinante per le terre alte: i pastori.
Nel mondo dei pastori sapevo che avrei trovato il campo di infinite tematiche fondamentali, importantissime ed urgenti, riguardanti la salvaguardia dell’ambiente naturale e delle conseguenze dell’abbandono della montagna; la disarmonia di questo equilibrio porta ad una serie di fattori come il dissesto idrogeologico, calo demografico e del lavoro che ci riguarda tutti.
Un’altra chiave interpretativa interessante era la ricerca di genere, la relazione della donna con la terra, come già avevo fatto a suo tempo con “Ritratti di donna e di terra” (ne è scaturito un libro “Le vie dei campi” – Maestri di Giardino Editori, agosto 2014 ndr.) dove anche le statistiche affermano che la presenza femminile nell’agricoltura è in costante crescita, animate da persone che fanno scelte precise, molto spesso infatti sono le donne che convertono o addirittura fondano nuove aziende biologiche o ne modificano l’inclinazione con fattorie sociali, ospitalità, trasformazione dei prodotti.
Altri fattori determinanti per narrare le donne sono dovuti ad una mia inclinazione e maggior facilità a rivolgermi al mio stesso sesso nella ricerca sul campo, secondo i sistemi dell’antropologia, con riscontri oggetti e fattuali delle realtà; inoltre la donna ha un’abitudine ad una indagine interiore molto più approfondita, una complessità del pensiero su di sé molto più stimolante dal mio punto di vista.
Nella mia indagine è sempre presente questo fluttuare fra scoprire la persona al di là del mestiere e conoscerle nella sfera lavorativa; così facendo si apre un terreno fertile per capire in profondità di certe tipologie di scelte.
Andare ad indagare il mondo pastorale, ricercando la specificità di genere in una cultura di impronta fortemente maschile, se non addirittura patriarcale, era interessantissimo.
Come l’hai vissuta questa tua “transumanza” di 2 anni, tra più di cento donne fra i 20 e i 102 anni per le quali hai percorso 17.000 km a giro per tutte le regioni d’Italia ?
In modo meraviglioso ! E’ stato pazzesco.
Lo avevo già ipotizzato, magari non era stato portato alla coscienza in modo definitivo ma poi l’ho verificato lungo il percorso, che anche io stavo compiendo qualcosa di importante, non era solo un progetto culturale, intellettuale e artistico, ma proprio un mio viaggio.
Una partenza ad un periodo della mia esistenza un po’ complesso, che aveva bisogno un “ripigliarsi” totale. Sono sempre stata una viaggiatrice, con indole nomade, e compiere questo viaggio in solitaria era estremamente stimolante.
Al contrario di come molti mi dicono, non ho mai provato fatica, nonostante l’indubbio carico della performance fisica nel seguire la vita e gli spostamenti di queste donne; nonostante la pesantezza dello stare continuamente attenta e presente mentalmente con tutti i sensi all’erta.
Riprendevo continuamente anche mentre camminavo (e spesso cadevo a terra) cercando di gestire tutti i problemi, come l’audio con il vento fortissimo, ma allo stesso tempo dovevo mantenere un’apertura di cuore; giocare sempre con una presenza tensionale terribile ma anche con una sospensione emotiva tale per cui potevo recepire tutte le emozioni che provavo, in solitaria, o nelle immersioni con loro nell’elemento naturale, nel mezzo ad i loro animali.
Proprio le mie riprese sugli animali hanno scaturito una domanda dalla direttrice della scuola internazionale di formazione per documentaristi Zelig di Bolzano, in occasione del premio ricevuto al Trento Film Festival; loro erano abituati, nel festival della montagna, a veder rappresentato con immagini bellissime il paesaggio, gli animali eccetera; “ma tu – mi ha chiesto lei -, c’è qualcosa di fortemente personale, ed unico nelle tue riprese degli animali, ma anche del paesaggio, perché ?”
Nonostante abbia ben sviluppato le tematiche in genere ed anche le motivazioni mie personali per la prima volta non sapevo “perché”… molto probabilmente è perché ero felice e stavo bene!
Ci racconti meglio di questa sinergia fra donna pastore e gli animali? Alcune, nei dialoghi del film, affermano che l’essere donna è quasi un aiuto, uno stato più alto di interconnessione umano-animale, lo hai riscontrato anche tu ?
Indubbiamente! Bisogna premettere che gli animali tenuti dalle donne sono speciali; le donne tutte, danno un nome ai propri animali, già questo fa capire il rapporto particolare con le proprie bestie.
Grazie a loro sono riuscita maggiormente ad essere sensibile, io che trovo una facile empatia con la “creazione”, anche la prima gemma sul ramo secco dell’inverno ha la capacità di muovermi delle corde interiori fortissime.
Il sentirmi parte, paritaria, di quello che è l’enorme immensa bellezza di questa vita che ci circonda, faceva scaturire una facile complicità con le donne, tutta nostra, perché loro lo hanno percepito subito e mi hanno accettato, hanno accettato questa mia presenza e condiviso questa intimità del proprio racconto con me, perché sentivano la loro gioia anche in me, era la nostra gioia nello stare li.
Anche la bravissima montatrice Esmeralda Calabria, mentre effettuava il montaggio, mi sgridava su alcune mie dimostrazioni di amore, con gesti e parole di affetto verso gli animali; mi ripeteva che una professionista non deve fare certe cose, ma una professionista non lo sono perché io ero lì principalmente come condivisione, a stare bene, a passare bene i due più belli anni della mia vita.
Fino al 2016 non avrei mai pensato che sarebbe entrata una produzione, perché sono partita in solitaria auto-finanziandomi, poi hanno vinto i file che stavo backuppando in continuazione; mi sono resa conto che avevo qualcosa di veramente unico, di formidabile, di bellissimo, e di inedito; a quel punto ho iniziato a cercare e mi hanno cercato, come Esmeralda Calabria, ma fino alla fine delle riprese ho continuato tutto come prima, ho continuato la mia esperienza come da premessa. Non volevo nessuno vicino a me, perché sapevo che non avrei ottenuto niente da queste donne con qualcun altro, e soprattutto perché volevo godermela, ero super-concentrata ma ero io, anche io la stavo vivendo questa esperienza.
Non è stata una prestazione di lavoro, non eseguivo una performance lavorativa e poi tornavo a casa alla propria vita, la mia vita era quella lì.
A proposito di ore lavorative e istanti vissuti, il Tempo, questa grande incognita, che nell’era moderna è ancora più inafferrabile e frenetica, com’è vissuto nella vita di una donna pastora ?
Non bisogna pensare al tempo da esclusivamente in orizzontale ma concepirlo anche in maniera ciclica.
Anche queste è una delle cose che ho imparato, già il mondo rurale mi aveva aperto questo scarto di chi vive il rapporto con la natura e chi invece l’ha perso, chi ha ceduto o voluto questa cesura incredibile, questo essere sempre in un altrove, che non è condizionato dal passaggio delle stagioni e addirittura dal ciclo della luce e del buio.
In questa esperienza l’ho vissuto ancora una volta e in maniera più importante, anche grazie allo stare quasi totalmente all’aria aperta, ed il concetto di tempo, seppur importantissimo, era percepito come tempo senza tempo, perché si ripete dei gesti, ma è tutte le volte diverso; ha una progressione perché l’agnellino cresce e finisce il tempo dello svezzamento con il biberon ma dopo poco ne nasce un altro, e così con le stagioni, e quindi è davvero quell’immersione totale e quella capacità di essere presenti in ogni momento, con tutta te stessa, con quello che stai vivendo.
Ripeto, l’altrove che noi viviamo, folle, è da brivido; nella prospettiva di chi come me, ha avuto il privilegio di passare giorni, giorni e giorni, nella dilatazione ma non nell’assenza del tempo.
Anche perché non te la puoi permettere l’assenza, perché tu sei custode del gregge ancora prima che i cani.
Quindi il vero premio è stato vivere due anni con loro…
Al di là dei tanti e bellissimi premi, che sono arrivati e che stanno arrivando, degli applausi, delle interviste, tutto quello che vuoi, ma niente in confronto all’esperienza meravigliosa, anche nei rapporti umani, nelle piccole comunità; ho davvero immagazzinato bellezza, bontà, sostegno, sguardi, storie, paesaggi… paesaggi!… E’ incredibile!
Ho dei ricordi di un tratturo in fiore bellissimo, un patrimonio immateriale storico incredibile.
Quando lo sguardo va su, lontano, questa spazialità che ti dà, ti arriva dentro al cuore e ti inginocchi dalla bellezza, poi vai sul piccolo, e l’occhio va al fiore, all’orchidea endogena, unica, proprio di quel territorio che è stato concimato dagli escrementi degli ovini, ed è proprio in quelle condizioni che cresce, ed è unica!
Si percepisce dalla tua propensione a soffermarti sui particolari, sulle piccole cose, che hai una grande sensibilità, e grazie ad essa, in questa tuo dialogo intimo con le pastore, sei riuscita a percepire. Che emozioni e stati d’animo provano ad affrontare questa vita, tanto dura quanto vera e genuina ? Si sentivano sole ?
Intanto posso dire che loro mi richiedevano sempre delle esperienze delle altre donne pastore che avevo intervistato e stavo accumulando, e si beavano ad ascoltarmi perché ritrovavano i loro gesti, i loro rituali, loro stesse nella trasfigurazione di altre persone che erano anche molto lontane. Alla fine c’era sempre l’affermazione “ma allora non sono solo io”
Tante sono sicuramente uniche, anche se sono più di cento quelle che ho intervistato bisogna ricordarsi che sono sparse in tutto il territorio, e questo diventare pastore se lo sono conquistato contro la società, contro i genitori, contro tutti, mosse da una fortissima volontà di realizzarsi in questo; sicuramente alcune provano questo senso di solitudine, soprattutto chi non ha lo smartphone o comunque forme di comunicazione tecnologica, ma altre sono contemporanee nel loro tempo, e si sono subito messe in comunicazione fra di loro, si conoscono.
Ho sempre fatto molto da “collettore”, mi dicono sempre che ho parlato di loro, le ho rese visibili, perché sono andata da loro con estrema umiltà, senza quell’atteggiamento predatorio di molti giornalisti che tante volte sono andate da loro per una intervista mordi e fuggi.
Ho riscontrato che già dalla mia ricerca, e ancora maggiormente da quando il film ha iniziato ad essere visto, questo argomento delle donne pastore è stato molto trattato; ed a volte mi infurio perché in alcuni casi non c’è davvero quel rispetto, quella consapevolezza nel trattare un materiale così delicato, anche se alcune sono fortissime e strutturate ma in generale sono comunque situazioni delicate, e quindi tendo a tutelarle, a proteggerle perché secondo me hanno già lottato abbastanza.
Non sopporto una lettura semplificata della loro scelta importantissima, che ha provocato anche lacerazioni, separazioni, lotte, economie fragili, scontri con enti, associazioni e Stato, una scelta controcorrente tosta e consapevole.
Ed a proposito di queste forti aspetti, uno dei pregi del film che mi hanno riconosciuto è che non ho edulcorato niente, anche dal premio al Trento Film Festival, conferito uno dei musei antropologici più importanti d’Italia, me lo conferma; non ho voluto assolutamente mistificare la complessità della realtà in cui vivono, anzi il mio intento era proprio rimandare “alla complessità”.
In questo mondo è un vero documentario, che narra la verità, la ricerca puntuale; infatti i miei due grandi sponsor sono due grandi maestri riconosciuti del documentario: Franco Piavoli, che ha amato moltissimo questo film e del quale una frase è stata riportata nel manifesto: “Un bellissimo documentario sul mondo delle donne pastore, custodi della vita” e Cecilia Mangini che mi è venuta ad abbracciare e mi ha detto: “Torno, dopo anni, a vedere un documentario con un pensiero dietro, veramente una narrazione del reale che fa storia”
In tutto questo che ruolo ha la Montagna ?
E’ la fonte di ispirazione del film, inizia e chiude proprio con la Montagna.
Un luogo, purtroppo, ricordato solo per andarci a sciare, anche in quel caso rubare qualche cosa e tornarsene via ed a parte le Alpi che sono un po’ più abitate, il resto è poco densamente abitato.
La Montagna è un luogo fragile, e non ci dimentichiamo che un buon 33% del territorio nazionale è Montagna, lo scheletro dell’Italia sono gli Appennini, e che abbiamo un debito di civiltà verso quelli che l’hanno abitata; è un luogo amatissimo ma altrettanto rimosso come cultura, questo grande abbandono è stato mortifero per la nostra nazione.
La Montagna deve tornare ad avere il ruolo che le compete, come cultura, ambiente naturale, come risorsa enorme e potenziale perché non tutto è stato un luogo di miseria come molte descrizioni del passato tendono a raccontare; ad esempio nel feltrino, nelle Alpi bellunesi c’era ricchezza, avere un bel gregge ti faceva star bene, una bella famiglia, anche le tante coltivazioni ed una bella economia con tesori architettonici di chiese affrescate da artisti locali che sono strepitose, per non parlare delle ricette culinarie, della cultura delle tradizioni, i balli i canti le musiche.
Una pastora ce lo dice: “Siamo in pochi a non abbandonare i nostri luoghi” e lei invece è restata nel suo Pollino, meravigliosa montagna italiana.
L’ultima domanda che faccio ad ogni intervistato: immagina di essere una Montagna, ed avere la possibilità di poter parlare all’Umano, cosa gli diresti?
All’umano gli direi:
“Rispettami, curami, torna ad abitarmi, qui si sta bene sul serio; però opera su te stesso un cambiamento. Rimetti in fila i bisogni, le necessità che oggi sono davvero manipolate da una volontà consumistica, superficiale, di vederci un po’ tutti assuefatti e assenti. Torna con me e ‘ripigliati’, datti una bella resettata in termini moderni. Non usarmi per spararmi addosso la neve perché ‘tutti devono sciare’”. Camminami, percorrimi, e magari vivi, vivi con me. Ascolta i mie cicli, i miei ritmi”.