Il vocabolario Treccani la definisce come “irritazione violenta prodotta dal senso della propria impotenza o da un’improvvisa delusione o contrarietà e che esplode in parole o azioni incontrollate e scomposte”. L’aggettivo “scomposto”, a mio avviso, rappresenta bene il movimento della rabbia, emozione dinamica e a tratti sguaiata.
Tanti modi di esprimerla
Condannata e censurata da molti, la rabbia s’insinua nella nostra quotidianità assumendo le forme più svariate. C’è chi la esprime tutta d’un fiato, facendo valere il suo diritto negato, chi la bisbiglia in velenose critiche, chi la trasforma in mutismo o in ossessione.
Impossibile zittirla, la rabbia è un’emozione innata, universale che condividiamo con tutte le culture, nella mimica e nel significato. Quello che può cambiare tra culture, generazioni, sistemi familiari, persone è la modalità con la quale viene espressa e gestita.
In cosa ci aiuta
La rabbia appartiene alle sei emozioni principali, atte a permetterci l’adattamento e la sopravvivenza. In modo particolare, la rabbia ci ha consentito e ci consente tuttora di passare all’azione, di difendere i nostri diritti e confini e, perché no, di portare avanti i nostri obiettivi.
Nel momento in cui viene trattenuta ci impedisce pertanto di adoperarci per proteggere la nostra incolumità oltre che il nostro spazio e potere personale.
La componente legata al movimento
Come tutte le emozioni, oltre alla componente cognitiva e fisiologica, contiene una parte legata al movimento che, se inibita, comporta un accumulo di energia e tensione nella parte del corpo coinvolta. In particolare, come dimostrato da numerosi studi, la rabbia coinvolge la parte alta del corpo (mani, braccia, torace), la testa con specifico coinvolgimento della zona orale e i piedi, strumento di azione.
La rabbia fa digrignare i denti, stringere i pugni e tirare calci come pure rende “ciechi dalla rabbia”, nel momento in cui si trasforma in furia.
L’escalation da evitare
Al contrario, se viene covata a lungo, prende le sembianze di un ridondante motivetto interno, inizialmente “risentito” poi “rancoroso”. Una vera e propria escalation che, mal-gestita, dal frizzante fastidio si trasforma in ira.
I boschi come “cuscini”
“Non appena nutrita la rabbia muore, è il digiuno che la fa ingrassare”, racconta la poetessa Emily Dickinson. Impariamo pertanto a darle valore, ad esprimerla a piccole dosi e magari, perché no, ad urlarla a squarciagola, quando possibile.
In questo, i boschi e la montagna, fedelmente rispettosi del segreto professionale, possono rappresentare catartici “cuscini” e validi custodi.