Sappiamo che in ambito legislativo c’è una giungla di norme che spesso si contraddicono, per la felicità degli avvocati, per la discrezionalità dei burocrati e per la disperazione di noi cittadini. Codici, leggi speciali, regolamenti in mezzo ai quali è difficile districarsi.
Lo stesso accade nella lingua italiana di oggi, tirata di qua e di là come una giacca logora, sta perdendo la capacità di denotare, di indicare e classificare puntualmente oggetti, sentimenti, stati d’animo e verità etiche e morali.
A proposito di “verità” non è raro sentir parlare, nei media, di “verità vere”, come se ci fossero verità vere o false, come se qualcosa di incontrovertibile possa essere controvertito e come se non si distinguesse più il vero dal falso.
La lingua è il termometro dei tempi e quando essa perde la propria essenza, i propri punti fermi, rimane in balìa di mode e circostanze passeggere che la confondono e ne limitano la forza espressiva.
I tempi di oggi non sono solo mediatici e virtuali, ma anche subdoli perché hanno fatto dell’estremizzazione del dubbio una filosofia, dell’opinione personale una divinità, dell’egocentrismo un totem. Tutto questo fa di noi delle monadi impazzite che vagolano alla vana ricerca di un approdo, di un “varco”, per dirla col poeta Montale, e che sono destinate all’infelicità ed alla depressione.
Insomma, quando si ricerca la “verità vera”, vuol dire che siamo in mezzo alla “selva oscura”o, per rimanere legati a Dante, siamo sudditi del regno di Semiramide, la mitica regina di Assiria, rammentata nel V canto dell’Inferno, per la cui dissolutezza “libito fe’ licito in sua legge”, cioè che rese legge ogni cosa che le faceva piacere.
Quello era il trionfo dell’egocentrismo più sfrenato.