Scusate il ritardo
PISTOIA – Mi perdoneranno il ritardo, i custodi dell’ortodossia societaria, ma le scadenze di lavoro – quello principale, per così dire, quello con cui porto a casa la pagnotta, o almeno ci provo – hanno avuto necessariamente la precedenza su tutto. Un paio di giornate davvero impossibili, le mie, in cui il massimo svago è stato effettivamente quello di scrivere due concetti su Mattarella & friends sui social. Quello lo potevo fare, non avendo peraltro da perdere minuti preziosi nel fare copia ed incolla da Wikipedia, un pezzo come questo invece necessita di tempo, sensibilità e grande attenzione. Sia chiaro, lo specifico solo per scusarmi con Robertone, le cui dimissioni formali non possono certamente passare inosservate o sotto silenzio.
Pezzo complesso da scrivere
In verità, non è semplice scrivere questo pezzo. Di cosa parlo, dell’uomo o della sua presidenza? I migliori tra noi tendono a fare un minestrone tra le due cose, senza rendersi conto che, così facendo, non rendono giustizia a 14 anni circa di lavoro – certamente appassionato ed incessante – di una persona che merita di essere ricordata come un grande uomo ma anche di essere stimata, nel senso più autentico della parola, per quello che ha detto e fatto in un periodo così lungo.
Maltinti uomo
Dunque, prima l’uomo. Mancherai anche a me, Robertone, forse più a me che a tanti soldatini osannanti che, nonostante l’assidua frequentazione del PalaCarrara la domenica, a malapena ti conoscono. Certamente, non sono mai stato tenero e probabilmente non lo sarò nemmeno oggi, ma questa non solo è, per così dire, la mia cifra stilistica, ma anche e soprattutto la mia massima forma di rispetto per l’interlocutore di turno, quella di evitare di trattare con sufficienza chi ho davanti, ma pretendere sempre il meglio ed il massimo quando, al netto della critica del momento, comunque lo reputo capace. Credo che il giorno in cui perderò una causa ed il cliente mi darà una pacca sulla spalla, consolandomi, sarò un avvocato finito.
Quella sciarpa regalata 33 anni fa
Quando penso a Roberto la prima cosa che mi viene in mente è la mia sciarpa, quella che per i più giovani sembra la bandiera del Grifondoro di Harry Potter ed invece è un piccolo simbolo di una passione nata 33 anni fa. Ero sull’aereo verso Cagliari, non ricordo se avevo 5 o 6 anni, in trasferta con la famiglia per seguire la Maltinti. Un volo memorabile. Ricordo l’imbarazzo nell’aver fatto ridere tutti i giocatori domandando a mamma se a Cagliari parlassero italiano, ma del resto ero piccolo e l’idea di dover volare per la prima volta mi aveva confuso le idee. Ricordo ancora quel gigante di Roberto venire da me e mia sorella maggiore a regalarci due sciarpe biancorosse bellissime, per poi invitarmi a prendere un pezzo di dolce in mezzo ai giocatori. Ricordo l’emozione, addirittura la fetta di torta mi scivolò di mano. Insomma, il primo ricordo che ho di Roberto è un episodio pieno di emozioni belle, quelle che segnano il cuore di un bambino. Se sono in curva 33 anni dopo, senza aver abbandonato la nave nemmeno in C2, è anche merito di persone e gesti così, oltre che della bellezza di uno sport meraviglioso.
Infiammabile ma senza rancori
In tanti anni di pallacanestro le immagini di Roberto sono davvero tante. Concordo con Matteo Gori quando scrive che Roberto è una persona certamente infiammabile, ma incapace di portare rancore. Ricordo alcuni screzi clamorosi a seguito di alcuni miei pezzi frizzantini, definiamoli così, per poi finire costantemente abbracciati e non pensarci più fino all’incazzatura successiva. Ricordo una sua certa allergia ad alcuni tipi di critica, ma tutto sommato bastava chiarirsi e finiva lì. In questo senso, penso di poterlo scrivere, caratterialmente siamo probabilmente molto simili.
Maltinti presidente
Ricordo Robertone il sanguigno camminare su e giù affiancando la balaustra della tribuna – quando ancora non faceva invasione di campo, passatemi la battuta – per difendere i colori. Lo ricordo soprattutto in Legadue, quando incappavamo in arbitri oggettivamente scarsini, probabilmente un pizzico più condizionabili dal palazzo e decisamente più tolleranti in termini di appunti sul referto a fine partita.
Ricordo anche cosa hanno detto quasi tutti i giocatori al termine delle proprie esperienze pistoiesi, ragazzi innamorati della città e dell’ambiente per quel famoso clima di famiglia, croce e delizia per tanti motivi della nostra realtà, ma certamente punto di forza nell’economia del risultato sportivo di ogni stagione. In questo senso non vi è alcun dubbio che Roberto sia stato il Presidente perfetto.
Una serie incredibile di successi
Vi è poi la misura della presidenza nella stanza dei bottoni, seduto alla scrivania di generale dell’esercito del Pistoia basket. Dunque, con ordine. Non vi è alcun dubbio che Roberto verrà ricordato come il Presidente di una serie di stagioni incredibili. Sarà per sempre il Presidente del ritorno nella massima serie, quello di gara 5 a Milano nella serie playoff, quello delle trasferte oceaniche a Bologna, quello della stagione di Wanamaker e tripla J, quello con cui due signor allenatori sono diventati coach dell’anno, quello del sesto posto in campionato, ovvero del punto più alto della storia della pallacanestro a Pistoia. Sarà ricordato come il Presidente delle file infinite al botteghino prima e del record di abbonamenti la stagione dopo.
I limiti
Sarà anche ricordato come il presidente parafulmine per le critiche, ma non del tutto capace di dare una vera risposta alle perplessità che ciclicamente sono emerse sulla gestione della baracca. Sarà ricordato come il presidente che si incacchia e sbatte il pugno sul tavolo quando Davide Costa chiede lumi sui bilanci, ma che, dopo aver promesso maggiore trasparenza sul punto, di fatto non la fornirà mai. Sarà ricordato come il presidente non capace di attrarre un main sponsor di peso nonostante Pistoia sia l’unica realtà esistente nella massima serie da Bologna a Pesaro. Sarà ricordato come il Presidente che ha pianto miseria in ogni conferenza stampa, trasformando probabilmente la difficoltà oggettiva di gestione – innegabile – in un messaggio demotivante per tanti imprenditori che potevano avere la curiosità di avvicinarsi al nostro mondo. Sarà ricordato come il Presidente che chiedeva a tutti di remare nella stessa direzione, ma incapace di tessere rapporti cordiali con qualsiasi amministrazione comunale, di qualsivoglia colore politico. Il presidente del gruppo che conta, ma che liquida un pezzo da novanta come Galanda con troppa facilità. Il presidente che lascia quando si fa fatica a trovare un sostituto che ci metta la faccia perché il quadro clinico della società non è grave, ma serio. Non è un codice rosso, ma nemmeno un codice verde.
Sempre difficile giudicare
Certo, dagli spalti è tutto facile, lo so. So anche che le mie sono semplificazioni da cronaca giornalistica, il mondo reale dei rapporti con società avversarie, giocatori, procuratori e sponsor non è mai bianco o nero, ma vive della complessità di tante sfumature di colori. Semplice, dunque, immaginare che tanti avrebbero potuto fare meglio, ma tantissimi avrebbero potuto fare meno e molto peggio.
Un grande grazie finale
Per questo, giunto al momento di tirare una linea, mi alzo in piedi, mi tolgo il cappello e faccio un grande applauso a Roberto, pieno di gratitudine sincera per averci messo tutto quello che era nelle possibilità di un uomo appassionato di una creatura che, per tanti motivi, giustamente ha sempre sentito come propria. Grazie Roberto, ci vediamo sugli spalti, stavolta sì per remare tutti nella stessa direzione.