Una Montagna di Parole  |  aprile 6, 2018

Brutti tempi per la lingua italiana: ci parliamo addosso senza capirci

L'ennesimo esempio di un'espressione utilizzata impropriamente è “in qualche modo”: per come viene usata spesso non significa nulla. Alimenta solo sospetti e illazioni. Il suo uso massiccio nel linguaggio comune la fa diventare inutile e pleonastica

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Una lingua “precisa”

Una delle caratteristiche fondamentali della lingua italiana, fin dalla sua origine, è la precisione, in quanto essa deriva dal latino, che non darebbe spazio all’indeterminatezza ed all’approssimazione concettuale. Dico“darebbe”, perché l’uso che vien fatto oggi dell’italiano è spesso improprio, per non dire generico. Un esempio di improprietà lo abbiamo già fatto su queste stesse pagine: si tratta del “piuttosto che”, usato come congiunzione al posto di “o”, “oppure”, mentre esso ha un valore esclusivo, nel senso che un’opzione vuole escluderne un’altra.

L’uso improprio

Da tempo si sta affermando anche una locuzione che mostra tutta la sua genericità, mi riferisco a “in qualche modo”, che a ben guardare non significa nulla nei contesti in cui viene inserita. Eppure espressioni come le seguenti: “Le cause dell’incidente sono legate in qualche modo all’alta velocità”, oppure “L’omicidio è collegato in qualche modo alla criminalità organizzata” , oppure ancora “La partita è stata in qualche modo condizionata dall’arbitro” ecc. sono all’ordine del giorno sui media giornalistici e televisivi.

Alimenta solo illazioni

Un tale uso della nostra locuzione non puntualizza l’argomento di cui si parla, anzi contribuisce ad alimentare sospetti e illazioni buttate là, senza che abbiano nulla a che fare con la correttezza dell’informazione.

L’espressione diventa inutile

L’estensione massiccia di “in qualche modo” anche al linguaggio quotidiano della gente comune, la fa diventare di fatto un’espressione pleonastica, inutile, come del resto sta accadendo con un altro tormentone mediatico, costituito da “quant’altro”.

Incontinenza linguistica

Tutto questo è l’ennesima riprova dell’incontinenza linguistica dilagante del nostro tempo; in parole povere, ci stiamo parlando addosso! E , peggio ancora, senza capirci.


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)