PISTOIA – “La scorsa estate sono state al lago Scaffaiolo e nella riserva naturale dell‘Orrido di Botri, due luoghi della vostra montagna davvero molto belli. Allo Scaffaiolo sono state giornate di grande vento che ci hanno permesso vedute spettacolari e nitide fino alla pianura Padana e ai laghi del parmigiano. A Botri ho potuto apprezzare l’ottima organizzazione nella gestione dei visitatori e del loro accesso. È stato emozionante vedere dall’alto Lucca e le sue zone periferiche e la distesa di territorio che unisce quell’area a quella pistoiese, così come le montagne Apuane sulle quali ero stato più volte ma che non avevo mai potuto vedere da lontano”. Non poteva esserci migliore approccio con il professor Fabrizio Barca, economista, esperto di governo societario e di politiche di sviluppo territoriale, direttore generale presso il Ministero dell’economia, per questa intervista alla Voce della montagna: quasi un’introduzione dell’esperto di materie connesse con questi territori ma anche di un appassionato e di un vero cultore della montagna.
Professor Barca, come ministro della coesione territoriali nel governo Monti e, più in generale, come esperto di politiche di sviluppo del territorio, che idea si è fatto delle reali necessità della montagna: è davvero un territorio irrimediabilmente perso o ancora indispensabile per uno sviluppo equilibrato e sostenibile? Ci sono forti motivi, non solo sentimentali, per i quali la “città” dovrebbe preoccuparsi della montagna?
“La montagna è la parte più prominente e ripida di un sistema che in Italia è i 2/3 dell’intero territorio nazionale. Anche volendo bisogna essere davvero fessi per considerare questi i luoghi solo dell’ozio e del riposo, come se fosse un enorme parco da frequentare per brevi periodi. Al contrario si deve riflettere su alcuni elementi”.
Quali sono professore?
“Ne elenco quattro. Il primo: in montagna, a seconda dei parametri che si usano per definirla, ci vivono da 2 a 6-7 milioni di persone. Il secondo: in montagna si formano i nostri fiumi, basta conoscere un po’ il territorio dell’Appennino Tosco-Emiliano per saperlo, per non dire della Liguria e degli effetti nefasti che una cattiva gestione dei corsi d’acqua ha prodotto più volte in pianura e in città. Il terzo: c’è un elemento identitario forte che caratterizza questi luoghi, un fattore molto interessante che ho potuto constatare con una serie di studi effettuati negli anni. La montagna, e ciò che la circonda, ha elementi che uniscono realtà anche molto lontane fra loro. Si parla lo stesso linguaggio più o meno ovunque mentre, che so, un palermitano e un torinese hanno sicuramente molti meno elementi in comune, meno affinità. Il quarto e ultimo elemento, infine, è quello economico: questi territori possono tornare ad essere interessanti, a creare lavoro, soprattutto nel settore agroforestale. Insomma ci sono molte ragioni per ritenere la montagna estremamente importante che vanno oltre la bellezza”.
Quindi lei dice bellezze e risorse naturali sì ma anche molto altro. Per rilanciare questo territorio a quale tipo di sviluppo economico si potrebbe pensare?
“Ne ero convinto 5 anni fa ora lo sono ancora di più adesso. Ci sono tre carte da giocare. La prima: si devono garantire i servizi e la loro qualità. Penso ai servizi fondamentali, scuola, salute, mobilità. La seconda consiste nel dialogare con questi territori, che non vanno considerati solo luoghi dove trascorrere le vacanze, non solo con un senso di nostalgia per quello che erano o hanno rappresentato per molte persone ma parte di una vera modernità. La terza: valorizzare al massimo gli innovatori, coloro che investono in montagna, che tornano magari dopo un periodo vissuto altrove, dedicandosi ad alcune attività, penso in particolare al settore agricolo, all’offerta culturale, ai servizi sociali. Si deve dare spazio a queste persone, giovani soprattutto, perché la loro voglia di fare non sia frustrata da vecchi marpioni o da intollerabili lentezze burocratiche.
E il turismo, che ruolo può svolgere per far crescere questi territori?
“Anzitutto bisogna sapere chi si ha davanti quando si parla di turismo: ceto medio, ricco, giovani ecc. L’esperienza maturata in 75 diverse aree di lavoro mi fa dire che servono certe caratteristiche: chi ha competenze ingegneristiche può sicuramente fare di più di chi non le possiede. Penso per esempio alla gestione dei parchi. Dire parco è concetto troppo generico: dove, come e cosa offre. Molti parchi che possibilità concrete danno a un certo tipo di visitatori? Bivacchi e poco altro. Può bastare? Io credo di no. In Italia nella montagna dagli 800 ai 2000 metri non sono previste aree di campeggio libero. Ho fatto l’intera dorsale dell’Appennino Tosco Emiliano: la lontananza dei rifugi costringeva a tirare su una tenda in luoghi irregolari. Non si offre niente e non si controlla niente. Il visitatore in questo caso non lascia il suo nome in nessuna struttura e si arrangia. E’ un piccolo esempio, dà la misura del buon senso che sarebbe necessario. Sono cose che hanno bisogno di tempo per maturare, richiedono conoscenza e gradualità”.
L’anno di Pistoia capitale della cultura si avvia alla conclusione e non si vedono gli effetti sui territori montani che le stanno intorno. E’ un esempio amplificato del difficile rapporto montagna città?
“Stiamo affrontando il rapporto città montagna ragionando solo per aree burocratico-amministrative; questa cooperazione non è stata favorita. Dove noi lavoriamo cerchiamo di andare oltre questa visione delle cose. Faccio un esempio del lavoro che stiamo svolgendo con l’acquario di Genova, creando un collegamento con una piccola località Antola di Guglio. Stiamo ragionando assieme sulla valorizzazione dei gamberi di fiume presenti in quella zona. Insomma può essere che una piccolissima parte dei visitatori dell’acquario possa trovare interesse visitare anche quella piccola realtà. E’ un esempio minuscolo e molto particolare ma che fa capire che si può lavorare assieme”.
Di fronte a un progressivo incremento del fenomeno dello spopolamento, come si può invertire la tendenza e provare a trattenere la persone in montagna?
“I numeri anzitutto ci dicono che nelle aree interne c’è un arrivo di migranti e in generale di non residenti che mostra un elevato tasso di imprenditorialità, con una ripresa della percentuale dei bambini che frequentano le scuole. La caduta del numero di abitanti negli anni recenti sarebbe stata ancora più consistente se non si fosse assistito a questo fenomeno. La presenza di migranti nelle realtà di paese, inoltre, contrariamente a quello che potevamo legittimamente temere, non ha avuto problemi di integrazione e convivenza. In alcuni casi c’è stata la rigenerazione di alcune iniziative lavorative, penso per esempio alla zootecnia: ci sono molti casi di piccole imprese guidate da albanesi nel centro Italia e rumeni nel nord. Per adesso si tratta di segnali ma sono interessanti”.
E per i giovani nati in questi territori che spesso se ne vanno, per scelta o perché costretti?
“Anzitutto bisogna dire che è in atto un fenomeno di rientro. Non c’è luogo che ho visitato dove non abbia visto ragazzi che sono tornati a vivere nel loro paese d’origine. Per far sì che questi giovani possano creare qui le condizioni del loro futuro servono servizi, a partire da quelli essenziali: ospedali con reparti di maternità e scuole. Servizi che non solo funzionano ma che sono migliori di quelli che si trovano in pianura e in città. Le persone che sono ritornate o si sono spostate in montagna devono essere aiutate con misure specifiche: per esempio con la digitalizzazione delle scuole per annullare le distanze”.
Quali altre azioni servirebbero in particolare? Cosa servirebbe allora per innescare un percorso di crescita?
“Intanto che il legislatore smettesse di scrivere norme e leggi pensando solo alla città. Ci sono molte altre realtà, montagna in primis, che hanno caratteristiche diverse dai territori urbani. Poi, come dicevo prima, si dovrebbero favorire gli innovatori. I flussi di denaro pubblico che sono stati riversati in passato in montagna, a volte anche in modo copioso, sono stati gestiti male. Io dico di no ai finanziamenti ai soliti vecchi progetti che servono solo a far sopravvivere strutture che non funzionano più. Se si chiude un ospedale che non funziona ma non si dota quel territorio di servizi sostitutivi indispensabili non si fa una buona scelta. In generale non bisogna buttare i soldi nelle solite mani che magari danno un po’ di lavoro ma che non servono davvero allo sviluppo della montagna del futuro”.
Chiudiamo con la politica, o meglio con la pochezza della politica attuale, incapace di guardare lontano. Questa crisi interna al sistema dei partiti e delle stesse istituzioni può avere un suo peso negativo anche su territori più deboli e marginali come quelli montani?
“A mio avviso non è vero che non si sa come fare. Io credo che in realtà si potrebbero fare molte cose che non costerebbero più di quello che si è usato fino ad oggi ma male. Mancano soluzioni di sistema. Il dibattito culturale da venti anni a questa parte è modestissimo. Il mio invito è quello di riprendere a lavorare dentro il corpaccione dei partiti, attingendo da esperienze che già ci sono. Dobbiamo uscire da un dibattito che è tutto politico, dallo sguardo corto, a brevissimo termine e mai caratterizzato da una visione”.
Barca a Pistoia, la fotogallery
(cliccare sulle foto per ingrandirle)
Alla Galleria nazionale nel corso dell’incontro “L’Europa delle città”
Al Circolo Garibaldi per un incontro di partito
Ospite di Leggere la città
A Firenze per la presentazione del suo libro
Mentre autografa una copia a Marco Frediani e con Matteo Renzi e Sergio Staino
Chi è Fabrizio Barca
Professore e ministro – È nato a Torino nel 1954, è sposato, ha tre figli ed è appassionato di trekking. Dopo la laurea in Scienze statistiche e demografiche (indirizzo economico) all’Università di Roma, ha conseguito il Master of Philosophy in Economia all’Università di Cambridge. Ha quindi iniziato nel 1979 la carriera professionale nel Servizio Studi di Banca d’Italia, divenendo dirigente nel 1991. Ha insegnato Politica economica, Finanza aziendale e Storia dell’economia presso le università di Milano (Università Bocconi), Modena, Parigi (Sciences Po), Siena, Roma, Parma e Urbino. È stato quindi visiting professor con incarichi di ricerca presso il Massachusetts Institute of Technology di Boston e la Stanford University. Ha poi ricoperto l’incarico di Capo del Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione tra il 1998 e il 2000 e dal 2001 al 2006 presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel quale ha assunto l’incarico di Dirigente Generale dal 2006. Dal 1999 al 2006 è stato Presidente del Comitato per le Politiche territoriali dell’OCSE. Nel 2009 ha realizzato per la Commissione Europea il rapporto indipendente sulle politiche di coesione “An Agenda for a reformed cohesion policy”. Nel 2010 è stato Consigliere speciale del Commissario Europeo per la politica regionale. Dal novembre 2011 all’aprile 2013 è stato ministro senza portafoglio con delega per la coesione territoriale nel governo Monti
I riconoscimenti – Ha ottenuto riconoscimenti internazionali quali la borsa “Bonaldo Stringher” nel 1978-79, ha partecipato all’USIA International Visiting Program nel 1994, è stato insignito dell’Onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” nel 1999, e l’Università di Parma gli ha conferito la laurea ad honorem in Economia nel 2005.
L’attività politica – Nel 2013 la sua adesione al Partito Democratico. A metà del dicembre dello stesso anno presenta un documento collegiale, dal titolo Per un partito che sappia governare. Strumenti di lavoro, persone e relazioni, visione e metodo. Nel febbraio 2014 dà vita al progetto Luoghi idea(li) finanziato tramite crowdfunding. Nel 2015 ha illustrato a Roma gli esiti dei lavori dei Luoghi idea(li) e chiuso la fase sperimentale. Terminata quell’esperienza Barca continua il suo “tour” in Italia con le “Aree Interne” e varie Associazioni, come conferma anche la sua presenza al Festival della Partecipazione che si è svolto in estate all’Aquila.