Lettere al Direttore, Personaggi e Interpreti  |  novembre 18, 2016

Basta scontro fra tifoserie: entriamo nel merito della Riforma costituzionale

Lettera di GIULIO BALDASSARRI, capogruppo di maggioranza al Comune di Piteglio, che spiega le sue motivazioni del "no". Un intervento lungo e articolato, di merito e metodo, e un auspicio: aprire un dibattito sul referendum anche in Montagna. La "Voce" a disposizione per ospitare interventi sul tema

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giulio baldassarri di Sinistra Italiana
Giulio Baldassarri, consigliere uscente del Comune di Piteglio

“Cari amici de La Voce della Montagna

Fra meno di un mese, il prossimo 4 dicembre, saremo chiamati ad esprimerci con un “SI” o con un “NO” in merito alla Riforma Costituzionale “Renzi-Boschi” (Disegno di legge costituzionale A.C. 2613-D ).
La riforma in questione si proporrebbe di mettere mano a più di quaranta articoli della Costituzione della Repubblica Italiana, pertanto andrebbe a modificare radicalmente il nostro assetto istituzionale. Sarebbe un vero peccato se il corpo elettorale del nostro paese mancasse a questo appuntamento, anche se la cosa non mi stupirebbe pensando ai numeri delle ultime consultazioni elettorali di ambito nazionale e locale.
“Certo”, si dice,”per i referendum è diverso, si vota sul merito delle questioni”,”si può evitare di andare a votare turandosi il naso”, “siamo lontani dai cattivi esempi della mala-politica”. Non sono d’accordo. La politica (tutto l’arco parlamentare), cercando di reggere i ritmi necessari per innalzare l’applausometro, sta mostrando il peggio di sé.
Vorrei chiedervi quindi di dare una mano al mondo della politica, rompendo questa tendenza, varcando il limite dei “Tweet” (140 caratteri) ed incoraggiando esponenti della politica locale (destra, sinistra, civici, “grillini” etc.) ad inviarvi più o meno lunghe riflessioni su questo passaggio cosi’ importante per la storia della nostra Repubblica.
I nostri concittadini, non senza ragione, ricercano costantemente un contatto più intimo ed interattivo con il mondo della politica, rifuggendo da qualsiasi tendenza contraria. Per questo (forse) contributi come questo potrebbero risultare uno stimolo positivo per gli elettori della nostra montagna, magari anche per coloro che da anni tengono la tessera elettorale in un cassetto.
Mi permetto di inaugurare quella che spererei possa essere una fiumana di riflessioni verso la data del referendum. Non sentiremo né applausi né fischi, forse ben più salutari moti di pensieri che potrebbero aiutare il disorientato elettore medio.

Vengo quindi a spiegare le ragioni del mio “NO”. Lo farò senza competenze specifiche (non sono certo un costituzionalista!), quindi sarei ben contento di ricevere feedback (anche negativi) da parte dei lettori. Nel corso della mia esperienza di capogruppo di maggioranza per il Comune di Piteglio ho avuto spesso modo di scambiare opinioni sul tema, contrapponendo la posizione mia a quella di altri esponenti della mia stessa maggioranza e ne sono uscito sempre arricchito, magari con qualche dubbio. Ecco, spero di essere in grado di suscitare in voi qualche dubbio. L’ho sempre trovato un punto di partenza importante per maturare un pensiero. Buona lettura!

 

Spesso nei dibattiti televisivi i sostenitori delle mie stesse posizioni ricevono una accusa (non sempre infondata): “perché non entrate nel merito della riforma?”
Ovviamente esistono anche contrarietà sul merito di molti degli articoli che verrebbero ritoccati fra i 139 della “Carta”, ma il cinismo della nostra epoca, lo stesso spirito che ci fa dire “i migranti vanno respinti” o “i giovani non trovano lavoro perché sono fannulloni”, spesso ci spinge a dimenticare che la politica deve essere caratterizzata anche da un trasporto etico imprescindibile, rintracciabile anche nella nostra costituzione (addirittura i primi dodici articoli sono i “Principi Fondamentali” della Repubblica).
Pertanto, sono costretto a suddividere le ragioni del mio antagonismo alla Riforma in tre questioni di fondo: 1) di merito; 2) di metodo; 3) di etica politica.

1. Il nuovo Senato sarebbe composto da 75 consiglieri regionali, 1 sindaco per ogni regione, i presidenti emeriti della Repubblica, 5 senatori di nomina presidenziale per un mandato di sette anni. Questa variegata composizione delle vecchia camera alta (oggi da qualificarsi come camera delle autonomie) non avrebbe limiti di età e non vi sarebbe incompatibilità di carica fra la mansione di provenienza e il lavoro di senatore, da svolgersi a titolo gratuito. Ancora non sono definite le modalità di elezione, se non una generica menzione riguardo al “rispetto della indicazione degli elettori”. Certo è che il nuovo Senato non perderebbe completamente la competenza di legiferare determinate materie o di adempiere ad importanti passaggi della vita istituzionale (come l’elezione del Presidente della Repubblica o dei giudici della Corte Costituzionale), facendoci temere due eventualità: è possibile che se queste cariche non siano dissociate con la funzione di consiglieri regionali (o sindaci), quindi senza una corrispondenza con le legislature parlamentari e senza nessun tipo di indennità, si rischi una paralisi legislativa tale da imporre sempre di più un intervento del governo nei lavori delle camere (accade ancora oggi con l’abuso di decreti per molti temi cruciali) ma senza rapporto fiduciario. In secondo luogo, niente garantisce corrispondenza fra gli orientamenti politici espressi dagli elettori alla Camera e quelli rappresentati dalle autonomie al Senato, tornando a quel tanto temuto “ping-pong” fra i due rami del parlamento.
Mi permetto di rappresentare un possibile scenario fantapolitico: nuove elezioni (con Italicum), la maggioranza alla Camera è blindata dal PD. Un paio di anni dopo, contrariamente ad ogni aspettativa, la Lega (o il M5S) si afferma nella maggior parte delle regioni, assicurandosi la maggioranza nel Senato “riformato”, ed eccoci ad una situazione di paralisi ben più complicata che le crisi parlamentari della “vecchia” Costituzione del 1948, dove i passaggi fra i due rami erano dovuti a problemi di merito delle singole leggi o a maggioranze variabili, non a dinamiche ostruzionistiche e faziose che potrebbero manifestarsi con lo scenario rappresentato nei righi precedenti.
Mi troverei inoltre in seria difficoltà a sostenere una riforma che, quantomeno, accenna contraddizioni con i principi fondamentali della Repubblica. Difatti, l’art. 1.2 della Carta attribuisce al popolo la sovranità. Principio evidentemente disatteso dal nuovo Senato della Repubblica.
Infine, la revisione del titolo V. I passi mossi per dare una prospettiva federalista al nostro paese sono stati goffi, ma efficaci. Perché non andare oltre? Perché non dare nuova forma alle regioni per intervenire nella sostanza di numerose funzioni a loro attribuite?
Capisco la volontà centralista, non mi pare un motivo per gridare allo scandalo. Certo è che questa nuova direzione, non solo sconfessa la linea fino ad oggi mantenuta da tutto il mondo del centrosinistra (massima espressione ne è stata la Riforma Costituzionale del 2001) ma molti aspetti della stessa prassi renziana: per dare solidità agli enti locali ed intermedi, non c’è bisogno di cambiare verso al titolo V. Si potrebbe ad esempio insistere sulle fusioni dei comuni, prevedendo enti sovra-comunali ed aree d’ambito in grado di raccogliere l’eredità delle vecchie province, “terremotate” dalla legge Delrio (magari dando dignità costituzionale alle Unioni dei Comuni), osando anche nuovi confini per le regioni (come la “macro-regione” ipotizzata da Rossi). Le conseguenze dirette potrebbe essere un massiccio processo di privatizzazione delle funzioni oggi affidate alle regioni: lo Stato dovrà delegare quelle materie tornate nelle sue mani. A questo punto però, sconfiniamo nel campo delle ipotesi.
2. Non sono mai stato un “renziano”, nemmeno un simpatizzante o un elettore del Partito Democratico (seppur sostenitore di “ponti”con l’area di governo), quindi non dovrei essere scalfito dall’atteggiamento inquisitorio tenuto da Matteo Renzi nei confronti delle minoranze interne al PD. Eppure, vengo a trovarmi moralmente colpito dai toni solitamente usati dell’ex-sindaco di Firenze, non per particolare trasporto umano verso le minoranze-dem, ma perché stiamo parlando del Presidente del Consiglio dei Ministri, organo esecutivo di tutti gli italiani. L’arroganza quindi potrebbe non rientrare esclusivamente in una questione di forma.
Infatti abbiamo assistito ad irruenti ingressi del Premier nel dibattito parlamentare, mettendo in gioco i seggi dei proprio parlamentari nella commissione preposta alle riforme istituzionali, dando addirittura in pasto ai media la propria immagine di uomo di istituzioni. Se pensate alla terribile immagine del “palazzo” utilizzata per prassi nelle campagne elettorali. Se pensate alle accuse alla “casta”, al “tutti i politici sono ladri” immesso nella comune dialettica dei vertici dello Stato, non potrete che ricevere l’immagine di una Repubblica deteriorata, con poche speranze di recupero del credito necessario per un grande paese come il nostro, distrutto da anni di mala-politica, non dalla forma data alle istituzioni da parte dei padri costituenti!
Mi chiedo infine come possa trovarmi a sostenere una riforma visibilmente pasticciata. Persino i suoi sostenitori sostengono che “poteva essere fatta meglio”. Ecco, mi piacerebbe che il Paese si animasse per una riforma delle istituzioni “fatta meglio”, non per un testo poco chiaro (nella forma e nelle finalità) per il quale tutta l’opinione pubblica si è spaccata fra i “tifosi del SI”, i “tifosi del NO” e milioni di indecisi.
3. Le ragioni sopra sostenute credo che siano conosciute (forse persino condivise) da moltissimi esponenti dell’area di governo. Allora perché si dovrebbe sostenere la riforma? E’ probabile che tramite filoni ideali realmente sostenuti dal nuovo Partito Democratico (una immagine dinamica delle istituzioni; meno rappresentanza funzionale a maggiore governabilità) si ricerchi una legittimazione popolare per l’area di governo in una fase particolarmente delicata, per il nostro paese come per tutta l’Unione Europea. Ha senso: la forza propulsiva del 41 % (elezioni europee del 2014) si è esaurita da un pezzo e le opposizioni hanno dato segnali di vivacità tutt’altro che banali. Qualcosa di simile è stato fatto da Alexis Tsipras nel 2015. L’OXI greco presentava però una enorme differenza: si trattava di un referendum consultivo, non di una riforma costituzionale. Credo che un riscontro per questa tesi lo si possa trovare nel dibattito comune: i clienti di un circolo di paese (fra una partita a briscola e un bicchiere di vino) si dividono fra un coro di “Renzi non mi piace molto, ma almeno ha fatto qualcosa” contro i“Renzi fa entrare i negri e non è mai stato eletto da nessuno”. Questi dibattiti kafkiani non sono altro che il frutto di una campagna elettorale dove immediatamente è stato ricercato il consenso sulla figura del leader.
Mi pare un grandissimo atto di irresponsabilità, il sacrificio di intere parti della Costituzione sull’altare del plebiscito renziano. Pur non entrando nel merito della Riforma, non mi pare una ragione di poco conto per dire “NO”.

Concludo dicendo che non mi vedo persuaso dalle visioni catastrofiche sostenute dai due fronti: il 5 dicembre non ci saranno le cavallette e l’Italia, comunque vada, rimarrà una repubblica parlamentare. Certo è che in questa fase un dibattito cosi povero su una materia cosi importante, non può certo fare bene allo stato di salute del nostro paese. Sicuramente, nel bene e nel male, a pagarne le conseguenze sarà il centrosinistra e l’identità che questa area politica andrà ad assumere nel prossimo futuro.
Concludo concedendo la ragione delle intenzioni: le istituzioni italiane sono visibilmente insufficienti e credo che nel nostro piccolo abbiamo dato, a costo di compromessi, una dimostrazione della loro riformabilità (la fusione di più comuni montani e la prospettiva di ulteriori mutamenti). Soprattutto per chi si trova a navigare nel burrascoso oceano della sinistra, credo che la prerogativa di riforme strutturali sia un elemento imprescindibile per intravedere “terra” all’orizzonte. E’ per questo forse che dovrebbe essere chiesto agli elettori un “mandato costituente” per ogni livello istituzionale, allargato a forze civiche e a sensibilità politiche diverse. Queste scelte potrebbero comportare sacrifici di tempo e di “immagine”, ma potrebbero qualificare una nuova classe dirigente responsabile.

Vi ringrazio per la pazienza e rimango in attesa di riscontri.

Cordiali saluti,
Giulio Baldassarri

P.S.
Alcuni concetti, espressi nelle poche righe di questa lettera, potrebbero essere meglio compresi con la lettura di alcuni articoli che ho avuto modo di scrivere per il webmagazine dell’associazione politica Esse, di cui allegherò i link:

La Riforma dei comuni italiani

Oltre il No

Leader ed enti locali


La Redazione

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