L’ estate siccitosa poteva far pensare ad un raccolto magro di castagne. Ma le previsioni, anche degli esperti, sono state smentite.
Anzi la siccità ha ridotto muffe e parassiti a questo prezioso frutto del pane, tanto che le piogge, giunte al momento opportuno, hanno reso le castagne belle, sane e copiose.
La varietà carrarese, poi, con la sua buccia di un marrone lucido brillante, si è distinta per qualità e quantità e i suoi cardi hanno spesso svelato frutti di ottima pezzatura.
Un nuovo interesse per i castagneti
Da qualche anno chi ha un castagneto potenzialmente produttivo cerca di recuperarlo, un po’ per rispetto della tradizione montanina e un po’ perché la farina dolce è tornata ad essere apprezzata, non solo per autoconsumo ma anche presso le cucine stellate, che stanno rivalutando un gusto quasi dimenticato.
E’ noto come l’Italia da forte esportatrice, all’inizio e nella prima metà del secolo scorso, si è trasformata in importatrice di castagne e dei loro derivati e che la qualità delle importazioni sia spesso scadente.
Perciò sarebbe cosa intelligente avviare una politica di veri incentivi ai castagneti e a chi li vuole recuperare o impiantare, sia per fini economici che per consumo familiare; ne godrebbe anche la biodiversità e l’equilibrio ecologico.
Ma si sa, le esigenze della montagna non sono in cima ai pensieri dei centri di potere, regionali e nazionali. salvo qualche sparuto spot, di effetto appariscente, ma di scarsa sostanza.
Una filiera monca
La programmazione non è un talento italico; si arriva sempre e costantemente tardi e impreparati, perché manca una visione d’insieme in ogni settore del reale.
Così accade anche per castagne e castagneti.
Come si è detto, l’annata in corso si presenta particolarmente propizia, ma i castanicoltori la vivono, paradossalmente, con grande sofferenza, quasi una contraddizione in termini.
Infatti sono spesso costretti a lasciare nei castagneti, in pasto a cinghiali cervi e caprioli, buona parte del raccolto perché la filiera è assolutamente monca.
Ugo Bugelli, noto castanicoltore del nostro appennino pistoiese, ne spiega la ragione:” Nonostante l’abbondanza di castagne, sane e polpose in una stagione che dovrà essere ricordata per molto tempo, ci vediamo costretti a interrompere la raccolta perché nella nostra montagna mancano i metati, cioè quegli edifici tradizionalmente adibiti all’essiccagione delle castagne. Qualche molino esiste ancora, per la buona volontà di alcuni amanti irriducibili della tradizione secolare, ma se mancano i metati si interrompe una parte fondamentale della filiera”.
Quindi per la nostra miopia si sta verificando uno spreco immondo e noi italici continueremo ad importare castagne e derivati dall’estero.
Una considerazione, però, si impone con forza: girando per boschi e castagneti oggi c’è da vergognarsi pensando a come ce li avevano lasciati i nostri nonni che, solo con accette e pennati al culo, dicevano e facevano ed erano a ragione i veri guardiani della montagna, senza troppe etichette o definizioni esose.