Uno sguardo oltre  |  agosto 7, 2024

La peste suina africana non va in ferie

Le autorità europee certificano il fallimento della strategia italiana nella lotta a questa epidemia. I danni prodotti al sistema degli allevamenti zootecnici e a quello della trasformazione (impianti di macellazione, laboratori, salumifici artigianali ed industriali) quantificabili in mezzo miliardo di euro solamente per le industrie di trasformazione. L’esempio virtuoso della Regione Sardegna dove si è combattuta e vinta una durissima battaglia contro l'infezione

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Nel Febbraio 2022, quando su questo giornale scrivevamo del primo focolaio di peste suina africana, individuato nelle montagne tra il Piemonte e la Liguria, non potevamo immaginare neppure lontanamente quello che poi sarebbe accaduto. Confidavamo che un Paese come il nostro, con forti e robusti Ministeri della Salute e dell’Agricoltura, con un ramificato sistema di prevenzione (ASL) e con 20 Regioni impegnate con organismi amministrativi ed assessorati, potessero debellare in tempi ragionevoli tale grave infezione. Quello che si sarebbe dovuto fare era chiaro sia agli esperti che ai politici: le linee guida, discusse ampliamente ed inserite in un piano nazionale, prevedevano alcuni impegni fondamentali: ricerca attiva delle carcasse di cinghiale con analisi e distruzione, circoscrizione dei focolai con barriere efficienti ed invalicabili da parte dei suidi selvatici, diradamento del numero complessivo dei cinghiali, riduzione delle attività ludico-sportive nelle zone focolaio, protezione delle attività di allevamento dei suini con le doppie recinzioni, forti interventi sulla biosicurezza ed infine un corposo piano per i ristori  comprendenti le spese relative all’abbattimento dei suini infetti, il sostegno delle attività economiche legate al turismo ed al tempo libero.

I focolai si moltiplicano. Colpa dei soliti conflitti burocratici

A dirigere questi programmi si sono susseguiti sino ad oggi due commissari straordinari indicati dal Governo, l’ultimo ha dato le dimissioni in questi giorni, che purtroppo non sono riusciti a fermare o quantomeno arginare l’infezione, anzi quest’ultima sfruttando le mancanze e le indecisioni della macchina pubblica (Ministeri, Regioni, ASL) si è diffusa in tutto il territorio nazionale riuscendo ad entrare nel sistema degli allevamenti: sono di questi giorni le drammatiche rilevazioni di sei focolai in allevamenti a Novara, Milano, Pavia e Piacenza. Cosa è accaduto? Sicuramente il sovrapporsi delle competenze e dei poteri (commissario, ministeri, regioni, asl) nonostante cospicui investimenti di oltre 40 milioni di euro ha prodotto il depotenziamento del ruolo del Commissario Straordinario, ha rallentato la costruzione delle barriere sul territorio favorendo l’allargamento del focolaio in assenza di un impegno continuo per l’abbattimento dei suidi selvatici. I danni prodotti al sistema degli allevamenti zootecnici e a quello della trasformazione (impianti di macellazione, laboratori, salumifici artigianali ed industriali) sono stati ingentissimi, quantificabili in una cifra superiore a mezzo miliardo di euro solamente per le industrie di trasformazione (dati ASSICA).

Gravi rischi per gli allevatori. Bocciate le autorità sanitarie italiane

Il rischio e la paura degli allevatori e trasformatori è di finire nelle zone soggette a restrizione, stabilite dalle autorità sanitarie europee, con conseguenti limitazioni fino alla sospensione dei flussi delle esportazioni. Il fallimento della strategia nazionale di lotta alla peste suina è stato confermato dai funzionari della commissione europea in visita in Italia. Questi esperti sanitari al termine di una missione EUVET (Eu Veterinari Emergency Team) hanno sostanzialmente bocciato le autorità sanitarie italiane (ministero, commissari, regioni, asl) per non essere state in grado di attuare un piano di azione di contrasto ed eliminazione della malattia tra i cui obbiettivi principali vi era la drastica riduzione dei cinghiali, ed hanno descritto una situazione disastrosa anticipatrice, come sta purtroppo avvenendo, della diffusione dell’epidemia.

L’esempio positivo della Sardegna

Ma vorremo concludere con una nota positiva, dalla quale prendere esempio e cioè quella della Regione Sardegna; in quel territorio dal 2014 al 2015 si è combattuta e vinta una durissima lotta contro la peste suina che era dilagata in tutta l‘isola, dove era diffuso l’allevamento semibrado del maiale. Il professor Laddomada, alla testa di una task force tecnica e con il pieno appoggio della struttura politica, ha proceduto in maniera severa e decisa mettendo in campo tutti gli elementi strategici (abbattimenti di cinghiali e suini infetti, controllo rigido degli allevamenti) che hanno portato la regione alla indennità dalla malattia. Questo impegno è stato poi condiviso e continuato dal direttore dello zooprofilattico di Sassari, dottor Giovanni Filippini, attualmente alla Direzione dei Servizi Veterinari Italiani. Un metodo e due esperti sui quali puntare per sconfiggere quello che viene a ragione chiamato il “virus carrarmato”.


La Redazione

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