Cultura & Spettacoli  |  agosto 7, 2024

I sogni abitano il Porretta Soul

La 36° edizione del Festival di Porretta è stata l'occasione per un'interessante chiacchierata con Marco Della Fonte, il regista del docu-film "A soul journey".
Con lui abbiamo parlato della magia di questa manifestazione, della sua carriera e, in particolare, del documentario dedicato alla storia del Porretta Soul. Questo incontro è stato anche l'occasione per parlare della montagna pistoiese, il luogo dove il regista vive da diversi anni

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Chi conosce il Porretta Soul Festival sa che non esiste niente di simile al mondo. Per carità, ci sono tantissime manifestazioni musicali, decisamente più grandi di questa, in località più blasonate dell’Appennino bolognese e con cachet molto più ricchi per i partecipanti. Detto in altri termini: nessuno diventerà mai ricco per essere salito sul palco del Rufus Thomas Park. Eppure tutti gli artisti fanno letteralmente a gomitate per poter tornare, ogni anno, ad esibirsi a Porretta Terme. D’altra parte lo pensava anche Otis Clay quando, nel documentario A Soul Journey, dichiarava “there’s no place on the planet like Porretta” (non esiste sul pianeta un altro posto come Porretta).
Questo straordinario legame col territorio, che va ben oltre la musica, è testimoniato anche dal pubblico affezionato. Un’ampia fetta dei fan, in particolare quelli che si definiscono lo zoccolo duro, ritorna qui ogni estate da più di trent’anni. Non credo che una cosa del genere accada in tante rassegne musicali.
Insomma, al Porretta Soul ogni anno si manifesta qualcosa di speciale che, in altre occasioni, ho già definito come una “dimensione onirica”. Qui nella Soul Valley dell’Alto Reno va in scena qualcosa che, per scomodare il Piccolo Principe, sembra essere “invisibile agli occhi”. E non lo si può nemmeno spiegare: l’unico modo per capire il Porretta Soul è viverlo durante le sere dei concerti, ma non solo quelle. Anche andando in giro per le strade, oppure entrando nelle gelaterie del paese dove trovi gli artisti americani che vanno pazzi per quello che loro chiamano “italian gelado“.
Nella settimana del Festival si realizza dunque una magia, fatta di emozioni, passioni e relazioni umane, che non è replicabile altrove. È come l’aurora boreale: ovunque ti trovi sai che esiste, ma per vederla devi andare al Polo. Allo stesso modo questa sorta di “aurora musicale” del Rhythm & Blues si manifesta, in questa forma, solo a Porretta.

 

UN DOCUMENTARIO UNICO NEL SUO GENERE

Come dicevo, non è possibile raccontare questa sensazione: l’unico modo è viverla. Eppure esiste un documentario che, in maniera molto efficace e coinvolgente, riesce a trasmettere un po’ di quel magico feeling rappresentato dal Porretta Soul. Sto parlando del film “A soul journey” di Marco della Fonte. Alla fine di luglio, nei giorni della 36esima edizione del Festival, mi è capitato di parlare col regista del suo film e anche della montagna pistoiese, il luogo dove lui vive.
Il documentario, fin dalla sua realizzazione, ha avuto un percorso simile a quello del Porretta Soul. Infatti è stato auto-prodotto con pochissime risorse e ispirato da una grande passione per il Soul. “Io sono appassionato di questa musica e vengo qui dal 1998.” – mi ha spiegato Marco Della Fonte – “Ad un certo punto ho chiesto a Graziano Uliani se potevo fare un documentario sul Festival”.
Il regista toscano, nel corso della sua carriera, ha realizzato più di 300 video musicali che hanno ricevuto parecchi premi e riconoscimenti. “Qui però volevo sperimentare un prodotto un po’ più lungo, anche approfondendo certi aspetti non solo relativi alla musica ma anche umani” ha precisato Della Fonte.
Quello che è venuto fuori è un docufilm molto coinvolgente e, in alcuni tratti, toccante. E’ stato girato in due diverse edizioni. Poi il regista si è fermato per circa un anno perché le riprese raccolte non lo convincevano. Alla fine, non volendo lasciare il progetto a metà, Della Fonte ha deciso di montare il materiale ed è scaturito un bellissimo documentario che, per alcuni anni, è stato disponibile anche su Raiplay. Dal 2019, anno in cui è uscito, “A soul journey” ha partecipato a parecchi festival ed ha ricevuto diversi riconoscimenti in tutto il mondo.
Conoscendo la storia del Porretta Soul, che è ricchissima di aneddoti divertenti, ho provato a chiedere a Della Fonte se anche il suo documentario aveva qualche simpatico retroscena. E’ stato così che ho scoperto quello che potremmo definire un mezzo incidente diplomatico/cinematografico. “Un giorno mi telefona un tizio e si presenta come il presidente dell’istituto di cultura italiana all’ambasciata di Washington” – racconta il regista – ”Io l’ho mandato a quel paese perché pensavo fosse uno scherzo di qualche amico. Invece era vero”.
Il successo ottenuto con “A soul journey” è stato del tutto inaspettato essendo stato realizzato con pochissime risorse. “Quella che è uscita da questo film auto-prodotto” – ha commentato il regista – “è una cosa dove c’è tanta passione. L’aspetto che lo differenzia dai soliti documentari musicali è che qui c’è un risvolto umano predominante. A soul journey rappresenta l’esplorazione di chi sono questi artisti, da dove arrivano e gli ostacoli che hanno affrontato nella vita.”

 

LA COMUNICAZIONE UMANA ATTRAVERSO LA MUSICA

Marco Della Fonte è convinto che, per questo genere di musica, il Porretta Soul Festival sia oggi la manifestazione più importante al mondo. Anche lui concorda sul fatto che questo festival non si ferma alla dimensione musicale ma, andando oltre, ci racconta qualcosa in più. “Un altro aspetto che volevo affrontare” – mi ha confidato il regista – “è cosa c’entra Porretta con Memphis. Due luoghi così diversi tra loro. Volevo parlare dell’incontro tra la comunità afroamericana e la gente di qua. E’ venuto fuori che la musica riesce a comunicare al di là delle culture e dei luoghi dove uno abita. E in questa cosa Graziano Uliani è riuscito in pieno”.

La storia del Porretta Soul Festival, con il suo racconto contenuto nel documentario, riesce a mettere in evidenza che la comunicazione umana esiste anche, e aggiungo io soprattutto, attraverso la musica. Forse il segreto di questa manifestazione è proprio racchiuso in questa considerazione. C’è un passaggio del film che esprime perfettamente questo aspetto. Ad un certo punto Otis Clay dice “la musica è basata su emozioni e sentimenti e li hanno tutti […] se vado sul palco ma tu non riesci a sentire, non senti ciò che faccio, allora significa che non sto facendo nulla. Devo essere in grado di emozionarti, devo essere in grado di farti ridere, di farti piangere, devo toccare le tue emozioni.”
Molti degli artisti che sono passati sul palco del Rufus Thomas Park sono stati capaci, nel corso degli anni, di raggiungere questa comunicazione emotiva col pubblico. Lo sa bene anche la troupe del documentario che, durante le riprese, ha sperimentato sulla sua pelle l’intensità di queste emozioni. “Chick Rodgers durante l’intervista scoppiò a piangere per l’emozione che usciva in certe risposte” – mi ha raccontato Della Fonte – “la sera stessa sul palco cantò Ain’t no way di Aretha Franklin. Quella interpretazione, dopo aver visto la sua commozione durante l’intervista, ci colpì così tanto che tutta la troupe scoppiò a piangere durante la canzone”.

 

LA QUALITA’ DELLA VITA IN MONTAGNA

Quella di Marco Della Fonte non è solo una storia di cinema ma anche di montagna. Il regista infatti vive a Le Piastre. La scelta di abitare in un piccolo paese dell’Appennino pistoiese mi ha incuriosito e così ho voluto indagare sui motivi di questa decisione. “Vivo a Le Piastre perchè quello era il paese di origine di mia madre” – mi ha risposto Della Fonte – “Conosco questa montagna fin da bambino perché, quando finivano le scuole, ci spostavamo da Firenze per passare tutta l’estate qui. Dal punto di vista del lavoro non è un problema perché la mia compagnia di produzione ha sede a Londra. Quindi passo la mia vita tra un paese di 65 persone e una città con quasi 10 milioni di abitanti.”
La scelta di trasferirsi in un piccolo centro della provincia pistoiese non penalizza dunque l’attività professionale del regista ma, al contrario, sembra favorirla garantendo una migliore qualità della vita rispetto alla città. Della Fonte che per tanti anni, prima di trasferirsi a Le Piastre, ha vissuto nel capoluogo della Toscana ha motivato così la sua scelta: “Oggi non c’è più la Firenze di una volta. C’è un turismo selvaggio che, con la sua invasione un po’ brutale, ha fatto perdere la vera identità di alcune città come Firenze. Non voglio denigrare la città” – ha precisato il regista – “ma io sto meglio in un posto più tranquillo, lontano dallo stress e dai problemi e dalle ansie della vita nei centri urbani.”
Uno degli aspetti che Della Fonte sottolinea è la qualità dell’alimentazione perché, a suo parere, in montagna, come forse in tutta la provincia italiana, la qualità della vita è altissima anche dal punto di vista alimentare e dei prodotti locali.

 

I SOGNI ABITANO GLI ALBERI

Quando parlo dell’Appennino mi capita di ripetere che, sebbene esistano sulle Alpi località molto più ricche di servizi e di turismo, la montagna tosco-emiliano è invece ricchissima di narrazione. Questa mia piccola considerazione personale è stata confermata anche da Marco Della Fonte. Lui stesso, fin da quando si è trasferito a Le Piastre, ha cercato di raccontare con il suo lavoro l’Appennino e l’amore per esso. “Su questa montagna” – mi ha confidato il regista – “non solo trovo l’ispirazione per fare qualcosa di artistico ma è anche il luogo dove posso riscoprire una narrazione antica fatta di luoghi, persone e antichi mestieri”.
Nel 2022 è uscito il suo film “I sogni abitano gli alberi” (titolo ispirato a una poesia di Alda Merini). La trama racconta un ragazzo e una ragazza che si incontrano, e si innamorano, in un paesino dell’appennino toscano. I due protagonisti vengono etichettati, dagli altri abitanti, come “malati di mente”. La vicenda si svolge negli anni ‘70, all’epoca della legge Basaglia che chiudeva i manicomi. Si tratta di una storia d’amore apparentemente impossibile che però, rifugiandosi tra gli alberi dei boschi, riesce a trovare un riparo dai pregiudizi degli abitanti del paese. Il sogno d’amore di Anja e Libero, i due protagonisti, trova un coronamento grazie al ritorno alla Natura, agli alberi e alle montagne dell’Appennino.

 

 

“GRAZIANO ULIANI IS CRAZY”

Riflettendo sul film “I sogni abitano gli alberi” mi è tornata in mente una frase di Otis Clay nel documentario “A soul journey”. Il cantante americano, ad un certo punto, dichiara: “Graziano Uliani is crazy!”. Poi, subito dopo, chiarisce: “in senso positivo, lo dico con affetto”.
In un certo senso è vero: il fondatore del Porretta Soul Festival è stato capace di realizzare una meravigliosa follia musicale che si ripete da 36 anni. Un successo che, da un punto di vista logico e razionale, sembrerebbe inspiegabile. Porretta Terme, così piccola e fuori dalle grandi vie di comunicazione, non ha le caratteristiche adatte per una manifestazione internazionale di tale portata.
Allora la spiegazione deve essere un’altra. Probabilmente il segreto è proprio in quel pizzico di follia: quella di Graziano Uliani e di tutto il popolo del Porretta Soul. Una follia che solamente qui, su queste montagne, nel cuore di questa Natura, tra questi alberi e al ritmo del Soul, riesce a ritrovare la sua libertà e vivere, ogni anno, il suo sogno.

 

Le fotografie del presente articolo, gentilmente concesse dal Porretta Soul Festival, sono di Giorgio Barbato


Andrea Piazza

Andrea Piazza nasce a Mantova nel 1974. Vive tra le rive di due fiumi (il Po e il Mincio) ma coltiva, da sempre, l’amore per la montagna. Ha due grandi passioni: il viaggio e la fotografia. Due attività che trovano un perfetto connubio nell’intrigante bellezza delle nostre montagne. Da qualche tempo cura un blog http://www.artedicamminare.it/ nel quale racconta, in modo simpatico e “non convenzionale”, i suoi viaggi sull’Appennino e non solo.