Editoriale  |  luglio 6, 2024

La montagna è solo un parco giochi ad alta quota?

La Costituzione italiana prevede che la legge intervenga in favore delle zone montane. Ma troppo spesso la montagna viene considerata, dalla classe politica, come un parco dei divertimenti in quota: una meta turistica da raggiungere nel modo più veloce possibile. Le zone montane necessitano innanzitutto di comunità che ci vivano e che si prendano cura del territorio. Una piccola riflessione che prende spunto dalle recenti affermazioni della ministra del turismo

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Le recenti dichiarazioni della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, mi hanno stimolato una riflessione sul tema della montagna. Per prima cosa voglio chiedere scusa ai montanari, o montanini che dir si voglia, se mi permetto, da uomo di pianura quale io sono, di parlare del vostro territorio. Da sempre amo la montagna e, negli ultimi anni, mi sono fortemente legato all’Appennino Tosco-Emiliano. Eppure, non posso definirmi un “uomo di montagna” perchè non condivido con essa le difficoltà quotidiane che, in particolar modo nei mesi più freddi, mettono a dura prova anche i residenti più tenaci.

D’altra parte, non riesco nemmeno a pensarmi come un semplice turista, il classico “montanaro della domenica”. Credo infatti che esista un legame permanente, seppure in pochissimi lo vedano, tra la montagna e noi gente di pianura. Come mi insegnò, diversi anni fa, il caro amico Sante Ballerini, originario di Campeda, questo legame è rappresentato dai fiumi. I corsi d’acqua sono la linfa vitale che la montagna dona alle nostre pianure. In tal senso i fiumi rappresentano un legame materno con la montagna. Essi sono una sorta di “cordone ombelicale fluido” che ci unisce ai monti. Noi gente di pianura non siamo montanari ma alla montagna siamo comunque legati. Così come non siamo le nostre madri ma da esse provengono le nostre esistenze. E’ dunque in virtù di questa “relazione materna” se mi permetto, qui dalla mia pianura, di parlare della montagna.

 

LA MONTAGNA COME PARCO DEI DIVERTIMENTI

Ma torniamo alle parole della Santanchè. “Porteremo i turisti a Cogne con l’elicottero “: questa è stata la sua promessa dopo la recente alluvione che ha isolato la località valdostana. Molti sono intervenuti per criticare queste affermazioni ma sono parole che si commentano da sole. Eppure, dietro a questo intervento c’è stato un pensiero, un’elaborazione. Lo dimostra il fatto che, per l’ambizioso quanto ridicolo progetto, è stato pure trovato un nome accattivante: “Cogne mette le ali”. Perché, nella nostra epoca, l’importante non è che una cosa funzioni ma che si venda bene. E uno slogan azzeccato vende bene qualsiasi cosa.

Sarebbe troppo facile fermarsi alla critica. Allora ho provato a scavare in questa proposta (portare i turisti con l’elicottero) per tentare di capire quale idea di montagna si nasconda dietro. La Santanchè non è nuova a queste “esternazioni aeronautiche”. Anni fa propose di creare un aeroporto a Cortina perché, parole sue, “arrivarci con la strada statale 51 di Alemagna è un calvario”. L’idea sottostante è sempre quella: la montagna come una destinazione turistica da raggiungere nel modo più veloce possibile. Un parco di divertimenti in quota che deve essere facilmente fruibile a beneficio dell’economia locale. Ma è proprio così che dobbiamo intendere la montagna?

 

LE MONTAGNE HANNO UN COMUNE DENOMINATORE?

Forse sarebbe più corretto parlare delle montagne, usando il plurale. C’è molta differenza tra le Alpi e gli Appennini. Cogne non è Sambuca Pistoiese, Madonna di Campiglio non è Cutigliano. Eppure, c’è qualcosa che lega tra di loro, senza distinzioni, tutte le nostre montagne. Tanto più che le zone montane sono l’unico territorio ad essere citato, in modo esplicito, dalla Costituzione italiana. L’ultimo comma dell’articolo 44 recita così: “La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”. Evidentemente i nostri padri costituenti avevano ben chiara l’idea che tutte queste zone avessero delle peculiarità in comune.

La montagna, indipendentemente dalla Regione o dal reddito pro-capite dei residenti, è un territorio aspro e faticoso per chi ci vive. Muoversi tra le valli è sempre più difficile che spostarsi in pianura. Strade strette e tortuose che, non di rado, restano bloccate per una frana. Pendici che smottano a valle e fiumi che esondano. Gli inverni, nonostante il surriscaldamento globale, restano spesso molto rigidi. E la neve, lungi dall’essere solo un balocco per i turisti, è un problema col quale confrontarsi nei mesi più freddi.

Insomma, la montagna, se vogliamo trovare un comune denominatore, è un territorio ostile per la vita umana. Questo vale da sempre ma, alla luce dei cambiamenti climatici e dell’incuria dovuta all’abbandono, è sempre più vero. Forse non tutte le nostre zone montane, ma sicuramente tante di esse, si stanno spopolando da anni. Ed è come un cane che si morde la coda: ci sono pochi abitanti quindi scompaiono i servizi. Ma i pochi servizi causano la fuga dalla montagna e così via. Avere un figlio e doverlo mandare a scuola è una sfida quasi impossibile in certe località montane. Dover ricorrere alle cure mediche o aver bisogno di un ospedale equivale spesso ad una lotteria.

 

L’APPENNINO: LO SCHELETRO PORTANTE DELL’ITALIA

Giuseppe De Rita, sul Corriere della Sera, alcuni anni fa parlava dell’irrevocabile spopolamento dell’Appennino. Nel suo articolo questa montagna veniva definita come lo scheletro portante dell’Italia intera. “Senza tale scheletro ” – proseguiva il sociologo – “avremo una propensione del sistema a scivolare verso la «polpa» agiata ed agevole delle zone costiere, che però (senza ossa portanti) rischiano di perdere radicamento e consistenza; ed in più rischiano, se nel retroterra appenninico non si fa regolazione delle acque e difesa del suolo, di vedersi recapitare a valle alluvioni e smottamenti spesso più devastanti di una scossa sismica.”

De Rita riconosceva nell’Appennino “il serbatoio di quella «anima contadina» (di sobrietà e di sacrificio) che ci ha permesso di superare le crisi economiche degli ultimi decenni”. Queste parole mi hanno colpito perché, dal mio punto di vista, la sobrietà e il sacrificio sono due concetti che ben rappresentano la vita di montagna. Ovviamente non si vuole contrapporre l’epopea contadina alla modernità. Non si tratta di scegliere tra l’aratro e l’elicottero. Ma l’idea di «anima contadina» rimanda al bisogno di una dimensione di Comunità che, troppo spesso, sembra sfuggire alla nostra classe politica. E’ vero, albergatori, ristoratori e tutti quelli che lavorano col turismo hanno bisogno di un’economia che gira. Devono vedere turisti che arrivano. Ma questo deve avvenire nell’ambito di una Comunità che si prende cura del territorio. Senza la cura dei boschi, la pulizia dei corsi d’acqua, la manutenzione di strade e sentieri… senza tutto questo è inutile parlare d’altro. Aiutare la Comunità a sopravvivere in montagna è il presupposto fondamentale per difendere l’ambiente e, nel rispetto di questo, far crescere l’economia. Possiamo anche pensare alle zone montane come a tanti parchi dei divertimenti. Possiamo eventualmente escludere, da questa fantasmagorica visione, la gente che vive la montagna. A cosa servono i residenti? Ci bastano alberghi, parcheggi, impianti di risalita oltre agli elicotteri. Potremmo anche aggiungere le piste da bob, ma per quelle bisogna andare a Cortina (e l’aeroporto non esiste ancora). Possiamo anche trasformare la montagna in questa roba qui e aspettare che, col tempo, rotoli tutto a valle. Perché questo è il destino di qualsiasi montagna in assenza di una Comunità che la vive e se ne prende cura.

 

CLICCA QUI per leggere l’articolo di Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera

 


Andrea Piazza

Andrea Piazza nasce a Mantova nel 1974. Vive tra le rive di due fiumi (il Po e il Mincio) ma coltiva, da sempre, l’amore per la montagna. Ha due grandi passioni: il viaggio e la fotografia. Due attività che trovano un perfetto connubio nell’intrigante bellezza delle nostre montagne. Da qualche tempo cura un blog http://www.artedicamminare.it/ nel quale racconta, in modo simpatico e “non convenzionale”, i suoi viaggi sull’Appennino e non solo.