C’è una tappa della via Matildica del Volto Santo nella quale il pellegrino percepisce la presenza, seppure in lontananza, dalla pietra di Bismantova. Quando sei in cammino da Carpineti verso Toano ad un certo punto sbuca, laggiù all’orizzonte, il profilo inconfondibile di quel bellissimo, e per certi versi stravagante, massiccio roccioso. Quel giorno io ero in compagnia di due pellegrini di Roma che non avevano mai visto Bismantova. All’uscita dal bosco, trovandosi davanti a quel panorama, sono rimasti stupiti dall’apparizione di quel profilo così insolito. La pietra, che perfino Dante volle citare nel Purgatorio, è molto lontana dal tracciato della via Matildica. Eppure, in qualche modo, il mio cammino mi ha portato, almeno idealmente, a Castelnovo ne’ Monti.
In precedenza, mentre mi avvicinavo a Reggio Emilia, avevo già incontrato Don Giordano Goccini che è il presidente della Associazione via Matildica del Volto Santo. Lui mi aveva parlato, tra le altre cose, degli scritti di Christian Bobin. Lo scrittore francese, recentemente scomparso, aveva pubblicato un libro dal titolo “L’uomo che cammina”. Poche pagine, circa una trentina, però molto intense. Bobin, che non era un credente, in quelle pagine narra la storia di Gesù, ovvero l’uomo che cammina del titolo, senza mai citarlo per nome. È un racconto fatto di passi e parole ma soprattutto di silenzio, come quello che l’autore propone, nelle ultime pagine, di fronte al mistero della resurrezione.
Un giorno della scorsa primavera, facendo un’escursione alla pietra di Bismantova, mi sono imbattuto in una locandina che riportava quel titolo: “L’uomo che cammina”. In questo caso, come ho appreso dal manifesto, si trattava del “NonFestival di Sacro e Natura”. La manifestazione con quel nome, ispirato da un libro che già conoscevo, e quella strana definizione (“NonFestival”), hanno subito catturato la mia attenzione.
Ho cercato di raccogliere informazioni presso il Centro Laudato sì di Bismantova. Alla fine, sono riuscito a mettermi in contatto con il prof. Emanuele Ferrari, Assessore alla Cultura di Castelnovo ne’ Monti. A lui ho rivolto alcune domande.
La prima cosa che volevo sapere è come nata questa manifestazione, da quali idee e chi sono stati i fondatori e chi sono i soggetti che la organizzano. Oltre a come è nata mi interessa anche capire di cosa si tratta, quali sono le iniziative che vengono portate avanti (teatro? musica? letteratura? escursioni?) e in quale periodo dell’anno si svolge.
“L’uomo che cammina nasce forse per caso, ma non troppo. Da tempo insieme a Giovanni Mareggini, che è il direttore artistico del Teatro Bismantova, ci eravamo interrogati sulla possibilità di dare vita ad una stagione teatrale estiva. Proprio in quel periodo il parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano aveva raggiunto un accordo con la diocesi per ricevere, in forma di donazione modale, l’eremo Bismantova. In pratica, il parco diventava proprietario dell’eremo però, allo stesso tempo, si impegnava ad organizzare diverse iniziative culturali in quel luogo. In particolare, si voleva farlo diventare un luogo di promozione delle idee, ispirate alla custodia e salvaguardia del creato, della enciclica Laudato Si di Papa Francesco. Fausto Giovannelli, il presidente del Parco, si è rivolto al Comune di Castelnovo per elaborare un progetto culturale che si affiancasse al recupero degli immobili.
Con Giovanni Mareggini, direttore del teatro, e Don Giordano Goccini, esperto di pastorale del cammino e già viceparroco di Castelnovo, abbiamo iniziato a lavorare su questo progetto. È uscita l’idea di un “Non Festival” che mira ad esplorare, in maniera non confessionale, il rapporto tra uomo, natura e spirituale. Un autore come Christian Bobin ci è stato utile non solo per il nome della manifestazione, che è tratto da un suo libro, ma anche per definire l’approccio che volevamo dare all’iniziativa.
Inizialmente “L’uomo che cammina” era una tre giorni che andava dal venerdì alla domenica ed era scandita dalle ore monastiche. Negli anni seguenti la manifestazione si è trasformata in un evento che copre tutti i mesi estivi e si prolunga anche oltre. Promotore è il comune di Castelnovo ne’ Monti insieme ad altri 3 o 4 comuni dell’unione. Il Teatro Bismantova è l’ente organizzatore che cura la parte artistica e organizzativa.
Il primo anno abbiamo invitato Fausto Taiten Guareschi, abate del monastero Zen Soto sulle colline di Fidenza, che tenne una lezione magistrale sul tema delle montagne che camminano. L’idea, fin dall’inizio, era quella di mettere insieme filosofi e teologi di diverse religioni in uno scenario di teatro ambientale”.
“L’uomo che cammina” si definisce un NonFestival, pur avendo la struttura di quelle manifestazioni che solitamente etichettiamo come i Festival. Cosa c’è dietro a questa “definizione negativa” ovvero preceduta da una negazione? Immagino che non sia solo un vezzo per fare qualcosa di originale, dietro a questa scelta ci deve essere una motivazione più profonda. Di cosa si tratta?
“Questa è una delle domande più classiche che ci fanno. Questo significa che abbiamo trovato un espediente comunicativo efficace. Si chiama “Non Festival” per due motivi. Il primo è molto ironico e forse anche autoironico. Fin da subito ci siamo detti che il nostro Comune non poteva permettersi un Festival. Quelli che tutti abbiamo in mente sono macchine organizzative enormi ed hanno costi di gestione elevati. Il secondo aspetto è più profondo. La caratteristica dei Festival, di solito, è quella di essere delle grandi abbuffate di eventi culturali: alla tal ora ci sono più eventi, in concomitanza, che vanno in scena in luoghi diversi. La nostra idea era quella di un Festival che non fosse una come scorpacciata di eventi. Noi mettiamo in calendario un solo evento alla volta, in un determinato luogo e alla stessa ora. Inoltre, ci piace l’idea che le persone possano passare da una sede all’altra, avendo il tempo per camminare da un posto all’altro, per godersi tutti gli eventi. Come corollario di questo approccio abbiamo introdotto subito l’idea del taccuino dove ognuno può appuntarsi idee e riflessioni nate durante gli eventi”.
C’è qualche ospite o qualche evento che, in questi sei anni di vita, ha lasciato un segno particolare in questa manifestazione?
“Noi abbiamo sempre creduto in un’idea di cultura che non fosse il sapere molte cose ma mettere molte cose e persone in contatto tra di loro. Gli importanti ospiti importanti che abbiamo avuto sono il frutto dei preziosi contatti che, grazie all’attività del Teatro Bismantova ed al lavoro del direttore Mareggini, avevamo coltivato nel tempo.
Il primo anno, ad esempio, abbiamo avuto Paola Gassman che, accompagnata dal flauto di Giovanni Mareggini ed il clarinetto di Giovanni Picciati, ha proposto la lettura integrale del libro “L’uomo che cammina”. Amanda Sandrelli è venuta a fare una lettura dell’Apocalisse con musiche originali. Abbiamo ospitato Valerio Magrelli, uno dei più grandi poeti italiani, e Vivian Lamarque, che quest’anno ha vinto il premio Strega della poesia.
Alfonso Borghi, uno dei più grandi artisti nell’ambito dell’astrattismo, è venuto per una mostra dedicata alla pietra di Bismantova. Ma abbiamo avuto anche nomi come Brunetto Salvarani o il prof. Giulio Ferroni nell’anno dedicato a Dante. Quest’anno il nome di spicco è stato quello del poeta e drammaturgo inglese Roger McGough.
Sono iniziative che possono sembrare incredibili nella nostra piccola realtà ma, come ho avuto modo di dire in altre occasioni, la poesia fa proprio questo: rende possibili cose incredibili”.
“NonFestival di Sacro e Natura” questa è la definizione completa de “L’uomo che cammina”. Nonostante quell’etichetta di Sacro la manifestazione si rivolge però a chiunque, sia credenti che non. Allora volevo chiedervi come si riesce a mettere insieme Sacro e Natura e parlare a tutti. In particolare, come si fa in questa Società che, a mio parere, il Sacro lo ripudia e la Natura la depaupera in continuazione?
“Nel parlare di Sacro e Natura noi cerchiamo di non farlo in termini confessionali perché non è il mestiere di chi propone cultura. A noi piace l’idea di far incontrare le diverse culture e religioni. Una cosa che ci ha ispirati è stato ciò che vediamo qui a Bismantova. La pietra può essere vista come una straordinaria parete di roccia; infatti, è un’importante palestra per chi fa arrampicata. Ma quello del free climbing non è semplicemente un esercizio fisico, c’è anche dietro una grande preparazione spirituale. Non puoi salire in verticale attaccandoti agli spigoli della roccia se non costruisci una sorta di dialogo con te stesso e con la tua interiorità. Questo vale anche per quando siamo in cammino, ogni tanto abbiamo bisogno di fermarci ed alzare gli occhi al cielo. Naturalmente, quando siamo immersi nella natura, ci viene da pensare a qualcosa che va oltre. Quella dimensione del sacro dovrebbe essere, in teoria, la cosa più naturale di questo mondo. Quando spezziamo il pane, ad esempio, facciamo un gesto sacro, compiamo un rito. Ma oggi purtroppo abbiamo perso di vista la ritualità di questi gesti. Allora l’idea de “L’uomo che cammina” vuole essere anche quella di costruire un piccolo rito. Quest’anno, ad esempio, abbiamo fatto l’esperienza di raggiungere camminando un luogo dell’anteprima. Avevamo questo libro di Michela Dall’Aglio Maramotti che, in modo filosofico, ragiona su Dio, l’uomo e il male. E avevamo deciso di organizzare l’evento in una chiesa da raggiungere a piedi. Così si può vivere l’aspetto naturale della camminata e poi quando si arriva si parla di Dio.
Qualcuno obietta dicendo che si tratta di una manifestazione un po’ alta. Io, usando una battura, dico che a scendere si fa sempre in tempo. Non vogliamo che l’incontro con la cultura si traduca solamente nell’ascolto passivo di un evento ma, al contrario, che le persone possano vivere la cultura facendo delle esperienze concrete. Il nostro è un “teatro immersivo”. Certo, noi abbiamo il Teatro Bismantova che è un luogo fisico, al chiuso. Ma il vero teatro qui è l’Appennino, la montagna stessa. In realtà quindi il teatro de “L’uomo che cammina” è tutto l’Appennino”.
Io ho la sensazione che una manifestazione come “L’uomo che cammina” possa essere anche il sintomo di un bisogno profondo che si manifesta nella nostra Società. Christian Bobin ci invitava a “abitare il mondo poeticamente invece che tecnologicamente”. Ma tutto intorno i segnali sono opposti, siamo assuefatti alla tecnica, atrofizzati dalla tecnologia. Alla tecnica ed alla scienza abbiamo abdicato, forse rinunciando alla nostra prima caratteristica che è l’umanità. Sono cose che dice anche Umberto Galimberti nel suo recente libro “L’etica del viandante” e che io penso di aver sperimentato nei miei cammini. Sempre più persone, credenti e non, si mettono in cammino alla ricerca di qualcosa che magari non sanno nemmeno spiegare. È un bisogno che nasce dallo spirito. In questo senso possiamo dire, secondo voi, che “L’uomo che cammina” non punta solo a proporre eventi belli e interessanti ma cerca di rispondere a bisogni più profondi dell’essere umano?
“La cultura può essere declinata come evento o come discorso. A noi interessa questa seconda parte, cioè il fatto che ogni evento apre degli interrogativi, che costruisce dei dialoghi. Richard Rorty dice che noi possiamo salvarci solo se la conversazione continua. Maurice Blanchot parlava della letteratura come infinito intrattenimento, ma non l’entertainment inglese. Lui lo intende in senso letterario, stare dentro le cose, calarsi dentro. Il collegamento che hai fatto col libro di Galimberti è perfetto. La tecnica non ha uno scopo, la tecnica funziona e basta. La tecnica vorrebbe che noi tutti diventassimo dei meccanismi che girano. “L’uomo che cammina” prova a mettere della sabbia negli ingranaggi. Perché, se la cultura non scardina allora che cultura è?
Anche quando camminiamo, se uno ci pensa, facciamo sempre un gesto di rottura perché attraversiamo paesi e luoghi fregandocene dei confini. Ogni cammino è anche pieno di ostacoli, in latino l’ostacolo, quello che si contrappone ai nostri passi, è obvius, ebbene noi dobbiamo andare oltre l’ostacolo superare l’ovvietà della tecnica, l’ovvietà della società liberale capitalistica senza più regole. Dobbiamo recuperare quell’idea che con poco si fa tanto. Per questo abbiamo scelto le ore monacali, perché sono portatrici di un senso. Bisogna comprendere che compieta, il mattutino, il vespro non sono solo degli orari ma dei momenti, delle durate. In questo modo il tempo recupera la sua umanità, sennò l’unica possibilità che abbiamo sembra quella di essere come Crono che ingoia i propri figli. Invece noi abbiamo bisogno di farli crescere i nostri figli”.
«L’uomo che cammina è quel folle che pensa
che si possa assaporare una vita così abbondante
da inghiottire perfino la morte»
Christian Bobin
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