Tommaso Capecchi un giovane pistoiese iscritto ad Amo la montagna, sta svolgendo l’Erasmus a Budapest. Ecco un racconto con le sue impressioni
BUDAPEST (UNGHERIA) – Per la prima volta in quasi ventidue anni ho lasciato la mia casa. L’ho fatto da studente, diretto verso un paese e una città molto diversa da tutto ciò che conoscevo, ritrovandomi a Budapest con un’altra vita dal giorno alla notte. L’Erasmus, cioè un periodo di studi in una sede ospitante in un paese estero, è un esperienza davvero significativa, significa allontanarsi e uscire da quella zona di confort che ci circondava, che sia il nostro gruppo di amici, le nostre abitudini o l’intera città stessa, significa scegliere di andarsene per poi tornare e ritrovarsi diversi.
La vita di uno studente straniero
Arrivato a quasi metà settembre, fin da subito ho iniziato a frequentare le lezioni che mi avrebbero accompagnato per i successivi tre mesi sancendo ritmi, abitudini e anche relazioni. Hanno sancito, per esempio, il come e quando mi sarei dovuto spostare, dove i miei occhi si sarebbero posati più spesso. Grazie al tragitto per la mia università, che si trova al di là del fiume nella parte della città denominata Buda, adesso conosco bene il traffico che blocca la strada a quei ben tram gialli ogni martedì mattina a Blaha Lujza, crocevia della città e luogo in cui vivo, oppure tutti i modi in cui può apparire il riflesso della luce sull’acqua verde-azzurognola del Danubio la mattina presto, o al tramonto a seconda della nebbia o del vento. Dopo un po’ si smette di utilizzare il telefono per orientarsi, si fa amicizia con i compagni di corso e si intravede una routine. La vita di uno studente straniero, perlomeno quella che ho visto io, è un alternarsi di lingue straniere e accenti, uscite diurne e notturne, studio, tempo libero e piccole azioni quotidiane che in fondo riempiono il tempo, qualcosa di nuovo arriva ogni giorno senza avvertire ed è strano quanto il passato anche recente si faccia lontano.
I luoghi
Un’intera nuova città totalmente sconosciuta ti si apre davanti provocando un’ondata di novità. Venendo da un luogo che si crede più o meno di conoscere l’impatto con questa infinità di spazi sconosciuti è davvero grande. Piazze, strade, punti panoramici, tutto è nuovo e diverso, camminando senza meta ogni giorno si può conoscere qualcosa e questa sensazione è ancora più accentuata se si proviene da una città medio-piccola, di cui si conoscono tutti i luoghi fino a terminarne la scoperta. Dato il breve periodo per noi a disposizione, che può andare da pochi mesi a perfino un anno, difficilmente si conosce completamente il luogo in cui si vive, ma si inizia a intravedere quel che si preferisce, come la Gellert Hill, collina di duecentotrentacinque metri ricoperta di verde che domina la città e il Danubio, o il bellissimo parlamento e le piazze intorno ad esso, che sembrano volerlo lasciare solo a pavoneggiarsi, appoggiato al fiume e distante dagli altri.
Le impressioni
Allontanarsi dalla propria città è un’esperienza essenziale. Ti dona la consapevolezza di quanto il mondo intorno a te possa essere vario, il tuo sguardo ampliato e di come la tua normalità sia solo una delle tante. Vivendo altrove e conoscendo persone da altri paesi questo continuo e alle volte implicito scambio di idee porta a interessanti riflessioni non solo sugli altri ma anche su te stesso. Riguardo Pistoia e il suo territorio tre grandi pensieri mi hanno interessato: il rapporto con essa, la cucina e infine la nostalgia. Non ho mai subito “l’estraniazione” da ritorno, lo spaesamento del tornare a casa propria, ma quello che sento sia irrimediabilmente mutato è la relazione con la città. Mutato perché te ne sei andato, si frammenta il concetto di casa quando smetti di appartenere ad un solo posto e il tuo sguardo cambia, spesso diventando più consapevole, e ciò che mi chiedo quindi è cosa troverò al mio ritorno. La cucina e la nostalgia, intrinsecamente legati, sono motivo di altre riflessioni interessanti. Non servono mesi per capire che tipo di rapporto la maggior parte degli italiani all’estero ha col cibo, già dal primo giorno si nota un interesse diverso, le conversazioni spesso finiscono a toccare quell’argomento e ci si confronta spesso su dove reperire la “frutta buona” o tal prodotto in particolare. Tra i pochi libri portati, uno era un piccolo manuale di cucina [Luciano Bertini, “La cucina pistoiese”, 2007], utile a mantenere un contatto con il mondo dei sapori e odori di casa, perché ”il mangiare, il bere, i comportamenti alimentari costituiscono forme di autoriconoscimento, modi di essere e di percepirsi individui.” [Vito Teti, “Nostalgia”, 2020]. Facendo i necci, in una piccola cucina di Budapest con la farina di castagne di Vellano, io mi riconosco. Attraverso la nostalgia si capisce cosa ci è caro, questi mesi fuori me lo hanno fatto capire ancora di più, le vie di Pistoia, l’intero territorio con le sue tradizioni e contraddizioni, per me sono motivi per tornare, le sue potenzialità , invece un bel motivo per cercare di restare.