Nel sempre più numeroso decalogo di “giornate dell’anno dedicate a qualcosa”, quella dell’undici di dicembre spetta alla Montagna essere oggetto di onorificenze, memorie, iniziative, feste e attenzioni: eventi parossistici tipici della nostra epoca dominata dalla velocità per cui, una volta terminati e polverizzati, rimane ben poco.
La ricorrenza di dedicare l’ undicesimo giorno di dicembre alle Terre Alte, ricorrenza designata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2002, compie venti anni e, badate bene, quest’anno vive anche la “fortuna” di ricadere di domenica: giorno perfetto per metter su in fretta e furia palchi di “personaggi” in doppio petto e che la montagna l’ hanno vista si e no a Cortina e pronti ad argomentare frasi pregne di ricordi e retoriche, propositi e nuovi scenari, promesse e rilanci.
Da un po’ di tempo il mondo gira così: arriva la giornata dedicata a qualcosa ed ecco che c’è sempre qualcuno, avulso alle Terre Alte, a parlarne. Poi, si torna alla normalità, silente e assente.
Non è a mio modo di vedere un paradigma che può funzionare, che rende dignità, alla montagna: di tutto essa abbisogna tranne di una singola giornata che ne illumini esistenze, caratteristiche e criticità.
E valore.
Perché non un ministero della montagna?
Se il nuovo Governo Meloni avesse avuto chiaro il ruolo centrale della montagna avrebbe costituito, al pari di quello del mare, un Ministero delle Terre Alte. Invece, nulla: troppo affaccendati a pensare alla minaccia migranti (e, nel mentre, come a Ischia, l’ Italia di monte frana sulle pianure.).
Ma, si sa, forse al mare un simile riconoscimento è stato dato perché lì c’è, appunto, da controllare il flusso dei migranti mentre la montagna cosa fa- quell’assassina- di così altrettanto minaccioso, se non travolgere, per incuria, disboscamenti selvaggi e cementificazioni a iosa, un qualche paesello che gente senza memoria geologica si viene a trovare sulla traiettoria di un’ (altra) frana…?
In questo patacchismo contemporaneo che dilava (?) le proprie coscienze per cui sono state create giornate internazionali dedicate a qualcosa (ci sono anche quella della pizza, della Nutella o del Hamburger…), c’è dunque anche la montagna: darle lo stesso connotato di un bene di consumo, come può essere un hamburger, giù la dice lunga sulla deriva della cultura e di quanta ignoranza e pressapochismo ci sia verso la montagna stessa.
Chi sono i care giver delle Terre Alte?
La giornata internazionale della montagna è sì appannaggio delle Terre Alte ma, non di meno, dovrebbe essere momento di riconoscimento di quelle figure, dei veri e propri “care- giver” che, giornalmente e non soltanto un ameno 11 dicembre, si prendono cura delle Terre Alte.
In primis, i pastori.
La montagna, quella appenninica, non si salva da sola e, mio particolarissimo parere, tantomeno si offrono a salvamento e momento di dignità le varie “letterone”, le sagre che niente hanno in comune con usi, tradizioni e costumi delle Terre Alte oppure le panchine giganti, frequentate per il tempo di un’apertura di un diaframma dell’ occhio di un cellulare e poi ciao.
Cosa c’è di “nostro” in quelle panchinone?
Non è mostrandosi truccata agli occhi dei forestieri e restando sorda ai veri bisogni delle Terre Alte (bisogni sia fisici perché legati alla fragilità del territorio oppure di sussistenza in quanto connessi al quotidiano di chi, tra mille difficoltà e pastoie burocratiche, continua strenuamente a viverci) che si onora la vita in montagna ed essa stessa, oppure che la montagna può sperare di salvarsi. Questo, a meno che non la si voglia far diventare una sorta di sub cultura urbana, una Disneyland ad aria sottile e un dormitorio pro pendolarismo.
Serve uno sforzo culturale
Qui, credo, bisogna fare uno sforzo di stampo culturale: occorre vedere la montagna come un grande e ingravescente malato, uno di quei vecchioni che si ammalano di senilità ma che, per carattere e fierezza, non sono portati a chiedere troppo.
Per professione, conosco bene le malattie delle persone: esse si differenziano e caratterizzano (anche) tra chi urla di dolore e chi, del dolore, ne fa esercizio di intenso silenzio, confidando sull’empatia e sul colpo d’occhio del sanitario che ha loro in carico.
Se trascurati, quei malati muoiono prima di incuria che di malattia.
Lo stesso succede alla montagna. E non sarà mai una festa o giornata a lei dedicata a risolverle i problemi, specie se si pensa che essi siano curabili con un’ opera di turistizzazione. Non voglio risultare esoso ma, per coerenza (e pur essendo libero da impegni) io stesso, come Guida Ambientale, ho deciso di non fare alcuna escursione organizzata nella domenica 11 dicembre su per qualche monte.
La montagna riceve la giusta cura (e viene così celebrata) se è oggetto di attenzioni.
Ne esistono di diverse nature e provenienze: si va da quella del residente (parlo del residente consapevole e che usa gli occhi per vedere e non solo guardare e, perciò, si attacca il pennato al culo e va a liberare un sentiero), a quella del turista che cerca la montagna vera e non una panchinona su cui fare un selfie e poi andarsene e, soprattutto se le politiche pubbliche centrali cominciano a capire che, quassù, a fare la differenza è il sapere, il saper fare e il saper essere e non il mero conteggio dei diritti al voto: solo passando da una logica qualitativa, specifica e non quantistica, la montagna tornerà a essere rivalutata per ciò che seriamente merita e riesce a dare alla collettività.
Diamo voce a chi abita quassù
A volte, qualcuno, mi chiede quale possa essere, per me, il futuro della montagna…
Rispondo “ dando voce a chi vi abita e frenando questa deriva di turistizzazione che non genera consapevolezza, ma alimenta un turismo mordi e fuggi, La montagna abbisogna di residenti, la politica dovrebbe agevolare (magari con forti de fiscalizzazioni e agevolazioni, non come privilegi ma come indennizzo delle cure sostenute…) questo processo di riabitare le Terre Alte, i forestieri dovrebbero essere stimolati sul sentimento della curiosità e non vivere i nostri luoghi come fughe dal caldo, intrattenimenti estivi o luoghi di selfie a due passi da una strada.
Solo se questi (o altri) aspetti trovassero forme concrete la Giornata Internazionale della Montagna avrebbe un senso, ovvero quello di un coronamento di un percorso e non un estemporaneo flash di un giorno e poi, al seguente, avanti per un altro show, che sia un gatto, la pizza, il marmo o… la Nutella.
Una proposta
Chiudo con una proposta, che può sembrare pittoresca ma considero ad alto valore solidale e segno, antico, di quella comunanza ad oggi perduta che ha sempre caratterizzato chi, in montagna, ci vive o investe vive e chi la vive in modo saltuario, non turistizzato.
Non sarebbe, forse, bello se ogni esercizio commerciale, o di altra natura, sottraesse dalle spese sostenute sotto Natale da tutti noi un euro da devolvere a un ente (come a esempio il CAI, punto di riferimento fondamentale per la cura delle Terre Alte…) per la custodia di queste nostre montagne, cui non basta certo, anzi è gesto quasi offensivo, essere oggetto di dedica per un solo giorno l’anno?
Per poi, a ogni 11 dicembre, festeggiare sì, qualcosa: sia esso un sentiero riaperto, la messa in sicurezza di un bivacco, l’apertura di un museo, aiuti a chi fa pastorizia., corsi di scrittura creativa di montagna nelle scuole, contributi per danni provocati da ungulati… E via dicendo.
Qualcosa che sia funzionale alla vita di chi vive in montagna e non orientata in modo così parziale a una turistizzazione così come avviene da un po’ di tempo a questa parte…
Forse, così, la montagna e la sua giornata avrebbero un senso compiuto e non l’ennesima patacca.