È ben noto come sui nostri monti un tempo si producesse in loco tutto quanto servisse nel quotidiano, dal vestiario agli alimenti. In particolare, ogni cosa che veniva portata in tavola era frutto del campo o dell’orto o del castagneto quasi sempre di proprietà della famiglia. Nel caso della carne, è pur vero che il maialino acquistato a primavera veniva da fuori, ma per molti mesi viveva nello stalletto attaccato a casa ed era trattato come uno di famiglia. Doveva infatti, il maiale, crescer sano e diventare una “gran bella bestia vicina ai due quintali” se ai primi dell’anno si voleva che la sua fine terrena si trasformasse in una gran festa sotto forma delle innumerevoli bontà che il maiale macellato sa dare per mesi e mesi.
Due soli prodotti non c’era verso di fabbricarli in loco: il sale e l’olio. In passato qualcuno aveva avuto il fegato di trapiantare qualche ulivo in zona riparata dal vento, ma al primo freddo quello povere piantine erano diventate stecchi inerti. A piantare il sale nessuno ci aveva mai provato… Fino al giorno in cui il più sveglio abitante del paese di *** non se ne venne fuori con la gran pensata di andare al mercato – “quello grande in Città, dove ci han di tutto” – ad acquistare la semente del sale.
Partirono in tre per l’ardita spedizione. Dopo parecchi giri a vuoto, non vedendo sui banchi nessun cartello che indicasse la semente del sale, i tre si convinsero ancora di più che questa semente doveva essere merce molto rara. Per cui ritornati nei pressi del banco più grande, da cui strabordavano cesti con ogni varietà di sementi, approfittarono di un momento di minor ressa per avvicinarsi al venditore e chiedergli, con molta circospezione, se avesse la semenza del sale. “È questa semenza rarissima” sentenziò a bassa voce il mercante che aveva capito al volo con chi aveva a che fare “e certo non la troverete sugli altri banchi se non qui sul mio che come vedete è il più fornito: ma non stamane, che quel po’ di semenza che avevo l’ho venduta di primo mattino”. E subito aggiunse, a rincuorare i tre: “ ma se tornate la settimana prossima, quella che riesco a trovare è tutta per voi e ve la tengo da parte. Ma ricordate che la semente del sale è molto cara e quindi soldi ce ne voglion parecchi”.
Contenti come pasque, i tre tornati al paesello raccolsero gli uomini più validi in gran segreto e fattosi giurare che quanto stavano per rivelare “non sarebbe uscito da quella porta”, esposero il piano con relativi costi e benefici: a garanzia reciproca avrebbero coltivato i campi in comune e lontano dalle strade, in modo che nessuno ne venisse a conoscenza, mentre il raccolto sarebbe stato equamente distribuito.
L’iniziativa raccolse il consenso di tutti e così i tre si presentarono la settimana dopo con un bel gruzzolo di quattrini sonanti. Come il mercante vide i tre, li prese da parte e adocchiato il malloppo ben più ricco di quanto si aspettasse, non lesinò apprezzamenti per l’impegno mantenuto e buoni consigli per il successo del futuro raccolto, “sale ottimo e a volontà, garantito!” se solo si fossero seguite bene le istruzioni: la semina doveva avvenire di lì a un mese, ad inizio primavera, “dopodiché non serve altra lavorazione, né acqua né altro, se non aspettare che le piantine raggiungano via via un’altezza simile a quella del grano e la piena fioritura. Solo allora, per solito a fine luglio, la pianta del sale va mietuta e battuta per raccogliere il sale proprio come il grano: ma, attenzione, mentre il grano non ricresce, la pianta del sale sarebbe tornata a ricrescere subito dopo tagliata e così nel nuovo anno e per tutti gli anni avvenire”. “Ecco perché costa tanto” si dissero tra loro i tre, pienamente convinti di aver fatto il più grande affare della loro vita.
Tutto fu eseguito secondo le istruzioni. Man mano che i giorni passavano i campi si presentavano verdi come mai si era dato vederli (altro che il grano!) e a luglio la fioritura si annunciò nel suo pieno splendore. Né i nostri protagonisti dimenticarono il consiglio finale ricevuto dal venditore, ovvero di sperimentare di persona la “qualità” peculiare che deve avere ogni buona pianta del sale: quella di pizzicare la pelle come fa – è ben noto – il sale sulla lingua. Per cui i nostri eroi non esitarono a mettersi in mutande e a sperimentare l’effetto del contatto delle rigogliose piante di sale pronte ad essere mietute. “ Pizzicano davvero, e tanto! – tutti a dire – Questo sì che è sale buono!”.
Bella forza, si scoprì poi, erano piante d’ortica!
Questa favoletta circolava sui nostri monti ben prima che io nascessi, e correva di paese in paese assegnando di volta in volta i protagonisti al paese vicino perché si sa a nessuno piace passare per fesso. Ai tempi d’oggi, l’istruzione maggiore e l’informazione ben più diffusa fa sì che dabbenaggini di tal portata non siano neppure immaginabili, neppure sui nostri monti.
Devo purtroppo ricredermi, e arrendermi all’evidenza: le voci che il Covid non esiste non solo albergano nei salotti buoni cittadini – dove esser contro il buonsenso è sempre très chic! – ma serpeggiano anche tra gli antichi muri di pietra delle nostre case di montagna. Portate avanti queste teorie negazioniste da quelli che si considerano più furbi, proprio come succedeva nei racconti di una volta. Con la differenza che quelle erano favole paradossali inventate apposta per far ridere gente che viveva in condizioni dove le occasioni per ridere erano davvero rare, e mai nessuno si sarebbe sognato di prendersi gioco di un pericolo reale, anzi mortale.
Devo purtroppo ricredermi, e arrendermi all’evidenza: le voci che il Covid non esiste non solo albergano nei salotti buoni cittadini – dove esser contro il buonsenso è sempre très chic! – ma serpeggiano anche tra gli antichi muri di pietra delle nostre case di montagna. Portate avanti queste teorie negazioniste da quelli che si considerano più furbi, proprio come succedeva nei racconti di una volta. Con la differenza che quelle erano favole paradossali inventate apposta per far ridere gente che viveva in condizioni dove le occasioni per ridere erano davvero rare, e mai nessuno si sarebbe sognato di prendersi gioco di un pericolo reale, anzi mortale.
Le illustrazioni sono di Francesca Risaliti