Si sa, il periodo delle festività natalizie è molto speciale da qualsiasi punto di vista lo si guardi; ma se si esce dai luoghi comuni, quali la corsa agli acquisti per i regali, i cenoni, ecc., se si tiene un po’ di più spenta la televisione è anche un periodo che invita a guardarsi intorno, riflettere e meditare su quelle piccole cose che possono apparire banali e insignificanti ma che in fondo sono il vero indicatore dei modi di evolversi della nostra vita.
Le passeggiate fiorentine
Da vecchio montanaro, nato in quella Montagna Pistoiese che porto sempre nel cuore, dove se nevica, “non nevica firmato” come dice Mauro Corona, sono quindi avvezzo a scrutare l’orizzonte in silenzio e così in questo periodo ho preferito proprio il silenzio ai clamori. Evitando i giorni festivi, mi sono fatto delle lunghe passeggiate a piedi nella mia Firenze, sempre più caotica a causa del traffico ma sempre bella e ho avuto modo di ammirare le illuminazioni natalizie, davvero suggestive, a cominciare dal Ponte Vecchio fino alla ruota panoramica alla Fortezza da Basso. Poi mi fermo su una panchina a leggere il giornale, come fanno i vecchi, e trovo le dichiarazioni del Sindaco di Firenze che rivendica, giustamente, il suo impegno per abbellire ancora di più la città che amministra e renderla ancora più attraente.
Il silenzio sovrano della Maremma
Poi, sulle orme di quella transumanza che ho conosciuto da bambino e adolescente, mi sposto in Maremma, in campagna dove lì davvero il silenzio regna sovrano. Cammino per i campi, vedo che si incomincia a potare le viti (oggi si corre: un tempo si iniziava a febbraio!), ammiro i miei tramonti e posto qualche foto sui social (un amico mi ha definito “il cacciatore di tramonti”, chissà che non sia un titolo per un altro libro!), ogni tanto mi sposto anche in macchina. In una di queste uscite, percorrendo la super strada da Grosseto verso Paganico mi colpisce la visione di un paesino appollaiato sulla collina: è Montorsaio; imbocco la deviazione e vado; lascio la macchina all’ingresso del paese e proseguo a piedi con mia moglie. A parte la bellezza di questo vecchio borgo, troviamo in ogni angolo presepi allestiti alla vecchia maniera. Uno spettacolo molto bello e suggestivo; non ho la macchina fotografica ma poco male, oggi i cellulari funzionano meglio per fotografare che per telefonare. C’è poca gente e quindi ci soffermiamo a fare i complimenti alle Signore autrici di queste opere d’arte che ancora, con mano leggera, continuano a ritoccare e aggiustare; mi colpisce la frase di una di queste Signore che, dopo averci gentilmente ringraziato, aggiunge malinconicamente: “Quest’anno ce l’abbiamo fatta ma è stata dura, siamo sempre meno e non sappiamo per quanto potremo portare ancora avanti questa tradizione”.
Torno a casa, scarico le foto sul computer e le rivedo estasiato ma, ripensando alla frase della Signora, mi inquieta una riflessione.
Immagini a confronto
Mi soffermo su due foto, per me emblematiche, che riporto qui: una riguarda la sfolgorante illuminazione natalizia del Ponte Vecchio di Firenze realizzata con tecnologie di avanguardia e l’altra riguarda uno dei tanti presepi, sapientemente disseminati per le vie del piccolo borgo di Montorsaio, realizzato addirittura con presse di fieno che ora non si fanno più perché sostituite dalle rotoballe, oltre che con piccoli tronchi, sughero e muschio raccolti nella limitrofa macchia e con statuine in terracotta. Alla differenza di queste due immagini, fa riscontro la soddisfazione legittima e l’orgoglio del Sindaco di Firenze di aver realizzato un bell’addobbo che valorizza la città anche in prospettiva futura e dall’altra la malinconia della Signora che, purtroppo ragionevolmente, teme la fine di questa bella tradizione e quindi l’inarrestabile declino di questo splendido borgo.
I due possibili sviluppi futuri
Si, a mio modesto avviso ovviamente, queste immagini rappresentano il modo di sviluppo futuro della nostra società.
Infatti, nel futuro le popolazioni si concentreranno sempre più nelle città, si proprio in quelle città che saranno sempre più caotiche, asfissiate dal traffico, sempre più inquinate e sempre più esposte ai cambiamenti climatici con le strade allagate, quando va bene, in occasione dei violenti nubifragi ormai non più eventi eccezionali, vista la frequenza del loro ripetersi o, nei periodi estivi, attanagliate da quelle ondate di calore il cui impatto sulla salute umana è devastante in quanto responsabili di causare il maggior numero di morti, rispetto alle altre avversità climatiche come le alluvioni, appunto, soprattutto nella popolazione più fragile come gli anziani.
E non traggano in inganno certe notizie che vorrebbero una riscoperta della campagna, dell’orto, ecc., in realtà si tratta di ristrutturazioni di vecchi casolari nelle immediate vicinanze delle città o dell’ampliamento delle periferie di quei paesi limitrofi, che in pochi anni stanno diventando un continuo con le città, tanto è vero che oggi si parla di “città metropolitane”.
Le colpe dell’uomo sui dissesti idrogeologici
Ci si è accorti che molti dei dissesti idrogeologici dipendono dall’azione dell’uomo in questa espansione urbanistica e si lanciano propositi e slogan quali “stop al consumo di suolo” o “bisogna invertire la tendenza e porsi l’obiettivo del consumo zero di suolo”. Ma quale inversione di tendenza! Nemmeno la pandemia ha rallentato la cementificazione selvaggia. Selvaggia perché molto spesso si è costruito in aree fragili o, comunque, si è costruito senza un reale e valido progetto di regimazione idrica a cui si associa poi la mancanza di un piano di messa in sicurezza del territorio specialmente nelle aree collinari e montane, infatti, i maggiori interventi finora sono stati effettuati dopo il verificarsi di catastrofi. Oltre a ciò, il consumo di suolo ha causato danni all’agricoltura proprio perché l’espansione urbanistico-industriale e l’agricoltura stessa competono per gli stessi suoli che, guarda caso, sono sempre i migliori per capacità produttiva, fertilità, giacitura, ecc. Per esempio, a causa di ciò, in un solo anno, oltre 100.000 persone hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti di qualità italiani.
Il legame fra ambiente e salute
Nonostante questo, si potrebbe obiettare che l’aspettativa di vita in Italia si è decisamente allungata; è vero ma sarebbe anche auspicabile che questo allungamento della vita fosse vissuto in buone condizioni di salute, cosa che purtroppo non è per gran parte della popolazione anziana.
Le cause che contribuiscono ad aumentare i rischi di malattie sono da imputare sicuramente al deteriorarsi delle qualità ambientali, prima fra tutte l’inquinamento dell’aria, basti pensare all’incremento delle malattie respiratorie ma anche alle allergie, sempre più diffuse anche nella popolazione giovanile. Non meno importante la non sempre corretta alimentazione anche perché, il cibo spesso, purtroppo, non risponde alle caratteristiche dello slogan di Slow Food “buono, pulito e giusto”. Del clima e in particolare delle ondate di calore abbiamo già detto. È del tutto evidente poi che l’insorgere di varie patologie rendono l’individuo estremamente vulnerabile all’insorgenza improvvisa di una pandemia, come quella che stiamo vivendo, del Covid 19.
Le regole non rispettate a San Silvestro
A proposito di inquinamento, una brevissima riflessione post San Silvestro e di quanto in Italia le regole sono ormai diventate un optional. Abbiamo sentito e letto di assoluti divieti di far uso dei botti nella notte di San Silvestro, appunto, a cui si sono aggiunti appelli per non spaventare, giustamente, gli animali domestici. Ma quando mai! In ogni città si è assistito a veri e propri spettacoli pirotecnici; quello che però non si è ben evidenziato è che, proprio in quella notte, si è avuto un picco impressionante di aumento di quelle polveri sottili, che rappresentano la fonte principale di inquinamento nelle città e sono emesse principalmente dallo scarico delle auto, che proprio non fanno bene a respirarle! Non c’è niente da fare, siamo fatti così!
Ultimamente i mezzi di comunicazione di massa ci hanno bombardato di proclami, annunci su transizioni ecologiche, cambio di modello di sviluppo, ecc., ma quelli che possono rappresentare cambiamenti epocali sono sempre spostati un po’ più avanti! E così avremo ancora città sempre più affollate e caotiche, generatrici di stress e di germi di intolleranza che incattiviranno sempre più questa società, che già lo è abbastanza!
I borghi continuano a svuotarsi
E i borghi? Continueranno a svuotarsi. Anche qui tanti proclami sulla necessità di recuperarli, tanti spot e girandole di immagini sui mass media, social inclusi, che ne esaltano la loro bellezza, tanti inviti a riscoprirli e andarci ad abitare ma saranno veramente pochi quelli che avranno il privilegio di poterlo fare. Ci si esalta all’annuncio dell’ultimo summit mondiale sull’emergenza climatica della decisione di piantare miliardi di alberi; qui gli alberi ci sarebbero già ma forse non bastano! “Siamo sempre meno” diceva con malinconia la Signora di Montorsaio. Si, dai borghi i giovani se ne vanno ma forse non siamo stati capaci di trasmettere a quei pochi che ci sono quella cultura e quei valori della tradizione che rappresentano la storia di queste realtà. Ma queste sono opinioni. E allora? L’attuale atteggiamento dell’opinione pubblica nel suo insieme (decisori politico-amministrativi inclusi) su queste problematiche sembra riassumersi nel titolo di una celeberrima canzone, icona di diverse generazioni: “Let It Be”, lascia che sia!