Uno sguardo oltre  |  aprile 7, 2020

Il tabù della solitudine al tempo del coronavirus

Il Covid 19 ci ha scaraventato in una diversa dimensione spazio-temporale. La conseguenza più manifesta di questo spaesamento e disagio è la noia. In montagna lo sbalzo è minore, c'è un'abitudine a convivere con il silenzio. E il tempo che abbiamo a disposizione in questo periodo ci toglie l’ansia del programmare e ci impone di pensare al presente. Che è da considerare come spazio e mai come vuoto

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Il luogo in cui sei nato e cresciuto ti dà il carattere che hai, ti forgia e, giorno dopo giorno, sagoma il profilo di un uomo nei confronti degli accadimenti della vita.

Quelli di oggi, di accadimenti, sono di fronte agli occhi e alla coscienza di tutti: il covid ci ha scaraventato in una diversa dimensione spazio-temporale, ma il balzo non è stato uguale dappertutto. In questo, assai marcata è la differenza tra città e montagna.

I parametri: solitudine e silenzio

I parametri con cui misurare questo sbalzo sono due: la solitudine e il silenzio. Da essi, dipendono altri aspetti, reattivi o passivi, come lo sono certe risposte del singolo o di collettività riconducibili a spaesamento, noia, rabbia, disagio, sospetti, illazioni proprie di chi, forse, ha visto troppe volte l’ispettore Derrick.

In una società che ha sempre necessitato di collegare un’epoca a un tabù (si pensi all’argomento sesso dei primi decenni del secolo scorso, o a quello più recente, della vecchiaia e conseguente desiderio di mostrarsi sempre giovani, belli, profumati e palestrati) irrompe in modo devastante quello della solitudine: un sentimento che, oggi, tocca tutti e le cui conseguenze psicologiche e comportamentali vanno di pari passo con il grado di abitudine che uno, durante la propria esistenza, ha maturato verso quella condizione.

Soli lo eravamo anche prima. E’ che facevamo finta di non esserlo. Chi ha inventato facebook ha saputo guardare bene la polpa di questa società e non è un caso se ci è stato fornito un placebo per lenire la solitudine.

Laddove, e mi riferisco alle città adesso svuotate di gente, le persone non erano addestrate a gestirla è scoppiato il disagio: quello che tutti aggiravano affogando il proprio sentirsi soli in un mare di spritz.

In montagna abituati a silenzio e solitudine

Diverso è ciò che accade quassù, sui monti e negli sparuti paesini. Qui, la solitudine è sempre stata la vicina di casa, ci siamo cresciuti insieme: non ci fa paura, non crea vertigini. La conosciamo e quindi sappiamo anche affrontarla, mai aggirarla.

Lo stesso si può dire del silenzio: la montagna è il luogo dove i vari silenzi hanno preso domicilio. Altrove, la gente, avvolta come si ritrova in nuovi, improvvisi e sconosciuti silenzi, non riesce più a dormire: per farlo abbisogna del fischio del treno, del rombo dell’aereo, dell’ululato dell’ambulanza, del frusciare del camion che pulisce la via. In città le persone necessitano del chiasso: serve per mettere a tacere le voci “dentro”. E quando lasciano i loro condomini per salire sui crinali o andarsene al mare, quel chiasso, sentono il bisogno di portarselo dietro.

Da lì, il fastidio che molti montanari provano quando i boschi diventano scenari di grida e musiche ad alto volume.

La dura prova del virus

Questo bastardo di virus, che certo non son qui a celebrarlo, non so se cambierà il mondo ma è sicuro che ci sta mettendo alla prova, così com’è sicuro il fatto che produca disagio, spaesamento e noia in misura diversa tra ambienti urbanizzati e luoghi periferici dell’ Italia interna.

La difficile gestione della noia

La conseguenza più manifesta di questo spaesamento e disagio è la noia: le misure restrittive adottate dal Governo per frenare il contagio ci han messo ognuno nei propri alveari, tutti in fila indiana, opportunamente distanziati e a passo lento (Oddio, che amenità!) per poi uscire dal tunnel.

E’ una noia figlia del tempo di ieri, questa. E’ il frutto maturo di chi non si era mai esercitato alla solitudine considerata, appunto, un tabù. E il solitario, un diverso. Il malato di asocialità.

Cazzate.

Quella che in molti etichettano come un tempo noioso è, invece, un privilegio: non tutti possono restarsene a casa, nella protezione dal virus.

Chi lamenta noia farebbe bene a ricordarselo.

Il tempo “liberato”

E’ un tempo che chiamo “ liberato” e che non abbiamo mai avuto o voluto prenderci, questo. E’ un tempo che ci impone di pensare al presente, che ci toglie l’ansia del programmare: quante agende, oggi, saranno riempite di appuntamenti, di incontri, di pro-memoria? Presumo, poche.

E allora se il futuro è tornato ad essere quello che, realmente, è sempre stato, ovvero il tempo in cui regna l’ignoto, cerchiamo almeno di usare al meglio il bistrattato presente!

Ripulirlo dalla parola noia è il primo punto, gestirlo come spazio e non come vuoto è il secondo.

Il presente

Già, il presente….Un tempo vecchio come il mondo ma nuovo come non mai e da considerare, appunto, come spazio e mai come vuoto.

E’ il tempo che, per lo meno quassù, ha sempre avuto una propria dignità: quello che veniva usato per rimettere a posto gli attrezzi da lavoro, fare piccole riparazioni, ripulire il bosco, raccontarsi, scrivere, leggere, rilegare un paniere….

Erano gesta e pensieri della stagione fredda, quella che ti rinserrava in casa: gesta e pensieri codificati e impressi nel DNA delle genti di montagna e che, adesso, riaffiorano.

Il covid al posto dell’inverno

Quello che prima imponeva l’inverno, quello vero intendo, adesso lo impone il covid: cambia il soggetto ma non varia l’abitudine del montanaro a riempire il tempo, concepito come spazio e non come vuoto.

Oggi, più che mai, per soffrire meno la solitudine, il silenzio e la noia, occorre guardare in alto, verso quelle terre che si credevano “fuori moda” e che, invece, sono foriere di buoni suggerimenti per farsi amica e convivere nel modo meno disagiato possibile questa imposta solitudine e non vivere questi mesi come fossimo in apnea in attesa di riprendere, tale e quale, la vita di prima.

Perché, a quel punto, forse non avremmo imparato la lezione che il covid, ahinoi, ci sta impartendo.

E se ci sarà un prossimo virus non andrà di certo meglio.

Il futuro, e anche questa triste vicenda del covid ce lo insegna, è sui monti.

Svegliatevi.


La Redazione

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