Una volta c’erano gli eroi, i cavalieri erranti, paladini e santi di cui l’uomo aveva bisogno, come la fede, di crederci. Oggi, il mondo sembra non fidarsi più di questi eroi: sia antichi ma anche moderni.
Servono scelte coraggiose
Le domande attuali sono vitali: riuscirà l’umanità a sopravviver alla catastrofe climatica che viviamo? E quali le conseguenze, in numero di morti ed economiche del Covid 19, conosciuto come coronavirus? Credo che ci riusciremo, ma solo a prezzo di molte sofferenze. La sofferenza non nobilita. E’ quasi un peccato, visto i tempi odierni: un bagno di ridimensionamento collettivo, invece, gioverebbe a tutti. Caparbiamente, bisogna cambiare. Non ci sono più scuse. Non c’è più tempo. Servono scelte coraggiose. Dare spazio a persone che agiscono, compresi quelle che seguono un proprio sogno, una propria illusione che, alla fine, son meglio di doti, medici e sapienti moderni.
Gli effetti del conformismo
Il conformismo ha generato benessere materiale con troppi vuoti a perdere. I solidi valori religiosi sono al declino: matrimonio in testa. La Chiesa vacilla: da sempre. Cerchiamo un mondo tecnologico, non il bello del mondo: scenari, Natura, viaggi, Flora e Fauna… Mi sono sempre chiesto cosa sia la vita: un egoismo da orgasmo? Per qualche milione di abitanti certamente… Per il restante, un pluralismo di esperienze e punti di vista, come quello che sto scrivendo, lasciando sfogo a quello che mi passa per la mente…Senza entrare nel merito della brutalità dell’uomo e dell’umanità, con conseguente frammentazione delle disuguaglianze umane. Oriana Fallaci disse: “La vita è una condanna a morte”… certi giorni molti di noi gli danno ragione! Ma è bello pensare, e sperare, che la vita è pure una grande seduzione.
Le pandemie degli ultimi 100 anni
Siamo arrivati sulla luna. La cosiddetta back contaminatio, la possibilità che un germe lunare invadesse la biosfera e contagiasse il genere umano non si verificò. In compenso abbiamo avuto l’Asiatica, la Spagnola, la Sars e la peste aviaria, alcune sfighe degli ultimi cent’anni che hanno accompagnato l’uomo sulla terra, facendo molte vittime. Temo le malattie, in particolare quelle causate da virus e batteri che non vedi, non conosci, subdoli come certe persone, struscianti come gli uomini luridi e senza pregiudizio. Ma più di tutto mi fa paura la morte spirituale, la possibilità che la tecnologia prenda il sopravvento sull’uomo, rendendolo schiavo e addormentato. Temo che cuore e mente passino in secondo piano e, credetemi, con le immagini di questi giorni in cui i miei connazionali hanno razziato di tutto, dai generi alimentari ai disinfettanti, ho avuto la netta sensazione che molti automi organizzati cercassero salvezza, da cosa manco loro lo sapevano…
La paura della morte
Abbiamo paura di morire. Tutti. Se il sole muore, muore la terra e con essa noi. Abbiamo bisogno di immortalità. Se la nostra specie muore, muore pure tutto quello che abbiamo fatto: figli, possedimenti, relazioni. Ma muoiono pure le opere d’arte, l’Odissea, la filosofia, le grandi invenzioni… I poeti vanno presi sul serio?
La montagna e il coronavirus
La parte della mia montagna ai tempi del Covid 19. Brutale? Non necessariamente…
Vivo a cavallo di due regioni, Emilia-Romagna e Toscana; due provincie, Modena e Pistoia. Nel mio comune, e nei comuni limitrofi, nessuna affezione da Covid: un record positivo. Perché non lo so, forse qualcuno ipotizza che il maledetto virus sia stato lanciato in aria e l’ultima nevicata abbia contribuito a pulire, sanificare. E’ risaputo, invece, che vivendo in montagna si hanno più globuli rossi e quindi più ossigeno, ma da qui a scamparla…
Meglio delle grandi città
Di certo si vive meglio che nelle grandi città, nei centri urbanizzati dove non manca di nulla e il superfluo la fa da padrone, inquinamento compreso. Si vive meglio perché, in un certo senso, siamo abituati alla fatica giornaliera, a usar le mani per mille mansioni, a scambiarci una ricotta per due uova e un pane cotto nel forno a legna per un pollo. Lo abbiamo sempre fatto. Continueremo a farlo. In questo periodo, con moderazione: “Ti lascio le uova nel paniere sulla porta di casa, tu lasciami il salame”. Nulla di meraviglioso. Ma queste cose vi meravigliano, a voi cittadini che non conoscete nemmeno il vicino di casa. Così capita che alcune capre s’infilano in un metato del vicino; alcune pecore brucano qualche fiore della Leonida che s’incazza e Matteo, nell’orto a seminare la futura lattuga, se la ride immensamente.
Montanari rispettosi delle regole
Questi scenari, non certo apocalittici, succedono dalle mie parti, sul mio Appennino, nella parte del mio mondo che ora, voi di città, imparate a conoscere per il record di contagi “zero”, chiedendovi: ”Ma pensa quei montanari che non s’ammalano… C’hanno l’acqua buona, loro”… No! Semplicemente stiamo a casa e rispettiamo le regole. Ma ci ritroviamo più facilmente, in questi periodi di difficoltà perché abituati ad affrontare le difficoltà giornaliere, le carenze che la quotidianità ci porge ogni giorno. Così, capiamo chi ha bisogno e ci prestiamo, senza scambiarsi dei soldi che in questi giorni poco servono a combattere il virus; ma se Anita resta senza lievito madre, Maria glielo presta; Arturo ha rotto il trattore e Olinto gli lascia il proprio; Fernando fa il formaggio e baratta una forma con Giovanni che ha comperato del buon vino giù nella bassa…
Il paese è un po’ una famiglia
Un paese è una famiglia allargata: ci si conosce tutti. E tutti piangiamo quando qualcuno ci lascia, ci diamo una mano quando seve, come in questo caso della pandemia Covid. Non siamo speciali: siamo umani!
Mi auguro che possiamo essere d’esempio. Come spero vivamente che la montagna venga davvero scoperta, non rivalutata che è parola logora e non s’addice al nostro modo di vivere: dovete essere voi a fare un passo indietro, capendo che quassù, come tutti i piccoli o medi paesi di montagna, si vive ancora secondo ritmi dettati dalla quotidianità, dall’uso pratico del bisogno, circondati da un ambiente ostile ma unico, inimitabile e impareggiabile: quello che fa tornare al proprio paese gli emigrati, quell’aria che solo quassù si respira, quel dialetto che imparato non si dimentica e si porta lontano, nel cuore.
Mi auguro che questo virus ci renda migliori: perché, come disse Peppe il matto “Non tutti i mali vengono per nuocere”.