Editoriale  |  dicembre 7, 2019

Il futuro della montagna? Buoni studi, nuove tecnologie e antichi saperi

Oggi le tecnologie avanzate sono alla portata di tutti. Le Istituzioni potrebbero essere d'aiuto facilitando le procedure burocratiche e l’accesso al credito. Fondamentale anche la presenza degli anziani accanto ai giovani: la montagna è un ambiente complicato e l’esperienza di chi sa fare un mestiere è insostituibile

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Studenti dell'istituto omnicomprensivo di San Marcello ad una mostra

Tutti distratti

A tutti sarà capitato di passare cento volte dalla stessa via e non aver mai notato un’insegna, un albero e perfino un edificio: cose macroscopiche che sembra impossibile non vedere. Capita perché ci si muove sempre in macchina e spesso con la testa chissà dove. Ma basta fare lo stesso percorso a piedi una sola volta per sorprendersi di quanti aspetti infinitamente più piccoli si possano cogliere. Proprio come succedeva un tempo sui nostri monti, dal momento che si andava sempre e solo a piedi e guardarsi intorno finiva per essere un esercizio utile per memorizzare e raccontare poi ogni “novità” incontrata sul percorso o, semplicemente, per sentire meno la fatica.

L’osservazione del lavoro degli altri

D’altra parte l’attenzione puntuale a tutto quel che succedeva intorno nasceva spontanea in chi non era certo bombardato da notizie come succede oggi – tra media, social e telefono chi si salva? – e proprio dall’aver visto o ascoltato direttamente poteva trarre di che argomentare a sua volta. Succedeva così anche sul lavoro, dove la prima fonte di apprendimento consisteva nell’osservazione attenta di chi sapeva fare bene il proprio mestiere, e chi poteva contare su un buon maestro poteva ritenersi un privilegiato perfino nei lavori dove c’era da spaccarsi la schiena.

L’uso della leva ad esempio. Possiamo star certi che nessuno su questi monti fino ad anni recenti abbia mai sentito parlare di Archimede e dei generi della leva: ciò malgrado c’era gente che il palanchino lo sapeva muovere ad arte come la bacchetta un direttore d’orchestra.

Imitare e acquisire conoscenze

In poche parole i saperi si acquisivano per imitazione, provando e riprovando. L’estro personale in un mestiere o la poliedricità del saper fare bene più cose veniva poi, e non per tutti. L’esperienza quotidiana del fare cominciava presto sui nostri monti, e quel presto significava che si lavorava ancora prima dell’età scolare e si diventava vecchi lavorando sempre, e non certo otto ore al giorno.

I vecchi buoni “insegnanti” di vita

Vero è che i pochi sopravvissuti che hanno cominciato a lavorare da bambini avrebbero tutto da insegnare ai giovani d’oggi, ma l’attuale società vuole che gli anziani rincoglioniscano davanti al televisore piuttosto che vengano impiegati sapientemente a far scuola ai giovani, trasmettendo loro i saperi fondamentali per vivere su questi monti.

La fuga dei giovani dalla montagna

Che i giovani per primi non ne vogliano sapere di rimanere quassù a far la vita di una volta è storia vecchia e lo testimoniano intere generazioni che a partire dal primo dopoguerra han fatto fagotto per non tornare più. Lavorare all’aperto in prevalenza e sotto tutti i tempi, lavorare dodici ore al giorno, muoversi a piedi e sempre carichi come somari non sono certo condizioni oggi proponibili. Come non è ammissibile lavorare da bambini. Ma una volta cresciuti e fatte buone scuole – cosa fondamentale nella vita – si possono fare anche scelte coraggiose quali intraprendere attività legate al territorio: attività che potrebbero contemporaneamente dare di che vivere e contrastare il degrado ambientale in atto da troppo tempo sull’intera montagna pistoiese, e non solo.

Buoni studi, nuove tecnologie e antichi saperi

Oggi le tecnologie avanzate sono alla portata di tutti e sicuramente conta di più la testa che la forza dei muscoli. S’intende che le Istituzioni dovrebbero fare la loro parte, facilitando le procedure burocratiche e l’accesso al credito.

E gli anziani di cui dicevamo? La loro presenza accanto ai giovani sarà fondamentale per passare dal dire al fare. Perché la montagna è un ambiente complicato (bisogna stare attenti anche a dove si mettono i piedi) e l’esperienza di chi sa fare un mestiere è insostituibile, talvolta perfino prevalente.

Come ebbe a sostenere il buon Toniaccio (lui analfabeta) rinfacciando al figlio di non saper spaccare un tronco con le due sole mazzate necessarie: “Accidenti a me, Giulio, che t’ho fatto studiare” (va precisato che il Giulio in questione era arrivato sì e no alla terza elementare).

Al giorno d’oggi buoni studi, nuove tecnologie e antichi saperi possono davvero costituire messi insieme una risorsa incomparabile per far ritornare la vita sui nostri monti e riportare il territorio alla bellezza suggestiva che prima dell’abbandono mille anni di mani esperte avevano saputo far risaltare ovunque, anche negli angoli più sperduti.


La Redazione

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