Personaggi e Interpreti  |  giugno 24, 2019

Trieste 1768: il cuoco di Campiglio e quella frettolosa condanna a morte

Il racconto di un fatto di cronaca nera di due secoli e mezzo fa: l'omicidio di Johann Joachim Winckelmann, concluso con la pena capitale per Francesco Arcangeli. Le coincidenze del loro incontro. La breve frequentazione. L'assassisio. La fuga del pistoiese, la cattura e la confessione. Il movente: omicidio a scopo di rapina. L'interrogatorio e i passaggi salienti del processo. Le interpretazioni storiche sul fatto. L'interpretazione dell'autore

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La vittima

Quello che pubblichiamo di seguito è un racconto, quasi un saggio breve, al quale ha lavorato pazientemente il nostro collaboratore Domenico Arcagneli, su un fatto risalente a due secoli e mezzo fa, a Trieste. Protagonista della drammatica vicenda un cuoco pistoiese, nato a Campiglio di Cireglio, omicida confesso – e condannato a morte – ma in circostanze poco chiare e con un processo molto discutibile.

 

IL CONTESTO STORICO

Trieste nella seconda metà del ‘700 è snodo di commerci, crocevia di popoli e terra di incontro tra culture diverse. Già dal 1719 è dichiarata “porto franco” e per questo speciale tipo di statuto ivi si possono compiere una moltitudine di operazioni senza pagare dogana.

E’ in questo periodo che la città giuliana raggiunge il picco massimo di prosperità assumendo le caratteristiche di realtà mitteleuropea. Al progresso economico si affiancano politiche di tolleranza verso gli stranieri e piena libertà religiosa. La vita ritmata della borghesia mercantile s’intreccia con la presenza di personaggi internazionali. La vasta libertà religiosa si snoda tra voci di navigatori, spie veneziane e burocrati imperiali.  Il porto è spesso falciato dalla bora e dallo scirocco e le occasioni, anche per questo motivo, sono molteplici per bere un caffè nelle caffetterie. Si racconta che proprio in queste caffetterie si contrattava, si barattava e spesso si barava.

Dunque in questo particolare contesto storico e sociale, la città si presta facilmente ad essere luogo di intrighi, intrallazzi, misteri, torbide vicende, scandali e fatti di ben più grave portata.  Si arriva così al giugno del 1768 quando Trieste venne profondamente scossa, da un gravissimo fatto di cronaca nera che vide come protagonisti un’emerito sconosciuto e un personaggio molto illustre.

I DUE PRINCIPALI PROTAGONISTI

Chi sono questi due personaggi protagonisti di un caso che combina l’ordinario con l’insolito? Lo sconosciuto è Francesco Arcangeli e l’illustre è Johann Joachim Winckelmann.

Francesco Arcangeli – Francesco Arcangeli nacque a Campiglio di Cireglio (frazione del Comune di Pistoia) il 18 maggio del 1737. Di umili origini svolgeva la professione di cuoco cercando fortuna in ogni dove. Negli anni ’60 del XVIII secolo lo troviamo a Vienna dove esercita la sua professione presso il Conte Cataldo. E’ qui che impara la cucina tipica di questa regione; quella più ricca per il Conte ma anche quella più popolana. Avrà sicuramente preparato il manzo bollito, il gulyas, le Wiener Schnitzel piuttosto che minestre dense di verdure cucinate per ore e che saziano di più.

Si sarà cimentato anche nella pasticceria preparando i Warme Knodel, gnocchi ripieni di prugne o albicocche serviti con burro fuso, ma non sapremo mai con quale risultato.

Francesco Arcangeli non è di bell’aspetto, ha fronte bassa, faccia olivastra e vaiolata, occhi scuri, ciglia nere e naso curvo. Di statura ordinaria e scarno di vita, porta la barba e i capelli raccolti in coda.

Veste prevalentemente calzoni di lana ed una velata con bottoni di metallo bianco.

Johann Joachin Winckelmann – Johann Joachin Winckelmann nacque a Stendal (Prussia), nell’ attuale regione della Sassonia in Germania, il 9 dicembre del 1717. La sua famiglia era di modeste origini luterane, il padre un ciabattino, la madre figlia di un tessitore. Si dedicò fin da giovane allo studio favorito da doti naturali non comuni e si formò brillantamente all’Università di Halle e di Jena.

E’ considerato uno dei più importanti storici dell’arte, il fondatore dell’archeologia e l’esponente di spicco del Neoclassicismo, insomma all’epoca era un gran personaggio.

Per quello che più strettamente ci riguarda per capire e/o interpretare meglio lo sviluppo di quello che andrò a raccontare, J.J. Winckelmann divenne inoltre bibliotecario del cardinale Alessandro Albani, a sua volta bibliotecario del Papa, e nel 1763 nominato Prefetto delle antichità del Vaticano.

J.J. Winckelmann è senza dubbio di bell’aspetto, alto e longilineo. Il viso allungato con capelli cortissimi e brizzolati. Gli occhi marroni riflettono sincerità ed onestà ed il collo snello dona a lui grazia ed eleganza riscontrabile anche nel modo di vestire.

Probabilmente portava la parrucca come di moda nel periodo ed indossava frequentemente camicie guarnite con manighetti, calzoni di pelle nera, velate con bottoni di pregio.

 

Prima riflessione: questi due personaggi non hanno niente in comune a parte le umili origini che però non hanno alcun significato per la nostra storia.

 

PERCHè ENTRAMBI SI TROVAVANO A TRIESTE?

Francesco Arcangeli esercita la professione di cuoco prevalentemente a Firenze presso il Conte Bardi e presso casa Baldinotti. Inizia successivamente a lavorare a Vienna, a Venezia e ancora Vienna presso il Conte Cataldi.

Autore di un furto presso quest’ultima residenza fuggì in direzione Graz e Lubiana vestito da ungherese. Qui, riconosciuto, fu arrestato, processato e condannato a 4 anni di lavori pubblici.

Bandito successivamente da Vienna, dall’Impero e dalla Stiria non aveva altra scelta che prendere direzione sud ed uscire dagli “Stati tedeschi”.

Si trova così in una situazione di indigenza, disoccupazione e con precedenti penali. Trovare lavoro non è facile. Pensa che una città di mare con un importante porto, possa offrirgli opportunità d’impiego. Sceglie così Trieste e trova, in attesa di un nuovo lavoro e nuova residenza, alloggio alla “Locanda Grande” stanza N° 9.

Nel marzo del 1768, in un clima di crescenti tensioni intorno alll’ordine dei gesuiti , il cardinale Albani chiede a Winckelmann di consegnare dei documenti segreti all’Imperatrice d’Austria Maria Teresa a Vienna e di riportarne altri a Roma.

Winckelmann, dopo un estenuante viaggio, consegna i documenti segreti ed in riconoscimento al servizio fatto e alla sua brillante carriera gli vengono donate alcune medaglie d’oro e d’argento.

Gli vengono affidati anche dei documenti segreti, sigillati, da riportare quanto prima in Vaticano. Winckelmann adotta quindi un piano di rientro veloce. In incognito parte da Vienna e passando per Tarvisio arriva a Trieste dove avrebbe dovuto imbarcarsi per Ancona. Da qui con una diligenza raggiungere la Città Eterna nei tempi previsti non dovrebbe essere cosa difficile.. Ma qualcosa va storto.

Quando arriva a Trieste il 1° giugno 1768 non c’è nessuna nave in partenza per Ancona e quindi è costretto a fermarsi ed alloggiare alla”Locanda Grande” per almeno una settimana. La sua stanza è la n° 10.

 

Seconda riflessione: a volte una semplice coincidenza, l’accadere fortuito di circostanze diverse, la commissione di un piccolo reato, una nave già partita, ti portano ad uno scenario di vita completamente diverso. Vi ricordate il Film “Sliding Doors”? Helen che perde per un soffio la metropolitana ed anche la Helen che riesce a salire sulla metropolitana?

E come può cambiare per un non nulla la vita?

Se Winckelmann non avesse perso la coincidenza per il porto di Ancona nel giugno del 1768 sarebbe giunto a Roma, se F.Arcangeli non avesse commesso il furto sarebbe rimasto a lavorare a Vienna.

Invece si ritrovano entrambi a Trieste, nella stessa Locanda, uno nella stanza n° 9 e l’altro nella stanza n° 10. Questa serie di coincidenze stravolgerà per sempre il loro percorso e la loro esistenza!

COSA SUCCEDE DAL 1 AL 7 GIUGNO DEL 1768

Il primo incontro tra F. Arcangeli e J.J. Winckelmann avvenne il 2 giugno all’ora di pranzo. Entrambi seduti intorno ad una tavola rotonda insieme ad altri commensali non scambiarono nessuno tipo di dialogo essendo divisi da un “forestiero” di Gorizia.

Il giorno seguente (3 giugno) i due protagonisti di questa vicenda si ritrovarono invece seduti di fianco ed iniziarono a scambiare quattro chiacchere mentre mangiavano zuppa e lesso accompagnati da un “ombra de vin”. L’approccio fra i due personaggi è immediato e subito amichevole, come se si fossero “già visti” o “già conosciuti”. Verremo a sapere successivamente che l’argomento verteva sulla necessità da parte di Winckelmann di trovare quanto prima una nave in partenza per Venezia o per Ancona. Trascorsero il pomeriggio alla caffetteria da “Gasparo” e cenarono nella stanza n° 9 dell’Arcangeli. Per tutta la settimana il cliché era più o meno questo: in giro per la città, sosta nelle diverse caffetterie, cena nella stanza della “Locanda Grande”. Winckelmann si confida presto con il “pistoiese”, gli racconta del sostegno dei banchieri di Venezia per garantire la continuazione del suo percorso verso Roma, gli parla del suo recente viaggio a Vienna per affari, e delle medaglie d’oro e d’argento regalategli dall’Imperatrice d’Austria. Sembra che l’Arcangeli di fronte a tutte queste confidenze gli abbia detto “sic et simpliciter”: “Sono qui per servirLa”. Il pistoiese F. Arcangeli incontrando questo forestiero tedesco s’immagina un prossimo miglioramento della propria vita, s’immagina un impiego tra il cameriere ed il confidente che lui saprebbe sbrigare benissimo. E’ per questo che lo ascolta, lo accompagna in giro, gli sta vicino. Cosa ha in mente Winckelmann non lo sa, forse lo immagina, oppure lo ha intuito fin dall’inizio e fa “orecchie da mercante”.

 

Terza riflessione: l’immediato rapporto amichevole non esclude che i due, per un’altra fortuita coincidenza, si fossero già incontrati magari a Vienna dove l’Arcangeli lavorava come cuoco e il Winckelmann spesso vi si recava per “affari”. Che argomenti di conversazione poteva avere in comune uno studioso ed esperto del pensiero classico ed esteta con un cuoco incolto? Di cosa s’intrattenevano nella familiarità in camera e al caffè? Perchè Winckelmann viaggia in incognito mentre all’Arcangeli racconta tutto e subito? Perchè Winckelmann sente il bisogno di rassicurarlo che è un galantuomo? Cosa unisce due personaggi provenienti da contesti sociali così diversi? L’opportunismo, il calcolo, oppure la capacità di comprendere bene lo stato d’animo dell’altro?

 

IL FATTACCIO DELL’8 GIUGNO

Si giunge così a mercoledì 8 giugno. Winckelmann passa il tempo, in attesa di partire per Ancona, a sbrigare lavori di scrivania. F. Arcangeli è nella stanza n° 9. Contrariamente alle altre mattine non sono usciti insieme per il solito caffè da “Gasparo”.

Il cameriere Andrea Harthaber, impegnato nel suo lavoro di riporre le posaterie, avverte un trambusto e strani rumori e grida provenienti da una stanza della “Locanda” presumibilmente la n° 10. L’Harthaber sale velocemente al piano superiore, va dritto al n° 10 ed inizia ad origliare alla porta. Sente nitidamente rantoli affannosi, si fa coraggio e spalanca la porta. Quello che vede rimarrà per sempre nella sua memoria e nei suoi occhi: il “Signor Giovanni” (così Winckelmann si era fatto registrare all’albergo) disteso a terra in una pozza di sangue e l’Arcangeli con una gamba inginocchiata e le mani sopra il petto dello sventurato. L’Arcangeli accortosi dell’intruso lo spintona e fugge via mentre il cameriere Harthaber si preoccupa delle condizioni del ferito. In un primo momento Winckelmann si alza da terra e percorre anche qualche gradino di scale ma si evidenzia subito che la situazione è disperata. Mentre si fa urgente la ricerca di un medico, gli sfaccendati di quell’ora sanno dove andare. C’è una gran quantità di gente nella stanza n° 10, formano quasi un cerchio intorno al ferito. La situazione è molto confusa ma finalmente arriva il medico (il Chirurgo Benedetto) che cerca di fare l’impossibile e bloccare l’emorragia con bende e “chiaro d’uovo”.

Nel frattempo le forze dell’ordine cercano di capire la vera identità del ferito. Lo capiranno dal passaporto che trovano nelle sue borse: “Joanni Winckelmann Praefecto Antiquitatum Romae”.

Winckelmann sapendo di dover morire ma soprattutto preoccupato di dover spiegare perché moriva in quel modo ebbe comunque la forza di confessare che il suo assassinio era “l’uomo della stanza accanto”. Morì alle ore 16 dello stesso giorno.

A questo punto è soltanto dell’omicida che ci si preoccupa. Le testimonianze sono univoche, se ne conosce il nome, il mestiere ed è possibile divulgarne anche i connotati.

F. Arcangeli fuggito rocambolescamente da Trieste è stanco, affamato, senza complici, senza passaporto. E’ arrivato in Istria ed è qui che, esausto, “cerca di farsi arrestare”. Crollerà al primo interrogatorio.

 

Quarta riflessione: la mattina dell’8 giugno i due protagonisti di questa vicenda non escono come al solito a prendere il caffè insieme: è successo qualcosa la sera prima? Si è incrinata la loro amicizia? Perchè F. Arcangeli uccide Winckelmann nella stanza n° 10 correndo il rischio di essere facilmente scoperto? Ha premeditato l’assassinio? E perchè poi, Winckelmann non rivela subito le sue generalità: ha qualcosa da nascondere anche alle forze di polizia? Indicando l’omicida come “l’uomo della porta accanto”, senza indicarne il nome, vuol mettere in chiaro che non lo conosce?

 

ALCUNI PASSI DEGLI ATTI DEL PROCESSO

Il processo dell’Arcangeli si svolse in 15 giorni nell’”Ufficio Criminali” presso la Cancelleria Pretoriale. Venne trascritto in 150 fogli con allegati 13 documenti tra cui i disegni del coltello e della corda usata per il tentativo di strangolamento. Da un punto di vista legale, il processo illustra un sistema giudiziario rigoroso ed in grado di gestire un fatto così grave. Con delle evidenti lacune che vedremo nel prosieguo dell’articolo.

Vengono convocati molti testimoni diretti ed indiretti di questo efferato omicidio e tutti vengono ammoniti di dire la verità mediante giuramento.

Andrea Harthaber (cameriere). “Salito le scale e portatomi alla porta di detta camera n° 10, quale era soltanto chiusa col saltarello, et aprendola vidi, che quel Signore, che fu amazato, era disteso a terra, et l’altro, che alloggiava al n° 9 con un piede ginochiato stava con le mani sopra del suo petto, ma appena questo vedendo aprirsi da me la porta, subito s’alzò in piedi e correndo verso di me, mi diede una spinta, che mi gettò a parte e se ne fugì fuori dalla camera.”

Ancora Harthaber: “ Quello che abitava al n° 9 era già da 10 e più giorni che era alloggiato in nostra osteria e che diceva d’esser venuto da Venezia. Sembrava d’esser un buon uomo, era quieto, non sortiva di notte tempo e non dava incomodo ad alcuno”.

Antonio Vanin. “Nel giorno antecedente l’omicidio andai nella bottega dei cordaroli Fratelli Bozini e capitò in quel mentre quel forestiere che stava alla stanza del n° 9 e comprò uno spago sforzino e dopo compratolo se ne andò via”.

Tomaso Bozini (cordarolo). “ Ho venduto mediante il mio Putto non so se due o tre soldi di spago il giorno antecedente verso la sera nella mia bottega a quel farastiere che albergava all’osteria grande”.

Leopoldo Kimpacher (giovane di bottega di coltelli). “ La sera del giorno avanti l’omicidio è venuto in bottega detto forestiero ricercando di voler comprar un coltello.Io glie ne feci vedere diversi, egli se ne scelse uno, contrattò con me e lo pagò avendomi dato nove trajeri, indi se ne partì”.

Giacomo Viezoli (proprietario di un bastimento). “ Sono conoscente di F. Arcangeli che avanti un anno e più s’imbarcò nel mio bastimento con quale lo condussi da Venezia a Trieste. Mercoledì verso le ore nove di mattina venne da me questo Francesco e mi pregò di dargli un cajchio o battello per farlo trasportare verso Duino dicendomi che fra poco sarebbe venuto per imbarcarsi. Avendogli io risposto che non potevo servirlo senza dirmi altro se ne partì”.

Teresa Paumeister (cameriera). “Discorrevano assieme famigliarmente come due buoni amici, sempre stavano assieme et andavano sempre unitamente a spasso”.

Gasparo (caffettiere). “Qualche giorno prima che succedesse questo omicidio, quel uccisore venne in mia caffetteria solo e mi chiese se conoscevo chi fosse quel suo compagno che con lui spesso veniva a prender caffè. Avendogli detto io di non saperlo, lui aggiunse che voleva saperlo perchè aveva delle monete d’oro e d’argento ed una scatola sigillata per il cardinal Albani. Avendogli detto che io nulla sapevo se ne partì”.

 

Quinta riflessione: le testimonianze rese dai vari personaggi sono fedeli e sincere. Vengono tutte riscontrate. Le prove sono schiaccianti ed anche la premeditazione sembra ormai una cosa certa. L’acquisto della corda e del coltello, la richiesta di informazioni di chi può essere uno con medaglie d’oro e la preparazione del piano di fuga.

Apparentemente sembra anche chiaro il movente: omicidio a scopo di rapina.Ma sarà poi così tutto chiaro?

 

INTERROGATORIO SERRATO A FRANCESO ARCANGELI

Francesco Arcangeli viene sottoposto, al processo, ad una serie incalzante di domande; vediamole:

Quando, come e in qual maniera ha fatto conoscenza con detto “Signor Giovanni”?

Non avendolo mai visto prima se conosceva il nome e il cognome di lui?

Detto Sig. Giovanni Le ha mostrato le medaglie d’oro e d’argento?

Perchè se ne è andato via dalla residenza viennese del conte Cataldi?

Le ha offerto un caffè?

Parlando con il caffettiere Gasparo ha indagato su di lui e ricercare qualche notizia?

Aveva intenzione di partire da Trieste e quando? E con quale mezzo?

Quando arrivato a Triste aveva bagagli e zecchini?

Quanto spendeva all’Osteria?

Quanti soldi aveva il giorno successivo all’omicidio?

Dove è rimasto il coltello con quale dette le coltellate?

Descriva il coltello?

Come e in che maniera aveva presso di sé il coltello?

Perchè è fuggito senza velata, senza cappello e senza la sua roba?

Ha comprato qualche sorta di spago, dove e in che quantità?

Ha comprato il coltello qui a Trieste?

 

L’Arcangeli risponde a questo fuoco di domande in maniera netta, chiara e dettagliata. Confessa fin da subito l’omicidio ma cerca fino all’ultimo di negare la premeditazione, venendo però smentito dai fatti e dalle testimonianze.

Passaggio chiave della deposizione di Arcangeli

“Io la verità non nego, che io non ho ricercato di fare amicizia con il Sig. Giovanni, ma lui ha ricercato a me. Lui mi ha confidato tutto ciò che ho deposto, d’esser stato mandato a Vienna, d’aver avuto quelle medaglie e questo a me non importava, non l’ho pregato che me le mostri. Io le ho detto che non stava bene di raccontare queste cose. Lui credeva che io fossi una spia. Lui non mi ha fatto male, se non con quelle parole di spia, offendendomi. Quella mattina stessa io trasportato dalla collera gli sbalzai addosso con le mani e prendendolo per l’abito gli gettai una piccola corda al collo. Avendo dato lui a me una spinta e si levò la corda dal collo. Dandomi un calcio nel schincho, così preso dal dolore, cavai il coltello dalla scarsela e gli diedi non so quante cortellate. Credo due o tre salvo il vero, non so se nel petto o più in basso. Essendo sopraggiunto il servo dell’osteria sulla porta della camera guardando come un allocco me ne fuggii. Io questo non ho fatto per prendere li denari o quelle medaglie mostratemi. Se io avessi avuto tal pensiero avrei potuto ammazzarlo la sera quando cenavino insieme o massimo quando tutti erano alla Comedia. Se il Giovanni non mi avesse fatto prendere questa amicizia io non ricercavo e non sarebbe successo questo caso ma me ne sarei già partito più di cinque, sei giorni e pagando l’oste di tutto quello mi fece debitore. Questa è la verità, ne io ho altro”.

 

Sesta riflessione: l’interrogatorio serrato, puntuale e alla continua ricerca di particolari a volte anche insignificanti, è a “senso unico”. L’interrogatorio non va “oltre”. L’obiettivo è solo quello di dimostrare un omicidio a scopo di rapina. Vengono tralasciate domande, sia ai testimoni che all’imputato, sull’ amicizia dei due così intensa in pochi giorni, sulle loro continue passeggiate in centro, sui loro frequenti caffè alle caffetterie, sulle loro cene insieme nella stanza n° 10 e n° 9.

La pubblica accusa e i giudici hanno forse capito che è un processo scomodo, data l’importanza a livello internazionale di J. Winckelmann, e vogliono percorrerlo nel più breve tempo possibile ed alle loro indicazioni?

 

LA SENTENZA

Il Cesareo Regio Tribunale Civico provinciale di Giustizia in Criminalibus dell’Imperial Regia Città Maritima di Trieste e sue Dipendenze “sentenzia e condanna l’inquisito Francesco Arcangeli reo convinto e confesso dell’atroce, premeditato, fraudolento, proditorio omicidio nella persona di Giovanni Winckelmann per rubbagli due medaglie d’oro e due d’argento nell’ordinaria pena della ruota dal di sopra all’ingiù, cosicché fracassate, conquassate le di lui membra, veramente muoia e sia separata l’anima dal corpo.; quel suplizio debba soffrire per mano del carneficie sopra il palco su di questa piazza, et avanti la così detta Osteria Grande, luogo del comesso orrido misfatto et in apresso sia e resti esposto il di lui cadavere sopra pubblica ruota alla Majna publica destinata per loro solito de suplicij ex causis.

Con che il tutto serva al malfattore Arcangeli di pena ben meritata et univeralmente a tutti di terrore et esempio perché ogn’uno si guardi da simili scelerati misfatti”.

 

Settima riflessione: riconosciuta anche la premeditazione, all’Arcangeli viene comminato il massimo della pena. Il movente è il furto delle medaglie e l’omicidio a tradimento. I giudici hanno ottenuto quello che volevano: chiudere un processo “scomodo” con una sentenza che sia di esempio per tutti. Da notare il cinismo ed il sadismo nella descrizione della ruota con tanto di membra che verranno conquassate. Era meglio se questi giudici avessero letto “Dei delitti e delle pene” (analisi giuridica dell’inutilità della tortura e della pena di morte) pubblicato appena 4 anni prima da Cesare Beccaria.

 

ESECUZIONE DELLA PENA TRA PERDONO E AGONIA

La sentenza viene applicata il 20 agosto nello stesso giorno della settimana ed alla stessa ora di quando fu commesso il delitto. Condannato come detto al supplizio della ruota, l’assassino di Winckelmann muore sulla piazza centrale ed il suo corpo esposto al pubblico.

Si racconta che una volta sul palco davanti all’”Osteria Grande” con un tono di voce echeggiante per l’intera piazza l’Arcangeli chiese perdono per il suo delitto a Dio, alla giustizia ed al popolo.

Le parole del perdono furono così gentili, sincere e nobili da indurre alcuni presenti a piangere.

I dolori strazianti della ruota, l’imminente agonia ed il perdono portarono “il cuoco assassino” ad una morte comunque rassegnata ed “in pace con se stesso”.

 

Ottava riflessione: se l’assassinio di Winckelmann fosse avvenuto qualche anno dopo e nel Granducato di Toscana, sua terra di nascita, Francesco Arcangeli avrebbe avuto salva la vita. Il Granduca Pietro Leopoldo, eroe del riformismo, modificò infatti il codice penale abolendo la pena di morte. Dal novembre del 1786 la Toscana non indosserà più l’abito nero del boia.

Ma come sappiamo dei Se sono piene le fosse.

 

VARIE INTERPRETAZIONI STORICHE SUL FATTO

251 anni dopo questo omicidio rimangono ancora diverse domande sui veri motivi del crimine.

Il movente del delitto è stato davvero pecuniario? O fu un omicidio passionale da nascondere perché coinvolgeva un ausiliario del clero? Winckelmann era una spia al servizio del cardinale Albani o lo era Arcangeli assoldato dai gesuiti che avrebbero voluto intercettare la consegna dell’atto di scioglimento del loro ordine religioso?

Le circostanze di questa morte inaudita, mai del tutto chiarite, hanno alimentato così le ipotesi più disparate e, consentitemi il gioco di parole, più disperate da parte di chi è abituato ad seminare zizzania.

Analizziamo brevemente alcune ipotesi ed alcune incongruenze:

Delitto pecuniario: F. Arcangeli avrebbe semplicemente potuto rubare le medaglie senza premeditare l’assassinio. Aveva già rubato in passato e la seconda volta il furto lo avrebbe fatto con più destrezza.

Delitto passionale: per alcuni è verosimile un’altra verità taciuta per non disonorare la memoria della vittima e l’anima del carnefice e cioè una relazione tra un individuo rozzo dai trascorsi burrascosi e un uomo tra i più colti e raffinati del tempo in una spirale di sesso e carnalità. Qualcuno ricordò episodi compromettenti ma tale era il rifiutodi accettarli che si preferì seppellirle per sempre.

Ordine Gesuiti: la soppressione della Compagnia dei Gesuiti era ben vista dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria ma sgradita a Giuseppe II d’Asburgo Lorena. Chi meglio di Winckelmann, convertito al cattolicesimo, poteva fare da tramite di una questione così spinosa? Finì per questa ragione in un gioco più grande di lui. Fare il messaggero tra Roma e Vienna, tra la Santa Sede e l’Impero non era probabilmente adatto a lui solito a raccontare tutto a tutti. Anche all”Arcangeli raccontò dettagli del suo viaggio, l’incontro con Maria Teresa ed il ministro Von Kaunitz. Il regalo delle medaglie d’oro e d’argento. Insomma Winckelmann si sarebbe trovato al centro di una guerra diplomatica tra Papato e Impero, tra visioni illuministe e spinte anticlericali.

Il ruolo del principe Von Kaunitz: questo ministro degli esteri non solo pretese di essere informato giornalmente sullo svolgimento del processo, ma chiese che gli fossero spediti tutti gli averi del Winckelmann prima della loro consegna al cardinal Albani. Richiesta che spalancò il sospetto sulla presenza di documenti molto compromettenti e di qui il sorgere di un intrigo internazionale degno del migliore A. Hitchcock.

Morte naturale: qualcuno ha perfino ipotizzato che Winckelmann.era già morto di malattia a Vienna. In precedenza aveva annullato un viaggio in Germania a causa della sua depressione e febbre alta. Uno sconosciuto gli avrebbe rubato il passaporto e le medaglie ed insieme all’amico F. Arcangeli sarebbe andato a Trieste. Qua si sarebbe consumato un omicidio tra criminali.

Interpretazione di D. Fernandez (scrittore francese): Fernandez .parla di “collasso di colpevolezza”. In sostanza Winckelmann ebbe rapporti sessuali con l’emerito sconosciuto ma in punto di morte si vergognò della propria “caduta”. Trafitto da sette coltellate Winckelmanns sembrò soprattutto preoccupato di avvalorare la versione secondo cui ad assalirlo era stato un ladro e non un amante.In sostanza si preoccupò di uno scandalo postumo.Non pronunciò mai il nome del suo assassino in fuga, quasi si augurasse che sfuggisse alla cattura, che la loro coppia funesta rimanesse anonima in eterno.

Winckelmann e la contraddizione estetica: Winckelmann era una “luce”. Esaltava da anni i canoni della bellezza umana, specialmente virile,trasmessaci dai greci. Il contrasto con il trentaquattrenne F.Arcangeli, bruttino, butterato dal vaiolo, turpe e vile era fin troppo evidente.E’ lecito chiedersi allora come mai,un cultore del sublime anatomico sia precipitato ai piedi di un individuo sgradevole. Ancora Fernandez a questa domanda risponde sostenendo che Winckelmann venne colto da una sorta di “vuluttuoso delirio”, di caduta nella sordida concretezza carnale”.Si smarrì tra le braccia di un losco individuo,incontrato per caso, per poi vergognarsene in punto di morte.

 

LA MIA INTERPRETAZIONE

Anche io, dopo aver letto gli atti del processo e la bibliografia del caso, mi sono posto delle domande, che sono più o meno quelle emerse da questa ricerca, per dare un’interpretazione a questo evento criminoso.

Le domande più pertinenti, a mio avviso, sono:

Perchè F. Arcangeli, che dichiara di aver intravisto un impiego presso Winckelmann come servitore e confidente, premedita l’omicidio?

Perchè F. Arcangeli che ha intenzione di rubare le medaglie d’oro e d’argento compra un coltello e una corda quando il furto poteva essere fatto con maggiore destrezza?

Sfumata l’ipotesi di fare il servitore presso il Winckelmann, per aver intuito il carattere “ambiguo” di quest’ultimo, decide che può arricchirsi in breve tempo solo ed esclusivamente con il furto delle medaglie. L’acquisto, nei giorni precedenti, del coltello e della corda è solo per garantirsi ed assicurarsi una fuga da un furto riuscito male. Mi spiego meglio: F. Arcangeli ha ormai preso la decisione di rubare le medaglie, ovviamente quando Winckelmann non si fosse trovato nella sua stanza n° 10.

La corda ed il coltello avrebbero garantito la riuscita del furto se Winckelmann o altri lo avessero sorpreso. Quella mattina però non solo Winckelmann si trovava nella sua stanza, ma lui stesso iniziò ad offendere l’Arcangeli, deridendolo continuamente con il dispregiativo di spia. A questo punto “il cuoco pistoiese” perde il controllo e preso da un violento atto di collera e raptus improvviso lo uccide non portando neppure a termine il furto.

 

Bibliografia:

L’assassinio di Winckelmann – Gli atti originali del processo criminale (C. Pagnini e E. Bartolini)

Signor Giovanni – D. Fernandez

Commentationes Historiae Ivris Heleticae (Universitè de Geneve)

Trieste Asburgica – Storia locale

Winckelmann Privato (Università degli Studi di Trieste)

In morte di un archeologo (P. Pieri e P. Bonifacio)

Mdr – Sachsen Anhalt

Il sepolcro di Winckelmann in Trieste (D. De Rossetti)

Cimiteri – storie di rimpianti e di follie (G. Marcenaro)


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