Trasmettere, studiare, conversare, comunicare e ancora studiare, studiare e studiare. In occasione della ristampa del libro di Sergio Gargini “Non son poeta e non ho mai studiato, cantate voi che siete alleterato” conosciamo meglio questo personaggio forte della Montagna. Ancora oggi presente con la sua eredità culturale. Possiamo provare a farlo attraverso i ricordi di chi lo ha conosciuto e stimato.
La sua formazione
La formazione di Sergio parte dalle scuole medie frequentate a San Marcello dove c’era ancora il latino. La famiglia scelse però per lui il proseguimento all’ITI in previsione di un suo ingresso nell’azienda dei genitori. Una azienda artigiana di minuteria metallica e bandelle in stile.
Arrivato alla fine però si impose e scelse di tornare alla cultura umanistica e si iscrisse all’Università degli studi di Trento in Sociologia.
Il primo incarico di lavoro
Terminati gli studi il suo primo incarico lavorativo fu alle Ville Sbertoli con dei contratti rinnovabili. Fu il periodo più bello della sua vita, ci racconta Anna Buonomini, sua moglie, perché ebbe modo di applicare i valori sociali in cui credeva.
All’avvento della legge Basaglia, infatti, insieme a persone come Amedeo Galluppi e Mariangela Falzin, psichiatri dell’area sanitaria pistoiese, riuscì a realizzare dei laboratori dove gli ex degenti del manicomio potevano investire il tempo nel pitturare e fare arte. Organizzarono anche residenze per chi non poteva rientrare in famiglia.
I quadri dei laboratori
Alcuni quadri dei laboratori odierni di pittura del centro diurno
Si potevano ammirare i quadri dipinti in questi laboratori nel sottopasso del vecchio ospedale, che dal viale Matteotti portava nel cuore della città di Pistoia. Sono attualmente conservati al centro diurno e sarebbe auspicabile poterli vedere, di nuovo, tutti insieme in una esposizione temporanea o magari permanente.
A proposito di questo argomento, per chi voglia approfondire, consiglio la straordinaria mostra a Lucca “Il museo della follia” per la direzione di Vittorio Sgarbi. E’ tutt’ora in corso e sarà visitabile fino a metà agosto circa.
L’importanza della legge Basaglia
La legge Basaglia (13/05/1978 legge 180) lasciò perplesse molte persone. All’epoca fu organizzato un simposio, per informare meglio, sia la gente comune che gli addetti ai lavori, presso l’auditorium del Liceo Scientifico Amedeo di Savoia Duca d’Aosta. Ci fu una grande partecipazione e fra i relatori si rese disponibile Tullio Seppilli, professore di Antropologia culturale dell’Università degli studi di Firenze e etnomusicologo presso l’Università degli studi di Perugia. Sergio lo conobbe in questa circostanza e non si persero mai di vista. Il professore curò la prefazione del libro di Sergio.
Sergio e i suoi ragazzi
Si sentiva così responsabile del suo ruolo nell’ospedale psichiatrico che per il suo matrimonio, con Anna Buonomini, avvenuto nel 1979, chiese ai medici colleghi, di partecipare portando anche chi volesse venire tra i pazienti. E vennero due giovani. Sergio si divertiva, anni dopo, a mostrare le fotografie di questi due ragazzi con il medico e chiedeva? “Indovinate chi ha problemi di mente? “E tutti, naturalmente, indicavano il medico…
Sergio era inorridito per la situazione di molti ragazzi, come quelli intervenuti al suo matrimonio, che erano stati messi alle Ville Sbertoli solo perché avevano difficoltà a parlare. Oggi sarebbero bastate visite e cure con un logopedista.
Questo atteggiamento, precoce, di amore per la gente si evidenziava già in quegli anni. Poi si sviluppò ulteriormente, negli anni successivi, con i suoi studi e approfondimenti sulla gente e le tradizioni della montagna.
I ricordi di chi lo ha conosciuto
A questo punto chiedo ad Anna com’è è nato il Collettivo Folcloristico Montano. “Il Collettivo nacque nel 1973 per festeggiare l’8 marzo la festa della donna – spiega Anna -. Allora non era un festa consumistica, ma proprio un ricordo delle donne morte bruciate nella fabbrica. Era una festa politica. Uno spettacolo semplice dove si cantavano canzoni della resistenza, di impegno politico e molte canzoni popolari.
Il secondo anno, al Cinema Reno, rappresentammo, sempre la stessa compagnia, aperta a tutti coloro che volevano partecipare, ‘Il signor Puntila e il suo servo Matti’ di Bertold Brecht. Finita questa esperienza teatrale, decidemmo di mantenere il gruppo e di continuare a cantare. Sergio aveva registrato molti canti della tradizione orale degli allora quattro comuni Montani: Abetone, Cutigliano, San Marcello e Piteglio”.
Le tante tournée
Sergio procurava le scritture per gli spettacoli e il Collettivo fece diverse tournée in giro per la Toscana e non solo. Andarono anche nelle Langhe piemontesi al “Cantè j’Euv“. Nelle Langhe conobbero Carlin Petrini e musicisti come Beppe Costa e Beppe Turletti. Grandi suonatori di Ghironda. La Ghironda è uno strumento molto antico, tipico della musica occitana. Funziona con lo stesso principio del violino. Le corde vengono mosse da una ruota che produce un suono continuo, poi una tastiera forma le note. Può produrre dalla musica popolare, medievale , ma è adatta anche al rap.
“Tra tutte le tournèe ricordo in particola quella in Umbria, ma soprattutto lo spettacolo sui canti dell’emigrazione al teatro di Solothurn in Svizzera, con tanti italiani con le lacrime agli occhi. I nostri erano canti di lavoro, di protesta, di emigrazione, maggi, ma anche saltarelli e stornellate finali che continuavano a tavola”, ricorda Moreno Seghi.
L’incontro con Caterina Bueno
Continuando la ricerca etnomusicologa, Sergio incontrò Caterina Bueno. Insieme progettarono incontri “di varia umanità”, dove attraverso la conversazione e la convivialità venivano approfonditi temi e discussioni relativi alla cultura popolare. Caterina Bueno negli anni ’60 aveva iniziato, prima degli altri, a raccogliere, registrandoli, i canti della tradizione orale di Firenze, del Grossetano e di Livorno, dove i “maggi” sono una parte consistente. Ci fu un grande scambio tra loro di idee, conoscenze e iniziative.
Il ritorno nel Cantar Maggio
Il Cantar Maggio era stato interrotto durante la seconda guerra mondiale. Sergio lo ricominciò con il Collettivo negli anni ’70. Il 30 aprile veniva fatto solo a Popiglio, per l’alta partecipazione della popolazione e per la presenza degli “informatori” di molti brani raccolti e registrati da Sergio. Poi alle Ginestre di Maresca, un locale che all’epoca era uno dei più importanti nella Montagna Pistoiese, fu organizzato “Il cantar maggio” che durava una settimana ed era dedicato alla presentazione di gruppi musicali provenienti da tutta Italia, ma si svolgevano anche conferenze, racconti di storie, incontri con personaggi: fu un grande scambio culturale.
L’attività del Collettivo durò all’incirca 10 anni. Poi la sua attività si sospese per problemi di lavoro, di famiglia e altro.
Il lavoro all’Usl
Il lavoro di Sergio proseguì come dirigente della Asl di Pistoia, senza rinunciare ai suoi amici, ai viaggi e alla sua visione del mondo. “Sergio amava essere uno stimolo per gli altri. Soprattutto i giovani – ricorda il giornalista Carlo Brdini -. Mi fece conoscere il mondo dell’ufficio stampa all’interno dell’azienda sanitaria. Come dire: questo è l’ambiente che hai scelto. Respiralo a fondo e capisci se vuoi veramente proseguire lungo questo cammino”.
La nascita del Collettivo Folcloristico Montano
Nel 2003 Sergio, anche se con problemi di salute, ebbe la volontà di far nascere di nuovo in montagna un gruppo che avrebbe accompagnato i canti da lui raccolti negli anni. Il gruppo prese, di nuovo, il nome di Collettivo Folcloristico Montano. Marco Ferrari, Davide Ulivagnoli, Roby Bargellini e altri giovani si fecero carico di portarlo avanti.
Gli ultimi mesi di vita
La salute si aggravò ulteriormente, ma nonostante questo Sergio non si fermò e negli ultimi mesi di vita, aiutato da un professore di lettere antiche, in memoria della sua bravura nelle traduzioni di latino, si mise a studiare greco antico. Ci si dedicò a tal punto che da ultimo la sua competenza gli consentiva di leggere i testi di Platone.
“Amò la montagna con ostinazione, ne studiò l’anima poetica e canora, con passione più politica che estetica”, è la chiusa finale di Andrea Dazzi.
Anche io è così che lo voglio pensare. Intento a studiare, immerso nei suoi amati libri, o sulle strade della Montagna in cerca di canti e testimoni del passato.