San Marcello è il paese dove sono nato
SAN MARCELLO – San Marcello fu abitato in epoca preromanica da liguri ed era considerato un paese non prospero. Poi, nel medioevo, le condizioni di vita degli abitanti migliorarono, tant’è che nel secolo XIII diventò libero comune. Da ricordare Francesco Ferrucci che nel 1530 tenne il consiglio di guerra a San Marcello in una abitazione, ancor oggi visibile, nella attuale Via Roma e dove ancora è visibile una targa che recita: “Peregrinus ciampalates posuit”. La casa era di proprietà dei Ciampalanti che l’avevano acquistata dai Mezzalana. Dopo il consiglio Ferrucci, per recarsi a Firenze, transitò da Gavinana dove fu ucciso da Maramaldo al quale Francesco disse la famosa frase: “Tu uccidi un uomo morto”.
L’abitato del paese di San Marcello fu dato alle fiamme perché di partito contrario tanto che ancor oggi la toponomastica in due zone del paese prende il nome di “Piazzetta bruciata” e “Port’arsa”.
Il primato nell’illuminazione elettrica
San Marcello è un piccolo paese della Toscana che arrivò primo nella corsa alla illuminazione elettrica . Infatti quando ancora né a Pistoia, né a Firenze vi era la luce elettrica, a San Marcello viveva Giovanni Cini (1778-1884) autodidatta studioso di filosofia ed economia, imprenditore, assessore, poi sindaco di San Marcello ed anche Presidente del Conservatorio Femminile di Santa Caterina, ma soprattutto persona che comprese subito i grandi vantaggi dell’elettricità.
Il nuovo sistema di illuminazione che, fra il 1884 e il 1886, era entrato in funzione anche a Roma, a Torino e a Milano, a Firenze, invece, segnava il passo, tant’è che in città si continuava a illuminare il centro e i lungarni, in regime di monopolio, con il tradizionale gas da illuminazione. Operai addetti tutte le sere andavano ad accendere i lampioni per poi spegnerli al mattino seguente.
La data simbolo del 1808
Da una visura del vecchio catasto dell’archivio storico si legge: anno 1808: Molino Cini o di Fondo, località Le Code sul fiume Limestre, proprietari Giovanni Cini e Cosimo Cini di Bartolomeo. Omettendo i passaggi successivi si giunge all’anno 1888. Una sera, esattamente il 3 giugno 1888, il cittadino benemerito Giovan Cosimo Cini (1840-1930), discendente di Giovanni, inaugura la luce elettrica al molino di Fondo. Un personaggio dell’epoca Ugolino Bargiacchi, disse fra l’altro: ”…plaudiamo che questo nostro paese sia stato fra i primi a godere della illuminazione elettrica rassomigliane al Sole e alla luce meridiana…”.
Tanti anni dopo mio padre Fenzo riportò l’avvenimento in una targa ancora appesa in una parete esterna dello stesso molino di Fondo.
Il molino costruito nel 1821 fu preso in affitto alla fine dell’ottocento dai fratelli Giuseppe (mio nonno) e Torello (mio zio) Baldassarri, entrambi mugnai, che poi lo acquistarono molti anni dopo dagli eredi Cini per la somma di lire 24.000 ed un calesse da cavallo.
Il molino
L’edificio era costruito su più piani, utilizzando la pendenza del terreno per favorire la caduta dell’acqua; al piano superiore, a livello del bottaccio, c’erano la cucina e le camere del mugnaio; sotto la stalla del mulo e il fienile e, accanto, le prime tre macine; al piano inferiore la stanza del ritrecine delle tre macine e, leggermente sfalsato, a fianco, il bottaccino e un’altra costruzione più bassa con altre due macine e, infine, la stanza del relativo ritrecine.
La gora che alimentava il tutto, lunga un centinaio di metri, partiva dall’uscita del molino di Mezzo; se ne vede ancora bene il tracciato e il punto di immissione nel bottaccio, sul lato nord-est della casa. Da qui, attraverso una condotta di terracotta, cadeva nella stanza del ritrecine che muoveva le tre macine di grano. L’acqua utilizzata confluiva nel bottaccino che azionava le altre due macine. Nella stagione invernale i cinque palmenti venivano attrezzati per macinare le castagne e il molino lavorava notte e giorno con l’aiuto di tre garzoni; la produzione era anche di tremila quintali l’anno.
Da notare che a San Marcello all’epoca vi erano tre molini, chiamati di Fondo, di Mezzo e di Cima. Erano di proprietà dei mugnai fratelli Baldassarri il primo e l’ultimo, mentre il molino di Mezzo, detto molinuzzo, era dei fratelli Rettori. Comunque il molino che creava energia elettrica e si alimentava con questa era quello di Fondo.
La centrale elettrica sulla via Modenese
Oltre alla centrale elettrica al molino sul fiume di Limestre, ne venne costruita un’altra sulla via Modenese e questa volta proprio dai fratelli Baldassarri (erano gli anni 1909-1912) nella casa dove io sono nato (adesso via Marconi) per alimentare un altro piccolo molino. Questa centralina funzionò fino all’anno 1939 e dava anche la luce ad alcune famiglie abbienti del paese (una decina) e a due lampioni nella piazza centrale che adesso si trovano semidistrutti nell’ex parco della rimembranza.
Quando giunse nel paese la Sfiac (Società Forza Idraulica Appennino Centrale) la centralina di mio nonno e di mio zio non servì più alla cittadinanza, ma rimase solo per il molino del paese fino al 1939.
La nonna e la riscossione della tariffa per la luce
Voglio raccontare adesso un aneddoto. Mia nonna era una bellissima donna con viso stupendo e con capelli fulvi, come allora si diceva, e proveniva da Vinci. Si chiamava Eugenia Salvi e di professione faceva, come si direbbe oggi, l’ostetrica (fu la prima ostetrica diplomata e stipendiata della montagna). A quei tempi si diceva levatrice o anche balia. La nonna andava con il suo calesse (che serviva per visitare le partorienti) a riscuotere la tariffa per la luce, tariffa che era proporzionale al numero di lampadine nella abitazione. Quando i proprietari la vedevano giungere dicevano: “Sta arrivando la balia a spennarci, prepariamo i soldi”. Quando poi qualche cittadino più moderno usava il ferro da stiro elettrico, grande novità per l’epoca, diminuiva la tensione su tutta la linea e quindi i miei nonni mandavano il babbo Fenzo, allora piccolo di 8 o 9 anni, a scoprire il fedifrago truffaldino, perché l’uso di tale ferro non era consentito e i clienti lo sapevano. Per inciso mia nonna morì di “spagnola” giovane appena trentenne e il mio nonno Giuseppe, follemente innamorato, non volle più risposarsi nonostante la giovane età e un figlio piccolo da accudire e educare.
Questa, in breve, è la storia di un evento di rilievo a San Marcello e, in generale, nella montagna pistoiese.
Altri eventi importanti
A questo evento seguirono altre iniziative quali l’ampliamento e la modernizzazione dell’ospedale costruito nel 1855, grazie ad un lascito testamentario del mecenate di Mammiano, Lorenzo Pacini, ospedale che fino agli anni 2000 faceva invidia a quelli cittadini.
Altro evento fu la costruzione, nell’anno 1926, del trenino elettrico, la Fap (Ferrovia Alto Pistoiese) che collegava Mammiano a Pracchia, dove c’era il treno dello Stato (tale ferrovia fu chiusa nel 1965). Ancora l’edificazione di impianti sportivi e turistici veramente notevoli con parchi, sale da ballo, discoteche e cinematografi. A San Marcello negli anni 60 c’erano due cinematografi, il cinema parrocchiale Aurora e il cinema Teatro Appennino. Quest’ultimo rimase aperto fino ad oltre metà degli anni 2000.
Adesso in tutta la montagna non c’è più un cinema aperto. Tutto questo adesso è cessato o sta per cessare, a conferma di quanto detto all’inizio circa la decadenza e il declino, purtroppo, della montagna pistoiese.
Mammiano e il corteo papale del 1804
Panorama di Mammiano e targa che ricorda il pernottamento di Papa Pio VII nel Palazzo Cini a San Marcello
Per concludere adesso voglio parlare di Mammiano dove vivono ora mia figlia e i miei nipoti. Per questo lo considero paese elettivo per affetti e per memorie storiche. Certamente non fui fra i devoti che l’8 novembre del 1804, secondo fonti orali che si tramandano da oltre due secoli, attendevano trepidanti a Mammiano il corteo papale diretto a Parigi per l’incoronazione dei Napoleone Bonaparte che peraltro nel 1796, recandosi a Pistoia, passò anch’egli da Mammiano e San Marcello. Dal piccolo paese della montagna pistoiese passò infatti Papa Pio VII, che lì ebbe a soffermarsi il tempo utile perché la sua carrozza fosse riparata per un banale guasto poco dopo la mattutina partenza dalla dimora dei nobili Cini a San Marcello Pistoiese, ove egli era stato ospite la notte precedente.
La grande eco dell’evento
L’evento trovò naturalmente ampio risalto nella stampa dell’epoca: «La susseguente mattina del dì 8 il piissimo Pontefice si portò ad ascoltare, insieme con gli Em.i Cardinali, la Santa Messa, celebrata da uno dei Prelati del suo seguito nella domestica Cappella dei medesimi Sigg. Cini, dopo di che si degnò di nuovamente compartire l’Apostolica Benedizione al numeroso Popolo radunato sulla contigua Piazza e quindi alle ore 7 montato in carrozza, e colla scorta di Dragoni e Guardie Reali continuò il viaggio» (Gazzetta Universale, n. 92 del 17 novembre 1804, Firenze).
La stanza ove il Papa dormì, il letto che accolse la sua Santità quella notte e la targa a ricordo di quell’evento straordinario ebbi a vederli in tante occasioni, quando il mio babbo Fenzo, geometra di casa Cini, mi portava con sé nel nobile palazzo a giocare nel grande parco con i coetanei della famiglia Farina Cini: con Andrea, Marco Dazzi e con il loro cugino Donato, che moti anni dopo – appassionato di teatro – ebbe compagno di spettacoli a San Marcello ed a Roma Roberto Benigni. E l’attesa consentì ai fedeli di ricevere l’apostolica benedizione di Sua Santità.
Il mio rapporto con Mammiano
Il trenino FAP sul Ponte di San Marcello e Paolo Baldassarri a 4 mesi con la zia Giuseppina
A Mammiano ho trascorso la stagione migliore della mia giovinezza: dal 1971, anno di matrimonio con Viviana Pagliai, mammianese e insegnante di ragioneria all’Istituto Tecnico di San Marcello. Anni trascorsi in grande gioia e serenità familiare, in un clima che con il passare del tempo si fece sempre più ricco di eventi emotivi ed affettivi, con la nascita di mia figlia Silvia nel 1974 e – negli anni 2000 – dei nipoti Arianna ed Emanuele.
Ancora oggi – da pensionato dello Stato e dopo la prematura scomparsa della cara consorte – trascorro le vacanze estive a Mammiano, in buona compagnia della memoria storica di tanti illustri personaggi che ebbero la ventura di gettare lo sguardo su questo splendido borgo della montagna pistoiese: chi diretto verso la montagna e poi nel modenese, chi invece ospite estivo nella vicina San Marcello.
La lingua pura parlata a San Marcello e sulla montagna
Dipinto di Luigi Pirandello, via Roma, San Marcello (olio su tela)
Turista estivo di particolare rilevanza fu a San Marcello Luigi Pirandello, Premio Nobel per la Letteratura che, appassionato di pittura come tutti i membri della sua famiglia, ha immortalato in piacevolissimi oli ed acquarelli paesaggi e scorci del paese ospite.
Altri letterati hanno avuto uno speciale rapporto con questa terra silenziosa ed ospitale, di cui spesso hanno elogiato qualità di valore umanistico e d’arte: celebre, a tale riguardo, è l’episodio relativo al soggiorno di Massimo d’Azeglio a San Marcello ed agli apprezzamenti ch’egli fa sia della lingua parlata che di altre qualità della popolazione locale. Tornando da Gavinana, alloggiò all’albergo “La Posta” in via Roma a San Marcello – “La locanda di San Marcello eccellente e ad ottimo mercato. E’ detta la Posta e tenuta da Begliomini. […] Conoscemmo la famiglia Cini; e non vidi mai le più cortesi, le più care, le più liberali ed ingegnose persone […] nella valle di San Marcello si parla toscano purissimo fin dai più rozzi contadini. Parlano come scriveva Firenzuola nell’Asino d’oro. Udii dire arcipresso” (I miei ricordi, Firenze, G. Barbera Editore, 1867).
Analoghi apprezzamenti sulla lingua parlata nella montagna pistoiese troviamo espressi da Niccolò Tommaseo in una lettera a Giuseppe Tigri del 1856: “Quanto alla lingua che nell’Alto Pistoiese il popolo umile parla, io posso in tutta coscienza affermare che ella è non solamente più prossima alla lingua degli scrittori più illustri, ma è essa medesima lingua” (G. Tigri, Canti popolari toscani, 1869). Lo stesso Tigri manifesta questo convincimento scrivendo: “La lingua parlata (per dir solo di quella del Pistoiese) odesi pronunziare con armonia musicale dalle colte persone sino al popol minuto, e senza quasi veruna alterazione e specialità di vocaboli: lingua che può tradursi in iscritto ed aversene un buon dettato. E a più ragione quella de’ monti, che ben può dirsi di pura vena; e i canti stessi ne fanno fede” (Canti popolari, ed. 1856).
Un’ulteriore testimonianza sulla bontà della lingua parlata in San Marcello, e nella montagna pistoiese tutta – meno celebre, di non accertata fondatezza, ma diffusa nella tradizione popolare Sammarcellina – fu quella che mi fornì la mia nonna materna Amalia, nata a Piazza, e cioè che il D’Azeglio narrava che, recatosi un giorno al podere Partitoio vi incontrò Rosa, contadina analfabeta, e con essa egli ebbe a parlare a lungo: e ne trasse il convincimento che questa montanina parlasse con ‘la lingua più pura d’Italia’.
Di questa sua osservazione ebbe a parlare pure Giosuè Carducci, e probabilmente questo giudizio sulla purezza della nostra lingua parlata nei paesi della montagna pistoiese era condiviso anche da Policarpo Petrocchi e Niccolò Tommaseo – che con la lingua italiana ebbero un rapporto di studi privilegiato – e gli scrittori Renato Fucini e Gianna Manzini. Non solo sulla purezza della lingua parlata dalla popolazione della montagna pistoiese ebbe a soffermarsi il Tommaseo, che nell’articolo Gita nel pistojese (Antologia, vol. VIII, pag. 15, Gabinetto di G.P. Vieusseux, Firenze, 1832), nota particolari segni anatomici nei volti della gente del luogo, e invita ad andare in quei luoghi gli artisti che intendono ritrarre madonne. “Nel pistojese si rincontra un tipo di fisionomie differente dal fiorentino; più scolpite insieme e più delicate, son facce e più poetiche e più pittoresche: parlo del popolo, perché la poesia risiede nel popolo. Gli usi sociali rendon prosaici e ineleganti spesso i nostri movimenti: la mossa della testa, degli occhi, nel polo tiene ancora dell’espirato. Chi vuol ritrarre madonne, vada sulla montagna di Pistoja”.
Tornando alle osservazioni sulla lingua parlata dai sammarcellini, non sappiamo cosa pensasse al riguardo il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena – è probabile che tenesse al primato fiorentino – che più volte ebbe a passare dalle parti di Mammiano per accompagnare l’ingegnere Abate Leonardo Ximenes progettista della strada che da Firenze porta all’Abetone.
A proposito del Carducci, appassionato pure lui dei luoghi della montagna pistoiese, si ricorda di una sua breve sosta nei pressi di Mammiano: si recava, ospite del calesse di Policarpo Petrocchi, all’Abetone – forse non a percorrere con gli sci le piste di neve – ove in quel giorno si trovava pure in villeggiatura lo scrittore Renato Fucini: montagna pistoiese e Letteratura Italiana rappresentavano sicuramente nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, un forte connubio.
Opere realizzate da personaggi famosi
Altri illustri personaggi sono citati nelle note di memorie storiche, certamente mia terra elettiva per speciale empatia: e gli accenti vanno a Giacomo e Niccolò Puccini oltre che al pittore Sebastiano Vini che alla fine del ‘500 realizzò eccellenti opere nelle chiese di Popiglio e Cutigliano, oltre che a Pistoia. Ma il ricordo storico speciale va al mecenate Lorenzo Pacini, che proprio a Mammiano ebbe i natali, ed il cui lascito dei beni permise la costruzione dell’Ospedale di San Marcello, a lui intitolato.
Una vecchia immagine dell’ospedale Pacini di San Marcello
Non fu opera di un benefattore in senso stretto, ma certamente rappresentò motivo di grande vantaggio per gli operai che da Popiglio andavano a lavorare a Mammiano Basso, meglio conosciuta come “Le Ferriere”: qui, infatti, operava un importante centro siderurgico fin dal XVI secolo, che successivamente, ai primi del ‘900, passò alla Società Metallurgica Italiana (SMI) della famiglia Orlando, ed ebbe un ruolo importante nell’economia della montagna pistoiese con gli stabilimenti di Limestre e Campo Tizzoro, oltre a quello di Mammiano. Fu appunto opera della SMI la realizzazione del ponte sospeso – 227 metri di lunghezza ed alto 36 – che dal 1923 risparmiava non pochi chilometri a piedi ed in condizioni di disagio, soprattutto nella stagione invernale, ai lavoratori, uomini e donne della montagna pistoiese. Oggi quel ponte non è più passaggio per recarsi ad una giornata di faticoso lavoro. Piuttosto, il ponte sospeso rappresenta una curiosa passeggiata per chi non soffre di vertigini e per ammirare dall’alto lo scorrere delle limpide acque di un piccolo fiume di montagna.
Potrei ancora dire altro, sia su San Marcello, sia su Mammiano ma per ora mi fermo ritenendo di avere spiegato quanto mi stava a cuore su questi due borghi nonché aver fornito notizie che non tutti conoscono.
Bibliografia essenziale
– L. Baldassarri – Con gli occhi e con il cuore, edizioni Settegiorni, 1955
– A. Frintino – P.B., Una biografia “in vita”, edizioni Il Metato, 2018
– P. Baldassarri – San Marcello il paese della luce elettrica, Linee Future
di E. Bianchini, 2014
– Banchini – Toscana Notizie, 2005