Monsignor Tardelli, esistono delle priorità pastorali nei territori montani che possono differire da quelle che la Chiesa definisce per la città?
“Certamente ci sono delle particolarità. Il cammino pastorale della diocesi ovviamente è unico e consiste nel portare avanti quelli che sono da sempre gli impegni fondamentali della chiesa: l’annuncio e la testimonianza del vangelo di Gesù, l’ascolto della parola di Dio e il culto cristiano, l’amministrazione dei sacramenti, la comunione fraterna, il servizio della carità nei confronti dei poveri. Inoltre, come diocesi, ci siamo dati delle priorità per un triennio e cioè: lasciarsi guidare maggiormente dallo Spirito Santo alla riscoperta di Dio come Padre di misericordia, dei poveri che siamo noi e sono tra noi e del nostro essere comunità fraterna e missionaria. Tutto questo però si vive a livello delle diverse realtà territoriali della diocesi. Da questo punto di vista la montagna ha sicuramente una sua specificità anche dal punto di vista pastorale che va saputa cogliere, le sue opportunità e le sue difficoltà”.
La Chiesa, grazie alla presenza capillare delle parrocchie e per il suo ruolo specifico di vicinanza alle persone più bisognose, ha sicuramente chiare le tante emergenze sociali che caratterizzano questo periodo storico. La Montagna probabilmente, anche sotto questo profilo, presenta sue peculiarità. E’ così? Quali sono le specificità dei territori marginali, più lontani dai centri urbani? E come si può pensare di contribuire a dar loro una soluzione?
“La situazione della montagna è sicuramente complessa. A fronte di una ricchezza di umanità della popolazione; a fronte di una bella testimonianza di attaccamento affettuoso alla propria terra e alle proprie tradizioni; a fronte ancora a quel sapore di semplicità e genuinità che ancora si respira nei nostri territori montani, unitamente alla bellezza delle montagne che affascinano e il cui fascino brilla nel cuore e negli occhi di chi lì è nato, si deve fare i conti con uno spopolamento continuo, un’assenza sempre più evidente di giovani, l’aumento della popolazione anziana e grosse difficoltà a trovare la strada di uno sviluppo economico che dia lavoro alla gente. Così le molteplici varie frazioni diventano sempre meno autosufficienti, i servizi si rarefanno, i terreni si abbandonano o si svendono. In tale contesto, le priorità pastorali sono quelle di mantenere viva e vivace le comunità cristiane della montagna, unendosi, perché l’unione fa davvero la forza, in una collaborazione più stretta tra sacerdoti e laici delle varie comunità. In modo da permettere una maggiore formazione, celebrazioni eucaristiche più intense e partecipate, una più significativa presenza di evangelizzazione anche nei confronti dei molti che vengono a soggiornare in montagna in certi periodi dell’anno, una efficace azione di promozione sociale in particolare verso nuove generazioni, un’amorevole attenzione alle situazioni di disagio in specie della consistente popolazione anziana. Vorrei sottolineare una cosa un po’ particolare ma che rientra anch’essa in qualche modo nell’opera della chiesa per questi territori. Parlo della riscoperta e della promozione degli antichi cammini di pellegrinaggio che attraversano la montagna per scendere a Pistoia. E’ qualcosa che ormai si sta realizzando. Non è più solo un discorso. La Romea Strata, la via imperiale, il cammino di San Bartolomeo, sono ormai realtà e rappresentano un’occasione davvero interessante per la scoperta dei nostri territori. Qualcosa da valorizzare in chiave spirituale, culturale e anche socio-economica, magari non direttamente ma di ritorno. Si pensi per esempio soltanto che a metà agosto dell’anno prossimo è già previsto il passaggio a piedi di circa 200 giovani provenienti dalla diocesi di Vicenza e diretti a Roma per l’incontro col Papa il 12 del mese, facendo tappa a Pistoia“.
Un altro elemento particolarmente delicato, se non di vera emergenza, è il crescente abbandono delle aree montane da parte delle persone più giovani. La chiave per fare restare i giovani e per attrarne di nuovi può sicuramente essere quella economica: senza prospettive di lavoro e di impresa la “fuga” appare l’unica prospettiva. Esiste solo questa lettura oppure, a suo avviso, ve ne sono altre di altro tipo? E come si possono incentivare le nuove generazioni a popolare queste aree?
“Lo dicevo pocanzi: quello della ‘fuga’ dei giovani è un fatto, direi una necessità per loro. Condivido pienamente l’analisi, perché sono convinto che se potessero, se ci fossero le condizioni, i giovani rimarrebbero. Sicuramente dopo percorsi di conoscenze e formazione che ormai si fanno nel mondo globalizzato. Le nuove tecnologie però permettono di essere ovunque pur restando a casa propria. Quindi sono convinto che i giovani potrebbero restare o tornare. Però vanno sostenuti in ogni modo. In particolare rendendo assolutamente più facile la realizzazione di imprese di ogni tipo, come pure fornendo la montagna di supporti telematici all’avanguardia e rendendo i collegamenti con la città, la ferrovia e la rete autostradale assolutamente più veloci.
Un tema che la nostra testata ha sollevato più volte è la mancanza di una visione unitaria che vada oltre i confini di paesi e municipi. Allo stesso tempo ci appare di tutta evidenza la mancanza di una “regia”, di una guida “istituzionale” che si faccia interprete dei bisogni di un intero territorio e indichi una strada da seguire. Lei avverte questa carenza, soprattutto in aree più deboli e svantaggiate come queste?
“Si, onestamente, l’avverto anch’io. Più volte e in varie occasioni, per quanto mi compete e senza invadere campi altrui, ho fatto notare alle amministrazioni comunali della montagna che avrebbero dovuto fare forza insieme; farsi intraprendenti, alzando anche la voce, con una voce sola nei confronti innanzitutto di Pistoia, la quale non può rinnegare la sua tipica e strutturale caratteristica “montana”. Pistoia è uno dei pochi comuni capoluogo di provincia ad avere nel suo territorio una fetta consistente e significativa di montagna. Ha una storia e una vocazione “montana” e non può che essere in prima fila, insieme alle amministrazioni della montagna nel farsi interprete delle esigenze, dei bisogni, delle potenzialità di questi luoghi. Ma la Regione stessa dovrebbe essere pienamente coinvolta, oltre poi che lo Stato. Occorre fare un po’ di pressione. Si, dunque, credo proprio che sia necessaria una visione prospettica unitaria che ponga con forza in tutte le sedi la domanda: che cosa vogliamo fare della montagna pistoiese? Cosa vogliamo che sia?”
Proprio di recente si è proceduto alla fusione di quattro comuni montani, che oggi si sono ridotti a due. Al di là della semplificazione amministrativa e della probabile riduzione dei costi – oltre alle premialità di Stato e Regione per i primi 5 anni post fusione – quanto peso pensa che possano avere questi accorpamenti? La nascita di un’unica realtà amministrativa, un grande Comune della Montagna Pistoiese, anche oltre l’accorpamento delle due municipalità “fuse” di recente, avrebbe potuto essere, o potrà essere in futuro, la soluzione ideale per dare più forza a questi territori?
“Mi pare di aver già risposto. Io vedo di buon occhio la fusione dei comuni della montagna. A mio personalissimo parere, poteva essere ancora più consistente. Aldilà comunque delle strutture, sono dell’idea che le prospettive e i progetti, nonché la loro realizzazione, è sempre nelle mani degli uomini. Uomini che abbiano convinzioni e cuore; che abbiano voglia di cercare il bene comune e non interessi di parte; che abbiano veramente una passione per il futuro della montagna. Questa è una faccenda che interpella ogni singolo abitante della zona. L’idea di fare squadra e di promuovere concretamente il bene di tutta la montagna, seppur in modi diversi a seconda delle caratteristiche dei vari territori; la convinzione che si debba tutti insieme costruire il futuro delle nostre montagne: ebbene, tutto ciò deve ancora maturare per bene nel cuore delle persone, ancora deve diventare passione e dedizione.
Ci chiediamo, e le chiediamo, se, alla luce di numerosi elementi di novità degli ultimi tempi siano state davvero individuate con chiarezza, e con un’ampia condivisione, le priorità della Montagna Pistoiese. Lei pensa che restino ancora forti diversità di opinioni e sensibilità? Chi riveste ruoli di responsabilità pubblica – istituzionale, politica, economica, sociale – ha mostrato o sta mostrando chiarezza di intenti e determinazione nel perseguirli oppure la prospettiva del futuro rimane incerta e nebulosa?
“Mi verrebbe da dire di primo acchito che la prospettiva del futuro rimane ancora troppo incerta e nebulosa. Io dico anche che se si sta troppo – dico troppo, non un po’, che va pure bene – a litigare, perché ognuno ha la sua opinione e non vuol cedere di un millimetro, e tutto diventa motivo di continua polemica, non si va da nessuna parte mentre intanto si perdono i treni. Ma voglio essere ottimista. Ci si può fare. Voglio terminare con una nota di ottimismo perché mi pare che comunque la sensibilità giusta si faccia pian piano strada. Anche ciò che state facendo voi col vostro giornale lo testimonia bene”.
Monsignore Lei ha avuto modo, in più occasioni, non ultima l’ufficializzazione di Pistoia capitale della cultura 2017, di sottolineare l’importanza della Montagna in una chiave complessiva di rilancio dell’intera area pistoiese. Questo elemento ci ha particolarmente colpito, anche perché è sembrato essere piuttosto isolato. C’è una battaglia da condurre per superare una visione che relega la Montagna ai margini, non solo da un punto di vista geografico? Si riesce ad a intravedere una prospettiva concreta per il futuro delle ‘Terre alte’?
“Per quello che posso e per quello che può fare la chiesa pistoiese della montagna, anche noi intendiamo contribuire al bene di questo bellissimo territorio. Personalmente, da quando sono vescovo di Pistoia, mi son reso conto abbastanza presto della importanza della montagna, della sua bellezza innanzitutto, per i luoghi e per la gente. Una montagna anche antica, ricca di opere d’arte e di chiese molto belle. Si tratta dunque di un patrimonio collettivo, materiale e immateriale che non puà andare disperso. Forse hanno inciso anche le mie lontane origini garfagnine e una certa abitudine a frequentare i monti di quella zona. Da subito però mi è parso anche che non fosse data la dovuta attenzione a questa realtà, forse anche che non ci fosse piena consapevolezza di sé pure da parte degli abitanti stessi delle “terre alte”. Allora ho detto alcune cose e sto insistendo in proposito In un certo senso c’è sicuramente ancora da combattere una battaglia ma come ho detto, sono ottimista e nutro qualche speranza che si possa fare qualcosa insieme”.