Una Montagna di Parole  |  ottobre 6, 2017

I funghi, una storia curiosa anche nella lingua

Il porcino deriva da porco. Lo chiamavano così anche i Romani: per loro era il fungus suillus, ovvero dei porci. La parola fungo è antichissima, di area mediterranea. Il greco ne ha una simile sp(h)òngos, che significa spugna. Il pericolo intossicazione fin dai tempi della morte di Tiberio Claudio, l'imperatore avvelenato con boleti velenosi dalla moglie Agrippina

di

Tempo di lettura: circa 1 minuti

 

Quest’anno la stagione dei funghi sarà limitata ai mesi di Settembre e di Ottobre. Tutti l’aspettavano con ansia ma i fungai montanini covano un po’ di fastidio pensando alle frotte di pianigiani che, solo pagando pochi euro, sono autorizzati a riversarsi sui monti e a portare a valle grandi quantità di preziosi funghi.

Il fastidio nasce dal fatto che la città si ricorda della montagna solo quando quest’ultima offre svaghi, divertimenti e frutti di vario genere, come per l’appunto funghi o mirtilli e castagne. Nel nostro caso sono i porcini il seme della discordia.

Eppure il nome ha poco di prezioso : “porcino” deriva infatti da “porco”, e in molti credono (ma non è per niente certo) che la sua origine dipenda dal fatto che questo sarebbe un alimento particolarmente apprezzato dai porci. Lo chiamavano così anche i Romani, o meglio, per loro era il fungus suillus ,il fungo dei porci.

La parola “fungo” è , invece, antichissima e di area mediterranea. La lingua greca ne ha una simile sp(h)óngos, che significa “spugna” e in effetti il tessuto fungino è spugnoso. Nella Roma antica se ne consumavano grandi quantità, soprattutto secchi: si usava essiccarli al fuoco dopo averli tagliati a fette e infilzati con tralci di giunco in ampie ghirlande, che poi venivano vendute al mercato.

Erano dunque amati, ma pure temuti, perché anche allora provocavano pericolose intossicazioni che conducevano alla morte, la più celebre delle quali fu quella dell’imperatore Tiberio Claudio, avvelenato proprio con boleti velenosi dalla moglie Agrippina; il che spalancò le porte dell’impero ad un altro frutto velenoso, Nerone. Almeno così ce ne parla Plinio il Vecchio, il grande scienziato del I secolo d.C.

Allora, attenti al veleno, fungaioli! Si, perché i fungai sono un’altra cosa, almeno quassù da noi, in montagna.


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)