Cultura & Spettacoli  |  agosto 7, 2017

“50 Folk Beat”, un viaggio fotografico nell’universo di Francesco Guccini

Cinquanta scatti per immaginare le canzoni del cantautore di Pavana quando “correva l'anno 1967”. In mostra nel palazzo comunale di Alto Reno Terme, dal 6 agosto al 2 settembre. Già presenti tanti temi che ritroveremo nel corso della sua carriera artistica

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ALTO RENO TERME – Erano gli anni delle primissime contestazioni studentesche, gli anni in cui gli attriti tra blocchi contrapposti si facevano più sordi a qualsiasi appello tanto da meritare lo storico appellativo di “guerra fredda”. L’Italia del boom economico si era adagiata su un benessere che non vedeva o faceva finta di non vedere le profonde disparità sociali. Questi alcuni temi sviluppati da Francesco Guccini nel suo primo album, “Folk Beat n.1”. Questi gli spunti che il cantastorie di Pavana offre oggi a un gruppo di fotografi suoi fan. All’interno della mostra “50 Folk Beat – Correva l’anno 1967”, ospitata presso il palazzo comunale di Alto Reno Terme e visitabile dal 6 agosto al 2 settembre (ogni giorno dalle 10 alle 13 e, eccetto il lunedì e il mercoledì, anche di pomeriggio dalle 16 alle 18), Cosimo Damiano Motta, Elisabetta Vacchetto e Pierangelo Vacchetto reinterpretano le canzoni alla luce dei cambiamenti degli ultimi cinquant’anni.

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Le immagini dell’inaugurazione, dal profilo facebook di Giulia Barra (cliccare sulle foto per ingrandirle)

L’attualità dei temi di Guccini

Il messaggio di Guccini rivive e spaventa per la sua attualità. Nel primo album in studio, firmato oltretutto da altri perché non ancora iscritto alla Siae, si dipanano temi che ritroveremo nel corso della sua lunga carriera artistica. Noi non ci saremo e L’atomica cinese, per esempio, rievocano i timori di chi, di fronte alla corsa agli armamenti, vedeva l’integrità del pianeta minacciata dall’assurda tentazione di una guerra atomica. Tema che ritornerà un anno più tardi nell’apparente vivacità del Girotondo di Fabrizio De Andrè.

Nel disco, impregnato di atmosfere dylaniane, ma anche di quella vita on the road che caratterizzò la generazione beat – si pensi a Statale 17 -, comparve anche uno dei maggior successi di Guccini: Auschwitz. La canzone, scritta nel 1966 per l’Equipe 84, racconta, come ormai tutti sappiamo, la drammatica vicenda dei campi di concentramento. Neppure il suo autore si aspettava un successo del genere da un tema tanto scottante, ma non smise mai di riproporla nel corso dei suoi concerti, convinto che solo il ricordo potesse allontanare il rischio di una nuova barbarie.

La mostra di Alto Reno Terme ha fatto suo il messaggio di fondo, rappresentando la canzone per mezzo di alcuni muri, il più celebre dei quali quello di Berlino. Perché un mondo migliore è possibile e Guccini lo ha sempre ribadito accompagnando le sue denunce con un sottile filo di speranza. Una speranza che vacilla, si fa più fragile, a tratti si attenua, ma non muore. Perché la fiammella rimarrà accesa almeno fin quando ci sarà ancora una reale voglia di comprendere e di dialogare.

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La Redazione

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