PISTOIA – Si sta ancora scavando, rispetto per le vittime e solidarietà per chi ha perso tutto, ma mi urta la prosopopea dei commentatori professionisti che parlano di disastro annunciato e nulla aggiungono. Il terremoto di Amatrice e Accumoli ha colpito un’area che ha una struttura geologica nota e chiaramente pericolosa, è stata da tempo classificata come soggetta ad alta pericolosità sismica; recentemente non manifestava una particolare attività ma sono noti precedenti eventi catastrofici, come quelli del 1639, 1646 e 1703.
Il terremoto “non si evita”
Pochi giorni fa sono stato invitato a parlare dei terremoti, ho titolato “Terremoto: se lo conosci NON lo eviti”. Non si sfugge al terremoto, il solo modo per farlo è andare ad abitare in una zona sismicamente stabile. Il terremoto è un fatto naturale, come la pioggia e il vento, come la pioggia e il vento torna e non è possibile evitarlo, ma è possibile ripararsi abitando case antisismiche. E qui cominciano i problemi. Il sisma ha colpito piccoli paesi, centri fatti di edifici vecchi o antichi addossati gli uni agli altri. È un contesto tipico della fascia appenninica, è il contesto nel quale è più difficile e costoso intervenire rendendo antisismiche le strutture.
Prevenzione ok: ma chi interviene e come?
Leggo come sempre che non si è fatta prevenzione, che si dovevano rendere sicure le abitazioni, che siamo un paese del terzo mondo … Va bene, ma chi deve intervenire e come? È innegabile che non è stata impostata una politica di prevenzione a lungo termine, ma un po’ di pragmatismo consiglia di non affogare in recriminazioni che, per quanto giuste, non portano a nulla, ed anche a non dimenticare che gli edifici sono nella maggior parte dei casi di proprietà privata. Le possibilità sono due: obbligare i proprietari a rendere antisismici gli edifici o incentivare fortemente queste attività con contributi economici. La prima soluzione è in parte già adottata: in caso di ristrutturazione l’attuale normativa obbliga all’adeguamento sismico. Ma è una misura generalmente poco efficace, non sono molti gli edifici nei piccoli centri che sono stati oggetto di ristrutturazioni importanti; inoltre quando lo si fa si tende a ridurre gli investimenti evitando interventi difficili e costosi. Con la crisi poi le ristrutturazioni sono diventate una rarità.
Difficile intervenire sul patrimonio edilizio
Una azione coercitiva generalizzata sul patrimonio edilizio è chiaramente impraticabile: in Italia, solamente nelle aree dichiarate a maggior pericolosità sismica, vivono 24 milioni di persone; non è immaginabile obbligare a mettere in sicurezza tutti gli edifici che le ospitano, quanti proprietari hanno la disponibilità economica necessaria? C’è chi propone forme assicurative obbligatorie, come se le assicurazioni facessero beneficenza e non sommassero ai costi delle eventuali ricostruzioni anche i loro legittimi guadagni. Inoltre ho visto come è stata interpretata la normativa per la messa in sicurezza degli edifici pubblici: ho perso la residua fiducia nella sensibilità di chi sarebbe preposto a controllare che questi interventi vengano eseguiti efficacemente. Anche questo terremoto non ha risparmiato gli edifici pubblici, a Amatrice sono crollati la scuola (del 2012) e l’ospedale.
Gli incentivi: come metterli in pratica
La seconda opzione, quella degli incentivi, è praticabile, ma come? Per decidersi a ristrutturare sarebbe necessario che i proprietari degli immobili potessero cogliere una occasione particolarmente allettante, quindi dovrebbero accedere a finanziamenti consistenti. Ma le finanze da dove dovrebbero provenire? La mia risposta utopica prevede una gestione dei soldi pubblici totalmente diversa, centrata sulla qualità della vita delle persone, ma questo non comporterebbe una diversa legge finanziaria ma una diversa società, quindi non annoio con elucubrazioni che non troverebbero applicazioni in tempi ragionevoli. Rimanendo nel concreto è certo che l’incentivazione fiscale è importante ma non sufficiente, in ogni caso va ad incidere sulle entrate dello Stato che devono trovare compensazione altrove. Non vedo diversa possibilità se non quella di attingere alla fiscalità, in altre parole bisognerebbe che gli italiani si tassassero in maniera non trascurabile per consentire ad una parte di mettere in sicurezza la propria casa. Ci sono le condizioni economiche e sociali per poterlo fare?
Essere consapevoli dei luoghi dove viviamo
Credo che un fattore determinante sarebbe la conoscenza, non generica ma la conoscenza specifica della pericolosità delle case in cui abitiamo e dei luoghi dove viviamo. Per esempio nelle transazioni immobiliari è obbligatorio certificare la classe energetica, ma non è richiesta una sola riga sull’efficienza antisismica delle strutture e sulla pericolosità geologica dei luoghi (non solo sismica, anche da alluvioni e frane). Non è un fatto banale, si pensi ad esempio che nel terremoto di San Giuliano e nel caso del paese di Onna (terremoto dell’Aquila) vi furono effetti di amplificazione molto localizzati: Onna subì danni estremamente più consistenti di Castelluccio, posto a meno di un chilometro di distanza, perché le particolari caratteristiche geologiche del sottosuolo produssero una forte amplificazione sismica. Nel terremoto emiliano del 2012 diversi edifici furono lesionati più dalla liquefazione dei terreni di fondazione che dallo scuotimento. Gli epicentri del terremoto di questi giorni stanno disegnando la presenza di una faglia di tipo estensionale poco profonda, circa 10 Km, disposta secondo la direttrice NNW – SSE. Molte di queste caratteristiche sono note o possono essere individuate. Sono convinto che la consapevolezza rispetto a questo genere di informazioni, e rispetto alla pericolosità degli edifici dove noi e i nostri cari abitiamo e lavoriamo, sarebbe determinante nel favorire forme di prevenzione. Dovremmo poter percepire le spese degli adeguamenti sismici come investimenti necessari per la conservazione del nostro patrimonio e della nostra vita, nel quadro di normative tecniche e di una fiscalità che non punisca queste attività che hanno una grande rilevanza sociale e economica”.
Mauro Chessa, 56 anni, geologo, presidente della Fondazione dei geologi della Toscana