Per significare il concetto di “Tanto rumore per nulla” i nostri progenitori romani avevano coniato l’espressione Parturiunt montes et nascitur mus (I monti partoriscono e ne esce un topolino).
Nel nostro caso i monti c’entrano davvero perché il 31 Ottobre scorso è stato approvato in prima lettura dal Senato il testo della nuova legge sulle aree montane, ovvero il DDL 1054, denominato Disposizioni per lo sviluppo e la valorizzazione delle zone montane. I 23 articoli che lo compongono sono stati votati dal 62% degli aventi diritto; assente il 38%. Più in particolare i presenti sono stati 128, i votanti 127; favorevoli 77, contrari 5 e astenuti 45.
Ciò dimostra lo scarso interesse politico e sociale sul tema delle terre alte.
Le poche luci….
La titolazione del DDL lasciava sperare in provvedimenti sostanziosi che preservassero con potenti incentivi fiscali chi in montagna ci vive e ci lavora e incentivassero giovani famiglie e artigiani a trasferirsi in quelle terre che alcuni hanno definito l’Italia dimenticata.
In effetti c’è bisogno di un’attenzione particolare nei confronti delle aree montane che entro cinquant’anni, se non si modificherà qualcosa, sono a rischio di desertificazione demografica, di abbandono e di incuria generalizzata. Nel testo approvato si parla di attenzione particolare alle scuole di montagna, alla medicina territoriale, alle botteghe di prossimità, alle imprese che affrontano mille ostacoli quotidiani ma ostinatamente non abbandonano le proprie radici.
Lo spirito di questo provvedimento è teoricamente lodevole e anche molto ambizioso, ma la stesura che ha visto il via libera del Senato nasconde troppe incongruità di merito e di metodo.
…e le molte ombre
Intanto un tema così delicato ed urgentissimo è affidato allo strumento del Disegno di Legge e a tutta una serie di decreti attuativi e di formalità burocratiche che andranno a regime nelle calende greche, secondo il ben noto e inveterato costume italico.
Poi c’è il rischio effettivo che questo provvedimento faccia la fine della legge 97 del 1994, approvata e rimasta totalmente inapplicata.
Inoltre si affronta questo tema così delicato in modo settoriale, come se i centri dovessero governare qualcosa di altro da sé, senza considerare che c’è la necessità di una potente svolta culturale che conduca alla piena coscienza della stretta interdipendenza tra città, colline e montagne, perché ormai è chiaro che gli effetti dell’abbandono delle terre alte ricadono sulle aree fortemente urbanizzate, come risulta dai disastri sempre più frequenti in questi ultimi anni.
Classificazione dei comuni e riorganizzazione istituzionale
Entrando nei particolari, il primo tema controverso è una nuova ipotesi di classificazione dei comuni montani che, tra l’altro, non risulta chiara nell’attuale disegno di legge. Infatti sembra prevalere il criterio altimetrico che non definisce di per sé una zona montana ed esclude indicatori sociali ed economici. Inoltre manca del tutto un quadro istituzionale di base più ampio del ristretto reticolo dei comuni: molteplici territori dell’Appennino non hanno previsto finora una forma organizzativa sovracomunale delle zone montane e solo sei regioni dispongono di una legge per lo sviluppo della montagna con fondi ad hoc. Il singolo comune da solo non è in grado di affrontare la sfida del cambiamento e dell’innovazione. In alcuni paesi europei (Francia e Germania) le zone montane hanno beneficiato di una stretta collaborazione tra comuni senza che ne risentisse la rappresentanza e l’autonomia democratica dei singoli municipi.
Incentivi e fiscalità differenziata
Per rendere più attrattiva la montagna, il disegno di legge prevede incentivi a medici e insegnanti, due figure professionali spesso rare nelle terre alte. A ben vedere si tratta solo di modesti aiuti (un punteggio più elevato per la progressione di carriera, contributi per l’affitto dell’abitazione e dell’eventuale ambulatorio, ecc.) tali, soprattutto, da non colmare l’ampio divario in termini di servizi a disposizione nonché il pervadente senso di isolamento culturale, sociale e professionale. Anche per le aziende è prevista una fiscalità differenziata che risulta troppo incentrata sulla detrazione d’imposta. Siamo ben lontani dall’istituzione di vere e proprie zone franche montane a vantaggio degli operatori economici, delle famiglie e, in senso lato, di tutti i residenti.
Valorizzazione delle risorse della montagna
In un mondo attraversato dalla crisi climatica, le risorse naturali della montagna (acqua, aria, verde e ricambio CO2, biodiversità) non sono adeguatamente valorizzate, soprattutto all’interno del complesso rapporto tra aree montane e aree metropolitane. Queste ultime beneficiano, anzi consumano, beni (acqua, aria, biodiversità) della montagna stessa senza che quest’ultima riceva alcuna vera remunerazione per i servizi ecosistemici ambientali prodotti.
Riserva indiana
Molti altri sono gli aspetti affrontati nel presente decreto che, come abbiamo già detto, andrà a regime tra molti anni visti i rimandi a specifiche norme attuative e sarebbe troppo lungo elencarli tutti. Tuttavia Rea le maggiori perplessità c’è lo scarso impiego di fondi alla luce della complessità e dell’ampiezza del problema, all’impellente necessità di equità e perequazione economico-sociale, all’urgenza di bloccare il processo di emorragia demografica ormai in corso da decenni. Per concludere la lettura complessiva di questo DDL può indurre a pensare che si tratti di una serie di disposizioni più a favore di riserve indiane che di una ricomposizione oculata, unitaria ed equilibrata dell’intero Paese.