Una Montagna di Parole, La ricerca  |  agosto 17, 2024

Chi sarà mai questo montanino? Una razza in via di estinzione?

Riflessione dello scrittore Federico Pagliai sul significato del termine e sul parallelo con montanaro. La qualifica del primo si ottiene alla nascita, l’altra si acquisisce per esperienza. Ad ognuno il suo bosco e con esso tutta una serie di modi di vivere, manualità, saperi, usi, tradizioni, vocaboli e arnesi.
“La media montagna del montanino si è come sfarinata, ha perso quei connotati culturali che la differenziavano dalla collina e dalla montagna di crinale”. Al contrario “la narrazione del ‘buon montanaro’ oppure di quello ‘puro e rozzo’ sono fattori che esercitano una fascinazione”

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Federico Pagliai, il "montanino" autore del testo

Voi, alpinisti, escursionisti, frequentatori più o meno assidui delle Terre Alte, ma quelle alte davvero, quelle dove si è appagati nella voglia di cielo, quello delle creste e dei crinali, vi piacerebbe essere chiamati “montanini”?

Che strana parola eh?!

Cos’è?

Che sia una versione rimpicciolita del più autorevole e stereotipato “montanaro”?

Un dispregiativo?

Oppure, è questione di altezza: forse, salire in quota, vi rattrappisce?

In tal caso, parafrasando un modo di canzonare i bimbi quando cercavano qualcosa che era stato loro nascosto, “fuochino- fuochino”: ci siete vicini, ma non avete ancora colto nel segno.

Però, volendo far luce sulla figura del montanino, l’altezza c’entra.

Basta sostituire la parola altezza con un altro vocabolo: altitudine.

L’identità di un popolo si costruisce – anche – in base a quest’ultimo parametro che poi, a mio modo di vedere, è motivo di somiglianza culturale: ci sono più affinità tra un boscaiolo della Val Brembana e uno di Pian degli Ontani che tra quest’ultimo e un cittadino.

Per il montanino la sua cifra di montagna è quella dei castagneti e delle prime faggete. L’umanità si differenzia, nei gesti e negli immaginari collettivi, in base ai boschi che ha intorno: gli uomini di collina hanno gli uliveti, quelli di media montagna le selvi, quelli delle faggete che fanno da confine alle alte brughiere, i faggi.

Ad ognuno il suo bosco e con esso tutta una serie di modi di vivere, manualità, saperi, usi, tradizioni, vocaboli e arnesi.

La montagna del montanino (anche alcune strade riportano ancora questo nome: la via “Vecchia Montanina”, a Le Piastre, è una prova ed è anche significante di un “andare verso” la montagna di mezzo) non aveva niente a che fare con il verbo “conquistare”, così spesso abusato dagli alpinisti: questi, si, che possono fregiarsi del titolo di “montanari”.

Il montanino, no.

Non è un montanaro. Può diventarlo, ma succede di rado.

La qualifica da montanino si ottiene alla nascita, quella da montanaro si acquisisce per esperienza e spesso è stata – ed è – più appannaggio dei cittadini che di un abitante di media montagna.

Essa sembra una zona di passaggio, una di quelle in cui più velocemente transiti e prima arrivi…in alto, of course!

Eppure, il montanino, ne aveva e ne avrebbe da insegnare…

Vive una montagna di mezzo, sono luoghi di lavoro, di cura dei boschi e di sacrifici. Difficile che qualcuno ambisca a diventarlo, montanino.

Mi rendo conto che ho scritto “vive” ma, forse, sarebbe meglio usare i verbi al passato e coniugare frasi con un più pertinente “viveva”.

Eh sì… Perché oggi, la media montagna si è come sfarinata, ha perso quei connotati culturali che la differenziavano dalla collina e, non di meno, dalla montagna di crinale.

Quella, restando dalle nostre parti, dell’Abetone: lì, sì, che sono montanari!

E’ diventata una periferia delle città, un paesaggio sociale e culturale fagocitato dalla dimensione del “Villaggio Globale” e soltanto qualche R- Esistente convive con tutta quella serie di gesti e legami concreti, simbolici e culturali propri ed originari del territorio: ne consegue che il montanino sia una razza in estinzione.

E’ più attraente provare a diventare “montanaro”.

Volete mettere?

La qualifica di montanaro sembra immune al logorio culturale e pratico che, invece, colpisce il montanino.

Il mito delle Alpi e dell’alpinismo, l’immaginario collettivo che vuole il montanaro un uomo – o una donna – un essere capace di conquistare le cime, sopportare le avversità, l’isolamento, la narrazione del “buon montanaro” oppure di quello “puro e rozzo” sono, tra gli altri, tutti fattori che esercitano una fascinazione che ricalca quella del territorio alpino, anch’esso aspro, puro, severo…

L’Illuminismo ha avuto il suo peso: l’Europa borghese – e qui bisogna andare indietro di tre secoli – ha creato un nuovo modello di montanaro, diverso da quello originario che interpretava e viveva le Terre Alte come zone di alpeggi estremi.

Quelle montagne dovevano essere liberate dalle ombre della superstizione, dalle dicerie, dalle leggende; gli uomini avevano da salirci per gridare al mondo che erano tutte fesserie.

Di fatto, ad esempio, l’alpinismo è una cultura al contrario rispetto a quella primigena degli alpeggi.

E non solo lì.

Più in basso, su montagne di minor altitudine – come lo sono quelle appenniniche – viveva il montanino che nemmeno si poneva il pensiero o il bisogno di salire in quota.

A farci che?

La sua montagna era quella dei boschi dai quali poter ricevere sostentamento e instaurare così sentimenti di identità e appartenenza.

Il che mi suscita una riflessione e un paio di domande…

Esiste ancora il montanino? Oppure stiamo diventando “ospiti” del territorio natio e quella qualifica, ormai, è solo un modo di dire?


La Redazione

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