Dodici milioni di italiani sono a rischio di apnee notturne, ma l’80% di loro non ne è consapevole. Spesso sottovalutata nonostante provochi ogni anno almeno 12.300 incidenti stradali e 250 morti, questa patologia determina sonno frammentato e stanchezza nel corso della giornata. Vero e proprio problema di salute pubblica, le apnee notturne causano brevissime e frequenti interruzioni della respirazione mentre si dorme, e rappresentano uno dei maggiori fattori di rischio per malattie cardio e cerebrovascolari, tale da quadruplicare la probabilità di ictus e raddoppiare quella di ipertensione, diabete, aritmie. Molto spesso chi ne soffre non se ne rende conto o sottovaluta il problema.
Le persone più a rischio
Persone in sovrappeso o obese, chi fuma o beve e chi ha una circonferenza del collo molto ampia, sono queste le persone più a rischio di apnee notturne, un problema che disturba il sonno di un uomo su 2 e una donna su 4, con un costo per il Servizio Sanitario Nazionale di circa 3 miliardi di euro, di cui solo il 6% è investito in prevenzione. La Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno (OSAS) è un disturbo respiratorio che si verifica con ricorrenti episodi di occlusione delle alte vie aeree ed è spesso associato al russamento.
I sintomi più diffusi
I sintomi notturni sono sonno irrequieto, microrisvegli, sensazione di soffocamento, aritmie cardiache. I sintomi diurni sono invece sonnolenza, stanchezza e scarsa concentrazione. Per questo chi ritiene di soffrirne, dovrebbe tenere a mente alcuni consigli: evitare di guidare la notte, nei lunghi viaggi effettuare brevi soste, condividere con altri la guida, tenere d’occhio alcuni segni premonitori del colpo di sonno, come la difficoltà a mantenere una velocità regolare. In tali casi, fermarsi per un caffè, sgranchirsi e fare un sonnellino. Ma soprattutto chi sospetta di avere questo problema dovrebbe rivolgersi a un centro qualificato per la diagnosi. Troppo spesso questi disturbi vengono alla luce soltanto quando si è coinvolti in incidenti stradali.
Le cause del restringimento delle vie aeree
Il problema si localizza a livello del primo tratto delle vie respiratorie, quello che va dal rinofaringe alla glottide (dal naso alla gola…). Se non c’è ostruzione delle vie aeree, il flusso dell’aria nelle prime vie respiratorie è tranquillo (flusso laminare) e quindi silenzioso. In posizione supina (distesi a letto) le vie aeree si restringono leggermente. Durante il sonno c’è una diminuzione dell’attività dei muscoli dilatatori della faringe, e quindi tutte le pareti della faringe tendono a restringersi ulteriormente rispetto allo stato di veglia. Questo accade in tutte le persone senza distinzione, è un fenomeno fisiologico. Però le vie aeree possono essere più strette del normale per cause anatomiche: depositi di grasso, tonsille molto ingrossate, palato molle (ugola) lungo e spesso, mandibola piccola, oppure per cause funzionali (alcool, farmaci sedativi…). In questo caso le strutture possono diventare, nel sonno, ancora più strette: il flusso dell’aria diventa turbolento, si crea una vibrazione dei tessuti molli delle vie aeree, che produce il rumore che conosciamo come russamento. Anche l’ostruzione del naso acuta (raffreddore) o cronica (deviazione del setto, ipertrofia dei turbinati) può determinare indirettamente il russamento: se respiriamo a bocca aperta la mandibola tende a cadere più facilmente all’indietro, restringendo le vie aeree.
Cosa produce il russamento
Va notato che il rumore del russamento può essere prodotto dalla vibrazione di una qualsiasi delle strutture coinvolte: non solo il velo del palato (come si credeva anni fa) ma anche lingua, pilastri tonsillari, pareti laterali della faringe, epiglottide, e anche le secrezioni della mucosa, possono vibrare e produrre rumore. Nel russamento si ha quindi una situazione intermedia fra quella delle vie aeree normali e l’ostruzione completa delle vie respiratorie.
Va notato che nei soggetti con OSAS il calibro delle vie aeree è diminuito ancor più che nei russatori, ma l’attività neuromuscolare di base è maggiore che nei soggetti senza OSAS. Questo consente una respirazione normale finché il soggetto è sveglio, ma nel sonno il tono muscolare diminuisce, il calibro delle vie respiratorie si riduce, la mandibola cade all’indietro e ruota (spesso la bocca è aperta) e le vie aeree superiori si chiudono.
L’apnea può essere mortale
Se la chiusura è parziale si determina una riduzione del flusso aereo (ipopnea). Quando la faringe si chiude completamente, la respirazione cessa (apnea). Questa situazione è potenzialmente mortale. Man mano che l’apnea procede, l’ossigeno nel sangue diminuisce (ipossiemia) e la anidride carbonica aumenta (ipercapnia): il cervello viene avvertito di ciò, e invia una sorta di messaggio di allarme (liberando adrenalina e aumentando l’attivazione del cosiddetto sistema simpatico).
I risvegli del cervello
La conseguenza più importante è il risveglio del cervello stesso (“arousal“) che provoca l’attivazione dei muscoli dilatatori della faringe (quelli che si rilassano nel sonno) e quindi la sospensione dell’apnea: il soggetto effettua di solito tre o quattro respiri fragorosi, e l’ossigenazione torna a livelli accettabili. I risvegli sono nella grande maggioranza dei casi di brevissima durata, e non vengono ricordati al mattino. Qualche volta invece il paziente si sveglia con la sensazione di soffocare (del tutto realistica), e questo è un sintomo importante di probabile sindrome delle apnee del sonno.
Dopo il risveglio la situazione si normalizza, il sonno torna profondo, le vie aeree possono di nuovo chiudersi per effetto del rilassamento muscolare, e il ciclo ricomincia. Questa situazione di “va e vieni” fra periodi di apnea e momenti di iperventilazione può ripetersi anche centinaia di volte nel corso di una notte.
Le conseguenze delle apnee
Le conseguenze delle apnee sono riconducibili a tre meccanismi fondamentali:
1) la frammentazione del sonno, causa della sonnolenza diurna;
2) l’ipossiemia (cioè la diminuita ossigenazione del sangue), che causa l’attivazione del sistema simpatico, con liberazione di adrenalina, e una serie di fenomeni complessi di scoperta più recente, che contribuiscono alle malattie correlate alle apnee;
3) la diminuita pressione nel torace (aumentata pressione negativa) dovuta agli sforzi che il corpo compie per tentare di respirare malgrado l’ostruzione meccanica, che può causare reflusso gastro-esofageo e contribuisce alla genesi di problemi cardio-circolatori;
4) tutte queste condizioni determinano un aumento significativo della mortalità nelle persone affette dalla sindrome delle apnee del sonno.
La diagnosi della sindrome OSAS
La diagnosi di Sindrome delle Apnee nel Sonno (OSAS) può essere sospettata in base alla storia del paziente o alla presenza di segni e sintomi quali anomala larghezza del collo, obesità, sonnolenza diurna, bisogno di alzarsi spesso la notte per urinare, difficoltà di concentrazione e disturbi della memoria, cefalea mattutina, ipertensione arteriosa di difficile trattamento, aritmie cardiache di recente insorgenza non giustificate da altre cause, ischemie cardiache o cerebrali.
La Polisonnografia
Vi è però un unico esame in grado di fornire con certezza la diagnosi di OSAS, ed è la Polisonnografia. Essa consiste nella registrazione di un certo numero di parametri, come minimo 7 (flusso nasale, movimenti respiratori toracici, movimenti respiratori addominali, saturazione arteriosa di ossigeno nel sangue periferico, battiti cardiaci, posizione del corpo, russamento), durante il sonno. Oggigiorno la polisonnografia viene effettuata a domicilio dal paziente, dopo essersi sottoposto a visita specialistica pneumologica ed avere ricevuto istruzioni e macchinario da indossare alla sera andando a letto. Il mattino successivo il paziente o un suo familiare riporteranno lo strumento al centro specialistico per l’interpretazione del tracciato.
Le opzioni terapeutiche per la Sindrome delle Apnee nel Sonno saranno illustrate in un prossimo articolo.
– Dottor Giuseppe Anzalone specialista in pneumologia
Professor Marco Ricca, direttore sanitario del Centro Koinos